sabato 12 settembre 2009

Ellen G. White, una voce per il nostro tempo

Ellen Gould Harmon e la sorella gemella Elizabeth, ultime di otto fratelli, nacquero a Gorham, Maine, il 26 novembre 1827. Robert Harmon, il padre, era un agricoltore intraprendente che, nelle pause invernali e con l’aiuto dell’intera famiglia, integrava le entrate della fattoria confezionando cappelli. Di lontane radici puritane, egli era un membro attivo della Chiesa metodista di Portland, con “capacità di esortazione ed era un responsabile dei gruppi familiari”, annoterà in seguito Ellen. La madre Eunice è anch’essa descritta come una persona dai saldi principi morali e dalle forti convinzioni religiose; viene ricordata come la sua confidente spirituale e una convinta sostenitrice dell’immortalità condizionata; dottrina nuovamente predicata dopo secoli di oblio. Dalle descrizioni che Ellen ci dà della sua famiglia appaiono come centrali quei valori quali l’onestà, il senso del dovere, la laboriosità, l’amore per la conoscenza e, a monte, la serietà spirituale e l’attaccamento alla Bibbia – tutti elementi centrali della migliore tradizione puritana – che certamente orientarono sul piano educativo questo grosso nucleo famigliare. Il quadro che emerge è quello di un ambiente severo ma giusto e amorevole. A questa sana atmosfera contribuì pure il contesto fisico che caratterizzò la prima infanzia di Ellen. La sua fattoria sorgeva in cima ad una collina, a tre chilometri dal centro abitato. Circondata dai campi coltivati che più in là cedevano i posto agli alberi secolari, dei boschi infiniti, che ancora oggi caratterizzano il paesaggio del Maine. La sua fu un’infanzia libera e felice vissuta a contatto con una natura incontaminata, ricca di vita e di colori, avvincente nei contrasti stagionali. Quell’ambiente sano e naturale sarà sempre da lei ricordato con nostalgia e contribuì, senz’altro in misura notevole, a maturare in lei una vita spirituale spontanea e intensa.


Il trasferimento a Portland e l’incidente della pietra

Tra il 1831 e il 1833 la famiglia Harmon si trasferì nel circondario di Portland, la città più importante del Maine. Il commercio dei cappelli era diventato la maggior fonte di reddito per il nucleo e la vicinanza con il principale mercato di quel territorio semplificava la vita al padre Robert. A sei anni la piccola Ellen venne iscritta ad una scuola vicino casa che ella frequentò con entusiasmo e profitto sino all’età di nove anni. Fino a quel momento la bambina era vissuta sana e felice, amata e coccolata dai suoi cari, così come di norma avviene ai più piccoli in famiglia. Ma un evento drammatico si profilava all’orizzonte; un fatto in sé banale ma che avrebbe stravolto la vita della piccola Ellen, rubandole l’infanzia e mutando il corso della sua esistenza. Lei stessa narrò quell’episodio già in uno dei suoi primi libri. Leggiamone uno stralcio: “Stavo attraversando un parco della città di Portland, Maine, quando una ragazzina di tredici anni ci seguiva cercando di colpirci. I nostri genitori ci avevano insegnato a non litigare con nessuno, ma di correre a casa quando si fosse profilato un simile pericolo. Stavamo facendo questo, correndo verso casa, ma, ma la ragazza continuava a correrci dietro con una pietra in mano. Mi girai per vedere a che distanza fosse ed appena lo feci la pietra colpì il mio naso; i miei vestiti furono presto insanguinati e una scia di sangue mi segnò”. Ellen perse conoscenza e fu portata a casa. Rimase in coma per tre settimane. I medici la dettero per spacciata e non consigliarono il ricovero in ospedale, anche perché per quella che adesso definiremmo una forte commozione cerebrale allora la medicina non aveva strumenti né diagnostici né terapeutici. Dopo tre settimane, a dispetto della prognosi, la bambina riprese conoscenza ma i suoi problemi erano solo all’inizio. Smagrita e sfigurata, suo padre stentò a riconoscerla al ritorno da un suo viaggio di lavoro. Era estremamente debole, soggetta a frequenti svenimenti e impossibilitata a respirare dal naso; si sentiva venir meno e cominciò a pregare perché il Signore la preparasse a morire. Ma evidentemente non erano questi i piani di Dio. Lentamente cominciò a star meglio, ma non a sufficienza per consentirle di riprendere a frequentare la scuola a cui tanto lei teneva. Infatti ci provò ma dovette rinunciare. In quei giorni la sua feritrice, profondamente rammaricata per le conseguenze del suo atto, le fu amorevolmente vicina, d’altra parte i genitori di Ellen evitarono di citare per danni la famiglia agiata della ragazzina.

