mercoledì 18 giugno 2008

In difesa dei valori comuni

Il viaggio del Papa negli Stati Uniti e il ricambio della visita da parte di Bush ha prodotto un crescendo di reciproci attestati di stima e un clima confidenziale che forse non era stato previsto; non in questi termini, almeno. Ha cominciato Papa Ratzinger che, in sintonia con il pensiero di Tocqueville, ha dichiarato di “rispettare grandemente questa vasta società pluralista” per aver saputo costruire un modello di rapporto Chiesa-Stato che le nazioni europee dovrebbero prendere ad esempio. A sua volta il presidente americano ha riconosciuto nel pontefice il paladino fermo e convinto di alcuni valori che egli ritiene importanti per la salute del Paese. Benedetto XVI è il primo papa ad essere ricevuto alla Casa Bianca e, al di fuori d’ogni schema, il primo capo di stato ad essere accolto alla scaletta di sbarco direttamente dal presidente. E per ricambiare l’accoglienza calorosa, anche il Papa ha voluto rompere il protocollo, attendendo Bush alla macchina e accogliendolo nei giardini vaticani. Alla fine dell’incontro informale, il presidente è stato ringraziato “per l’impegno nella difesa dei valori morali fondamentali”.

Non è la prima volta che Vaticano e Casa Bianca si scambiano complimenti. All’agosto del ’47 risale la lettera di Truman a Pio XII che individuava nella rinascita della fede il più grande bisogno del mondo, poiché “per mezzo della fede, i disegni di Dio entrano nel cuore e nelle azioni degli uomini”. Nella sua risposta il Papa assicurava: “Certamente, vostra Eccellenza e tutti i difensori dei diritti della persona umana troveranno, nella Chiesa di Dio, una cordiale cooperazione”. In una precedente occasione Pio XII aveva affermato: “Il popolo americano ha il genio delle azioni superbe e generose, ed è nelle mani dell’America che Dio ha posto i destini dell’infelice umanità”. Si profilavano all’orizzonte le nubi minacciose della guerra fredda ed entrambi gli statisti temevano l’avanzata del pericolo comune rappresentato dal comunismo.

Tuttavia non è neppure scontata questa sintonia sulla difesa dei valori comuni. Le confessioni cristiane storiche, a cominciare dalla Chiesa Cattolica, non hanno accettato serenamente il principio di non ingerenza tra politica e religione introdotto negli Stati Uniti. Papa Leone XIII aveva condannato duramente l’americanismo, ovvero l’entusiasmo con cui gli americani guardavano al proprio modello politico e religioso. Per cui l’apprezzamento della “sana laicità” da parte di una Chiesa da sempre abituata a condizionare direttamente la politica degli Stati cattolici si presta inevitabilmente ad una lettura storica e articolata.

Quando uscì dalle catacombe la Chiesa, sostenuta dai prìncipi, divenne alleata dell’aristocrazia; fu così dappertutto nel Vecchio Continente. Pertanto, quando le idee democratiche cominciarono a diffondersi coincisero inevitabilmente con una reazione antireligiosa. Uno dei primi atti della Rivoluzione francese fu quello di abolire la religione. La democrazia si fece largo in Europa combattendo la Chiesa e la religione, senza distinguere tra le due, e maturando pertanto una forte avversione per entrambe. Altrettanto non è avvenuto in America dove la democrazia è da sempre sorretta da una forte sensibilità religiosa. Tocqueville aveva colto la differenza tra i due percorsi. Egli, che si dichiarava non credente ma non ostile alla religione, era convinto che la democrazia (la quale ha dimostrato di fiorire più facilmente nei paesi di tradizione cristiana) non possa maturare pienamente in un contesto d’indifferenza o di irreligiosità. Per cui, a suo avviso, l’Europa si trovava in una condizione di svantaggio rispetto agli Stati Uniti.

Bisogna perciò anzitutto intendersi sul significato di “sana laicità”: è sana quando non è laicismo, quando cioè non è aprioristicamente ostile alla religione, o è sana quando le istituzioni civili e religiose non interferiscono nelle sfere l’una dell’altra? La differenza tra i due concetti è tutt’altro che lieve. Nella prima accezione semplicemente la Chiesa auspica un atteggiamento non ostile verso di lei da parte del mondo politico e accademico. È un auspicio legittimo ma in sé non comporta alcun merito. Riconoscendosi nella seconda accezione invece la Chiesa riconosce come scorretto ogni tentativo di sconfinamento dalla propria sfera; ogni tentativo, cioè, di spingere un organo civile a produrre provvedimenti a sostegno, non dico delle sue istituzioni, ma anche delle sue dottrine quando ledono gli interessi e i convincimenti di quei cittadini che non aderiscono a quelle dottrine. Senza voler limitare al contempo la libertà di ogni singolo credente di portare “nel pubblico, ragionevole dibattito le proprie convinzioni religiose e i propri valori più profondi”, come ha ribadito lo stesso pontefice.

