domenica 9 gennaio 2011

Concezione americana della decenza

Le gambette nella foto, tenute insieme da una catena per detenuti pericolosi e coperte da un paio di pantaloni abbondanti, sono quelle di Joseph McVay, un bambino di 10 anni che ha ucciso la madre con una fucilata alla testa. Per ragioni futili, a quanto pare: questa gli avrebbe chiesto di andare a raccogliere la legna da ardere. Joseph non è nuovo a scatti d’ira. Nel 2007 aveva colpito il direttore della scuola elementare con una paletta e per questo motivo era stato trasferito in un istituto per minori con problemi di comportamento. Anche se i vicini non lo descrivono come un bambino cattivo ci si chiede come sia possibile avergli lasciato la disponibilità di un’arma. Più d’una, in realtà. Nella sua cameretta, infatti, la polizia ha trovato, oltre all’arma del delitto, un fucile da caccia calibro 12 e, in una rastrelliera appesa alla parete, altre due carabine calibro 22. Peraltro la carabina con cui Joseph ha ucciso la madre gli era stata donata dal nonno, oggi defunto. Deborah, la madre, non era una persona eccentrica. Il figlio maggiore l’ha definita una donna molto affettuosa; come lavoro gestiva un centro d’assistenza sanitaria e insegnava a bambini disabili. E allora? Cosa non ha funzionato?

La sensazione è che sia proprio l’America che non funzioni. Essa fa dei suoi cittadini dei mostri e poi li distrugge. Con tutte le incongruenze di cui gli uomini sono capaci. Lì per farsi una birra ci vogliono 21 anni ma le armi si possono detenere liberamente. Ormai avviene così spesso che non fa più notizia; un ragazzino entra in classe e spara ai compagni e agli insegnanti. Subito viene mobilitata una squadra di psicologi per curare i traumi alle persone coinvolte ma a rivedere le leggi sul libero acquisto e la detenzione delle armi neanche a parlarne. C’è chi ci ha provato ma subito viene messo a tacere non solo dalle lobby delle armi ma dalla stessa opinione pubblica per la quale il Secondo Emendamento è intangibile e il possesso delle armi fa parte dei diritti individuali. Anzi la tendenza è quella di rafforzare ulteriormente questo diritto e quando, nel giugno del 2008, una sentenza della Corte Suprema ha compiuto un passo ulteriore in tale direzione, gli americani apprezzarono così tanto l’orientamento di quest’organo che d’un balzo la sua popolarità crebbe di sette punti. Quest’esercizio del diritto individuale alla violenza, sia pure per legittima difesa, è così radicato da non ritenersi in conflitto con l’insegnamento cristiano di cui gli americani si ritengono i migliori depositari. Ci sono chiese che giungono a organizzare l’Open carry celebration, una singolare manifestazione durante la quale tutti i fedeli sono invitati a venire alla funzione religiosa portando in tasca una pistola. Dopo il sermone segue il buffet e la lotteria che mette in palio pistole, fucili e videocorsi sull’uso delle armi. “Non vedo nessuna contraddizione fra possedere armi ed essere cristiano, – afferma Ken Pagano, pastore della New Betel Church di Louisville – Dio e le pistole sono parte della storia di questo paese… Il diritto a possedere armi non è vietato dalla Bibbia né è incostituzionale. Non tutti i cristiani devono essere per forza pacifisti”.

Quando poi il diritto alla violenza privata si trasforma in violenza agìta, soprattutto dalle persone più fragili per struttura mentale, per educazione o per età, allora non scatta la solidarietà collettiva, l’azione di recupero, bensì la pubblica vendetta. I minori sono le prime vittime di questo meccanismo perverso. La giustizia americana a malapena si accorge della loro peculiarità; le Family Court sono qualcosa di diverso dai tribunali minorili e ancor oggi negli U.S.A. in molti casi i minorenni vengono giudicati dai tribunali per gli adulti. Gli Stati Uniti, in buona compagnia della Somalia, sono l’unico paese a non aver ratificato la Convezione dei diritti del fanciullo approvata dall’ONU nel 1989. Anzi proprio in quell’anno la Corte Suprema stabiliva che era accettabile l’esecuzione di criminali di 16/17 anni, affermando che gli standard internazionali erano irrilevanti e che ciò che contava davvero era la “…concezione americana della decenza”. Lo stesso giorno sempre la medesima Corte stabiliva l’ammissibilità della pena di morte per gli imputati mentalmente ritardati. Da allora si è assistito ad un timido avvicinamento ai principi di diritto penale minorile portati avanti dagli “Stati industrializzati occidentali” per attenuare l’isolamento internazionale che vede gli Stati Uniti unica democrazia a consentire la “juvenile death penalty” per usare le parole di un giudice della Corte Suprema. Ma le distanze rimangono ancora abissali. Attualmente 24 Stati dell’Unione consentono l’esecuzione di minorenni all’epoca del reato. Il XXI secolo è cominciato con l’esecuzione di tre ragazzi 17enni al momento del crimine e tuttora sono detenuti un’ottantina di minorenni al momento del reato in attesa di esecuzione.