Ancor più che le sofferenze fisiche, pesarono su Ellen quelle morali. A causa del volto deturpato dall’incidente, dovette apprendere la dura lezione di quanto condizionati siano i sentimenti della gente dai fattori esteriori. Infatti la maggior parte dei compagni l’allontanò. Tuttavia da quest’amara esperienza, la salute spirituale di Ellen non solo non subì contraccolpi negativi ma al contrario ne uscì rafforzata. Ella si volse al suo Salvatore per cercare conforto e trovò consolazione. Lei stessa più tardi farà quest’osservazione: “Io arriverei perfino a ringraziare Dio per l’incidente che è stato la prova della mia vita. È stato il mezzo capace di fissare i miei pensieri nell’eternità. Per natura orgogliosa e ambiziosa, avrei potuto non essere inclinata a dare il mio cuore a Gesù”.

La biografia di questa donna dimostra quanto fondata sia tale considerazione. Al suo posto molti si sarebbero risentiti e ribellati contro la vita, contro Dio e contro il genere umano. Avrebbero sviluppato un atteggiamento disilluso e rivendicativo. Per lei invece quest’incidente si rivelò un’opportunità. Elaborate dalla fede, le sue ferite fisiche e morali alimenteranno una religiosità tenace, concreta ed equilibrata; istintivamente scevra da ogni tendenza al fanatismo e all’estremismo; orientata verso Dio e verso il prossimo. Ne trasse anche un beneficio intellettuale. L’impossibilità a compiere degli studi regolari, stimolò in lei un tale desiderio di conoscenza da farne una grande autodidatta. Ella si formò una cultura vasta, finalizzata alla propria missione e priva di quella supponenza che tende a inculcare l’ambiente accademico. Persino la salute fisica, per lunghi anni assai precaria, col tempo trasse beneficio dal suo vigore spirituale al punto, paradossalmente, di migliorare sensibilmente in vecchiaia. Perché il paradosso che possiamo cogliere nella vita di questa donna, all’apparenza minuta e fragile, è proprio quello evangelico rivelato dal Signore all’apostolo Paolo: “La mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza".


L'incontro con il movimento millerita

L’incontro di Ellen con l’insegnamento millerita avvenne all’età di otto anni quando, tornando da scuola, trovò per strada un ritaglio di giornale nel quale era scritto che il ritorno di Gesù sarebbe avvenuto da lì a pochi anni. Riferendosi a quell’episodio, in seguito ella scrisse: “Fui colta dal terrore, dormii poco per diverse settimane, pregando continuamente per essere pronta quando Gesù sarebbe ritornato”. Mancava ancora un anno all’incidente e sorprende l’interesse e, ancor più, l’inquietudine con cui la bambina aveva accolto quella notizia. C’era una ragione che spiega quella reazione. Ellen e la sua famiglia erano membri della chiesa metodista. L’insegnamento di quella chiesa, allora, era spesso centrato sulla necessità della purificazione e sulle pene dell’inferno a cui erano destinati i reprobi. Tale insegnamento sull’animo sensibile della piccola Ellen provocò un turbamento spirituale che riuscirà a superare solo dopo diversi anni. La lezione da lei recepita era quella di dover raggiungere la perfezione assoluta per essere accetti a Dio e la prova di tale stato di grazia si sarebbe manifestata con un’esperienza di estasi spirituale. La mancanza di tale prova era segno della riprovazione divina che si sarebbe tradotta nell’eterna perdizione, ovvero, nelle pene dell’inferno eterne quanto l’eternità di Dio. Da un lato Ellen sentiva di amare Dio, dall’altro era alle prese con alcuni equivoci teologici – ovvero con il timore ossessivo della propria indegnità, con la confusione tra emotività e spiritualità e con la paura delle pene eterne – che distorcevano il vero carattere di Dio. Ecco perché il pensiero di un imminente ritorno di Cristo, inteso più come giudice che come salvatore, le provocava tanta angoscia. “C’era nel mio cuore – ella scrisse – il sentimento di non essere degna di essere chiamata figlia di Dio… Mi sembrava di non essere buona abbastanza per poter entrare nel cielo”.