Il nostro auspicio è ovviamente che Benedetto XVI nell’esaltare i meriti della laicità si riferisca a entrambe le suddette accezioni, e che così intendendola consideri anch’essa come facente parte dei valori morali fondamentali in quanto baluardo a sostegno della libertà e della tolleranza. Perché se questi valori morali fondamentali, di cui Bush e il Papa si son dati reciproco riconoscimento, si limitano solo all’aborto e alla fecondazione c’è legittimamente di che preoccuparsi per la salute della democrazia. Se si vuol considerare vita umana da difendere quella dei feti e degli embrioni, a maggior ragione lo si deve quella dei condannati a morte. “Abbiamo bisogno del Suo messaggio che ogni vita umana è sacra”, confessava commosso il presidente americano al pontefice mentre lo riceveva alla Casa Bianca. E in quelle stesse ore la Corte Suprema respingeva (per 7 voti contro 2) il ricorso contro l’illegittimità delle esecuzioni capitali tramite iniezione letale in quanto punizione “inusuale e crudele”. Cinque membri della Corte su nove sono cattolici. D’altronde il Catechismo della Chiesa Cattolica ammette ancora, sia pure in casi rari, il ricorso alla pena di morte.

Difenderanno il Vaticano e gli Stati Uniti i valori morali fondamentali in un’ottica di tolleranza e nel rispetto della libertà di tutti? La Chiesa di norma invoca la libertà quando è in discussione la propria. Ha spesso denunziato la mancanza della libertà religiosa in Russia perché lì viene osteggiata. Al contempo denunzia aspramente l’attività di proselitismo che le “sette” protestanti compiono in America Latina, continente a maggioranza cattolica. Dell’instabile spirito di tolleranza americano abbiamo già detto. La stessa Costituzione non è nata tollerante e ci son voluti degli appositi successivi emendamenti per garantire la libertà di culto e di non ingerenza da parte della legislazione civile. Da allora sono stati innumerevoli i tentativi di abolire o modificare tali emendamenti allo scopo di introdurre leggi che rendano obbligatoria l’osservanza di norme religiose o dalla religione indotte. “Imponiamo le leggi della moralità cristiana a tutti coloro che vengono a stare in mezzo a noi”, sosteneva l’oratore principale nella prima convenzione della National Reform Association. E questo atteggiamento è tuttora molto diffuso tra l’opinione pubblica americana.

Una delle leggi di cui si è tornato spesso a chiedere l’introduzione è quella del riposo domenicale obbligatorio. Questa richiesta si fece particolarmente pressante alla vigilia della Grande Guerra. Allora non era raro sentire dall’alto dei loro pulpiti i predicatori minacciare: “Noi dobbiamo conservare la domenica, nostro sabato americano, e invitare l’ebreo a lasciare il paese se non è contento delle nostre istituzioni”. O ancora: “Se gli ebrei non desiderano conformarsi alle nostre leggi sulla domenica, essi non hanno altra scelta che andarsene”. Dopo la parentesi delle due guerre mondiali e della guerra fredda in cui il nemico da combattere era il neo-paganesimo e l’ateismo, sono ripresi i movimenti d’opinione che cercano di condizionare la politica partendo dalla morale individuale che nella società sempre più indifferente alla religione e imbevuta di “umanesimo laico” è vista in pericolo. Un ruolo importante in questa crociata di ricristianizzazione lo ha avuto quel forte movimento d’opinione sorto nei primi anni ’80 e noto con il nome di Moral Majority o nuova destra cristiana. Essa propugna il ritorno, con l’aiuto della politica, al rispetto dei Dieci Comandamenti compresa l’osservanza del giorno di riposo. Analoga è la posizione cattolica sull’osservanza del “giorno del Signore”, ovvero della domenica, visto come baluardo contro l’immoralità e come condizione necessaria perché Dio possa tornare a benedire la nazione e a preservarla dalle catastrofi naturali.

In occasione della sua visita in Austria, avvenuta nello scorso settembre, il Papa è tornato a parlare del Decalogo e del riposo settimanale. Ha criticato la visione legalistica con cui i dieci comandamenti sono stati proposti in passato, cioè quali secchi divieti che li hanno fatti subire come un laccio e non come un’apertura a Dio che ci ama e ci indica un modello di comportamento perché ci vuole liberi e non servi del male. Anche il comandamento del riposo settimanale andrebbe vissuto in questa prospettiva: né come un laccio né come semplice tempo libero pur necessario nella frenesia del mondo d’oggi. Poiché se il tempo libero non ha un centro interiore, se non è anche incontro con Dio “nostra origine e nostra meta”, allora finisce per essere un tempo vuoto che non ci rinforza e non ci ricrea. Il fatto poi che questo tempo possa essere fruito da tutti, non solo dà a tutti la possibilità di riflettere sul senso della vita ma fa percepire “in questo giorno qualcosa della libertà e dell’uguaglianza di tutte le creature di Dio”.