L’affermazione esasperata della libertà individuale e la giustizia muscolare sono in America le due facce di una stessa medaglia. L’uomo che si costruisce e che si difende da sé è anche l’uomo che disprezza chi fallisce nel realizzare questo progetto di autoaffermazione. Quella americana non è una società solidale e in ciò non trova contraddizione con la sua professione di cristianesimo. Perché in fondo l’etica degli americani è quella calvinista del successo come segno esteriore della predestinazione alla salvezza. Perciò chi fallisce non merita aiuto portando egli il disprezzo di Dio ancor prima di quello degli uomini. Poi va da sé che l’individualismo esasperato porta all’egoismo più sfrenato che si realizza pienamente nella più bieca economia di mercato. Nel nostro immaginario collettivo del dopoguerra gli americani sono quelli che si contrapponevano ai tedeschi delle razzie, sono quelli che lanciavano cioccolata ai ragazzini, sono quelli del piano Marshall, quelli che distribuivano farina, margarina, latte in polvere e indumenti. Perciò si fa fatica a credere all’anima profondamente egoista di questo popolo, ma è così (o, almeno, è sempre più così). Gli americani quando t’invitano al ristorante non offrono ma ognuno paga per sé. Gli americani sono quelli che hanno osteggiato ferocemente la riforma sanitaria voluta da Obama, approvata con mille compromessi, e che ora sono determinati ad abrogare.

Con ciò non intendo dire che quello americano sia il popolo più egoista e spietato al mondo. Dappertutto troviamo esempi che fanno rabbrividire. Se il modo in cui si trattano i bambini è la cartina di tornasole del senso morale di una società (per rifarci ad una constatazione del Bonhoeffer), allora ne troviamo di esempi ben più raccapriccianti. In Africa i bambini vengono scacciati ed anche uccisi se si pensa che portino sfortuna, vengono rapiti per farne milizie di assassini. In Pakistan gli scolari delle madrasse poco diligenti vengono bastonati a morte, in Iran il bambino che ruba un dolcetto si vede amputare la manina o stritolarla sotto le ruote di un camioncino. Però gli Stati Uniti sono quelli che si ritengono la prima democrazia al mondo e che ne fanno un modello d’esportazione. Tuttavia ancora mantengono la pena di morte, anche per i minori. E mentre vedono il welfare state come fumo negli occhi non si fanno problema a salvare con i soldi dei contribuenti quelle stesse banche che sbattono in strada chi non può più pagare il mutuo della casa.

Ma se Atene piange Sparta non ride. Noi europei troviamo rozzo il modello americano anche perché veniamo da un’evoluzione storica diversa. Gli stati Uniti, in senso stretto, non sono neppure la patria del capitalismo che è nato in Inghilterra, cioè in Europa. Un capitalismo spietato, senza alcuna tutela per i lavoratori, così ben descritto nei romanzi sociali di Dickens. Però l’Europa ha dovuto fare i conti con l’idea marxista, prima, e poi con una rivoluzione comunista davanti alla porta di casa. Il timore di finire travolti dall’onda rivoluzionaria fece reagire le classi dominanti prima con l’introduzione di timide riforme previdenziali rivolte a specifiche categorie e, nelle situazioni più esasperate, aprendo alla repressione dei vari nazionalfascismi. Poi, con il fallimento di questi regimi, introducendo lo stato sociale che mitigava le distorsioni dell’economia di mercato con politiche redistributive nell’ambito della previdenza, della salute e dell’educazione in senso universalistico, cioè non più diretto a determinate categorie ma come diritto di cittadinanza. Questo passaggio, che ha garantito in Europa una maggiore giustizia sociale, è avvenuto negli Stati Uniti in modo molto più attenuato anche perché meno esposti alle sirene delle teorie marxiste abbastanza lontane sia geograficamente che culturalmente dalla realtà americana. Ma sono anni ormai che la situazione sta mutando pure in Europa. Il crollo dei regimi comunisti, ben rappresentato dalla caduta del muro di Berlino, e le distorsioni in termini di sostenibilità dei sistemi di protezione sociale stanno portando a un ripensamento delle politiche di welfare, che di fatto si sta concretizzando in un loro graduale smantellamento. La parola d’ordine è privatizzazione: dei servizi pubblici e persino dei beni indisponibili come l’acqua. Affidando all’economia di mercato i servizi pubblici, i governi di centrosinistra e ancor più di centrodestra stanno introducendo una distorsione in senso contrario e ancor più grave di quella provocata dalle politiche di welfare. Infatti il processo di privatizzazione dei servizi non si limita a sottrarre questi a un ripianamento dei costi mediante i fondi pubblici ma introduce l’elemento del profitto, peraltro massimizzato grazie alle connivenze con la sfera politico amministrativa. Gradualmente i paesi occidentali stanno precipitando in un’economia di mercato senza regole e senza tutele per il cittadino e per il consumatore, con un allontanamento tra loro delle classi sociali e con un accentramento delle ricchezze in mano a pochi come non si verificava dal XIX secolo. Mala tempora currunt!

La giustizia sociale è strettamente connessa alla giustizia dei tribunali. L’adeguamento dei codici e le sentenze dei giudici rispecchiano inevitabilmente il contesto sociale di riferimento. Il nostro sistema giudiziario ha già le sue contraddizioni storiche che lasciano convivere una scarsa repressione del crimine con un sistema carcerario medievale, per nulla volto al recupero del detenuto. Se a queste contraddizioni aggiungiamo quelle che si vanno affacciando nel corpo sociale in termini antisolidaristici e giustizialisti, dobbiamo aspettarci un incrudimento dei rapporti interpersonali e, a seguire, delle norme che li disciplinano. Forse da noi non vedremo mai un bambino incatenato mentre viene condotto davanti ai giudici, forse nemmeno un adulto, perché queste prassi sono troppo lontane dalla nostra sensibilità, dalla nostra “concezione della decenza”; anche se la sensibilità può cambiare quando cambiano le circostanze. Ma al di là delle forme è il mutamento dei contenuti che dobbiamo aspettarci e temere di vedere. Dopo due secoli di crescita, le società occidentali sono in evidente fase di declino rispetto alle economie emergenti dell’estremo oriente. Va anche male lo scontro di civiltà contro il mondo di cultura islamica. I popoli occidentali non accetteranno pacificamente questo inarrestabile declino e ognuno si difenderà a modo suo. Quella americana è una società violenta e lì una recrudescenza di violenza fisica dobbiamo attenderci ad ogni livello, anche istituzionale. Emblematico l’attentato di ieri contro la deputata democratica Gabrielle Giffords, gravemente ferita da un pistolero squilibrato e nella lista di proscrizione della leader dei Tea Party, Sarah Palin, distintasi per la violenza verbale con cui il suo gruppo ha condotto la recente campagna elettorale. Qui troviamo insieme i due elementi delle armi facili e dell’intolleranza esasperata che trasforma gli avversari in nemici. Odio e bigottismo spingono verso le leggi speciali e le rendono plausibili. Il maccartismo insegna. Quella europea è una civiltà più vincolata sotto questo aspetto. Alcuni fanno notare l’analogia che c’è tra il nostro tempo e quello che precedette l’avvento del fascismo: l’ingiustizia sociale, l’irrequietezza della classi impoverite, il desiderio di difendere a tutti i costi i privilegi acquisiti, l’inettitudine e la corruzione della classe politica, la voglia di mettere il bavaglio alla libera informazione. Questo non si può negare. Però è anche vero che allora si dava credito alle dottrine sulla razza, si vedeva nella guerra uno strumento legittimo per dirimere le controversie, per accrescere lo “spazio vitale”, per estendere la propria civiltà. Allora non c’era l’Unione Europea. Tutto questo comporta dei vincoli maggiori, sia culturali che giuridici. Pertanto ciò che io m’attendo è sì uno sviluppo della violenza, soprattutto in ambito interpersonale, che è inevitabile con l’aumento delle ingiustizie e con l’impoverimento del contesto sociale; ma in ambito istituzionale tale violenza, che pur produrrà i suoi effetti, si tradurrà in un imbarbarimento dei contenuti ancor più che delle forme, da noi più vincolate ai codici e ai trattati internazionali. Di recente è stato chiesto a Lucio Caracciolo, direttore di Limes, se ritenesse che la Russia di Putin, formalmente una democrazia, possa avvicinarsi col tempo, in tema di libertà e di diritti umani, agli standard delle democrazie occidentali. La sua risposta è stata: “Dato il vento che tira, temo purtroppo che saremo noi ad avvicinarci agli standard della Russia”.


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