Quale cristiano di buon senso non condividerebbe questa riflessione? Non è giusto allora offrire a tutti la possibilità di partecipare alle benedizioni spirituali che offre il riposo settimanale, inteso come tempo d’incontro con Dio e saggio del riposo futuro? Certamente! Ciò che è sbagliato è volere imporre questo dono per legge. C’è infatti chi non riconosce nella Domenica, “ricordo della risurrezione e del mattino della creazione”, il giorno necessario di riposo ma è rimasto fedele al Sabato che più correttamente conserva il valore di “memoriale” della creazione di Dio. E tra questi ultimi troviamo non solo gli ebrei di religione israelita ma anche tanti cristiani. Per non dire di chi cristiano non è e vivrebbe come un sopruso ancora maggiore una tale costrizione.

Allora dove va a finire “quella sorta di aspirazione alla libertà” che promana dalla lettura del Vangelo, come constatava Tocqueville che pure confessava di non possedere il dono della fede? Sempre durante la sua visita austriaca, Papa Ratzinger ha parlato dell’intolleranza che ha accompagnato la storia dei cristiani ma che non trae origine dal Vangelo. “La fede cristiana non è intollerante per quanto vi possano essere delle buone ragioni per ritenerlo… A motivo della nostra storia abbiamo paura che la fede nella verità comporti intolleranza; se questa paura, che ha le sue buone ragioni storiche, ci assale, è tempo di guardare a Gesù” che accettò di consegnarsi inerme nelle mani dell’umanità come bambino e come vittima di un omicidio legalizzato. “La verità non si afferma mediante un potere esterno, ma è umile e si dona all’uomo solamente mediante il potere interiore del suo essere vera”. E ha concluso con queste parole: “La verità dimostra se stessa nell’amore. Non è mai nostra proprietà, un nostro prodotto, come anche l’amore non si può produrre, ma solo ricevere e trasmettere come dono…”.

La fede genuina non è intollerante. Ma l’uomo può essere molto intollerante, soprattutto quando si accosta alla fede per strumentalizzarla; non per esserne posseduto ma per possederla e usarla per i propri scopi. Nei primi anni dell’800, quando forte era la richiesta d’imporre l’osservanza della domenica mediante il potere civile, i sostenitori della separazione dei poteri, ecclesiastico e civile, osservarono con acutezza che “quando l’uomo pretende di farsi difensore di Dio, diventa demonio. Spinto dalla frenesia del suo zelo religioso, perde ogni sentimento di amore, dimentica i precetti più sacri della sua fede, diventa feroce e implacabile”.

Tra i fedeli venuti ad incontrare il Papa, in Austria, erano presenti rappresentanti dell’ Allianz für den freien Sonntag (Alleanza per la domenica libera), un cartello di organizzazioni cattoliche e protestanti che fanno pressione per un riconoscimento pubblico del riposo settimanale. Ho trovato questa presenza inquietante, perché è facile accostarla alle varie National Reform Association d’oltreoceano che si battono con vero spirito intollerante per lo stesso obiettivo. E allora è inevitabile tornare a questa difesa dei comuni valori morali fondamentali tra presidenza USA e Santa Sede. Quali strumenti s’intendono adoperare per difendere tali valori? Quelli dell’imposizione? E fin dove si spingerebbe la sanzione per i dissidenti? Fino alla multa, al carcere o, perché no, alla pena di morte? La Storia c’insegna che gli “eretici” hanno spesso pagato con la vita la loro “ostinazione”.

Non è allarmismo esagerato il nostro. Tempi difficili ci si profilano dinnanzi. Democrazia e carestia non vanno d’accordo; e la fine della guerra fredda ha riaperto scenari di odio tra i popoli dove la religione viene ostentata come baluardo a difesa delle rispettive civiltà. Ma come ha osservato Ramin Jahanbegloo, un accademico iraniano fatto recentemente sparire da quel regime, i conflitti di civiltà sono in realtà uno scontro tra intolleranze. Dell’intolleranza americana sappiamo già; ma quella degli europei in quali termini si esprimerà? Gli Stati Uniti hanno bisogno del Vaticano per meglio rapportarsi con gl’inaffidabili alleati europei. Ma la Chiesa come si muoverà concretamente in questa funzione di guida etica degli Stati cattolici europei? Gli scenari sono ancora aperti e suscettibili di sviluppi impensabili. Mentre l’Italia si batte per una moratoria delle esecuzioni capitali, i parlamenti europei stanno ratificando la Costituzione dell’Unione – il cosiddetto Trattato di Lisbona – che reintroduce furtivamente la pena di morte in caso “di guerra, di disordini, di insurrezioni”. Ci avreste mai creduto?
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