Nel marzo del 1840 William Miller predicò con grande successo a Portland, e la famiglia Harmon aderì con entusiasmo al suo messaggio. Anche Ellen, allora poco più che dodicenne, era rimasta profondamente impressionata dalla predicazione dell’avvento che – a dire di Miller – si sarebbe verificato all’incirca tre anni più tardi. Al contempo, a causa di questa prospettiva, ella si sentiva sopraffatta dal sentimento della propria indegnità. Le sue angosce cominciarono ad attenuarsi nell’estate del 1841 quando partecipò al camp-meeting metodista di Buxton, nel Maine. Lì udì un sermone in cui veniva chiaramente spiegato che il favore di Dio lo si ottiene attraverso l’unione con Cristo. È grazie alla fede che il peccatore, ripieno di speranza, diviene un credente figlio di Dio e non facendosi merito delle proprie opere e dei propri sforzi verso un impossibile autoperfezionamento. Ma l’evento decisivo che diede finalmente pace al suo cuore fu il colloquio, suggeritole dalla madre, con l’anziano Levi Stockman. Questi, un vecchio pastore metodista che aveva aderito al movimento millerita, dopo avere ascoltato la ragazzina che gli confidava i propri timori, carezzandole paternamente i capelli le parlò dell’amore di Dio e del piano della redenzione. La rassicurò sul fatto che il Creatore non gioisce della distruzione dei peccatori ma anzi è intensamente impegnato nel loro recupero. Infine la congedò con le parole: “Va’ libera, Ellen. Ritorna a casa fiduciosa in Gesù, Egli non nega il suo amore a chi lo cerca sinceramente”. Da quel momento Ellen guardò a Dio come a un padre tenero e gentile, e si dissolse in lei l’immagine del giudice inesorabile pronto a cogliere in fallo l’uomo peccatore. Questa nuova visione di Dio veniva resa possibile anche dal superamento della dottrina dei tormenti eterni, che pur estranea all’insegnamento biblico, era presto prevalsa nella teologia delle chiese fornendo di Dio l’immagine di un essere inesorabile, capace di torturare le proprie creature per tutta l’eternità, con il risultato di allontanare dalla fede tante persone di buon cuore e di buon senso. Ora l’affetto di Ellen poteva volgersi al suo Signore senza che più alcuna ombra si frapponesse sul suo percorso di fede; adesso ubbidire alla sua volontà e porsi al suo servizio erano divenute un’esperienza naturale e gioiosa. La scoperta del vero carattere divino, così diverso da quello che gli uomini in genere rappresentano, fece sorgere in lei il desiderio di condividerla con gli altri e di fatto divenne il cavallo di battaglia della sua missione.

Nel giugno del 1842 William Miller ritornò a Portland per tenervi una serie di conferenze, e sempre in quel mese, al ritorno da un camp-meeting metodista, Ellen chiese il battesimo. Sebbene la formula più diffusa in quella chiesa fosse quella dell’aspersione, lei scelse l’immersione, convinta che fosse l’unica prevista dalla Bibbia. Il rito venne officiato nelle acque agitate della Casco Bay in cui lei scese insieme ad altri 11 catecumeni. Era il 26 giugno 1842 ed Ellen non aveva ancora compiuto 15 anni. La sua salute fisica era malferma a causa dell’incidente occorsole sette anni prima, ma la scoperta del carattere amorevole di Dio unita a quella dell’imminente ritorno di Gesù le diedero tanta determinazione per approfondire queste dottrine e per condividerle con altri nei gruppi di studio metodisti. E infatti riuscì a condurre molti giovani amici alla fede in Gesù. Decise anche di guadagnare del denaro per sostenere la diffusione del messaggio dell’avvento. E questo, in termini di fatica, le costò molto a causa della sua salute precaria. Dopo essersi consultata con la famiglia, si mise a sferruzzare calze e ad aiutare il padre nella confezione dei cappelli; e i pochi spiccioli che riusciva a guadagnare servivano ad acquistare stampati da distribuire gratuitamente per diffondere il messaggio dell’avvento. “Il mio cuore era così debole che ero obbligata a sedere sul letto per fare questo lavoro; ma giorno dopo giorno io ero seduta lì, felice che le mie dita tremanti potessero far qualcosa che contribuisse alla causa che io amavo così caramente. Venticinque centesimi al giorno fu tutto quello che potevo guadagnare”, scriverà più tardi riferendosi a quel periodo.

Ellen e la sua famiglia, zelantemente coinvolte nella predicazione profetica di Miller, finirono per attirarsi gli strali della compassata comunità metodista. Allora in gran parte delle chiese prevaleva il convincimento che Gesù sarebbe tornato dopo un millennio di prosperità e di pace (postmillennarismo). Miller predicava invece che il ritorno di Gesù si sarebbe verificato prima del millennio apocalittico (premillennarismo), e che anzi esso era proprio alle porte. La dottrina premillennarista era quella ortodossa, da sempre insegnata dalla chiesa, però in quel momento storico, soprattutto negli Stati Uniti dove andava forte la dottrina del Destino Manifesto, dominava il postmillennarismo. Si veda a tal proposito l’articolo “William Miller e l’attesa del Secondo Avvento”. In questo contesto i milleriti erano minoranza, per giunta sempre più fastidiosa man mano che si avvicinava il tempo previsto per l’avvento. Così gran parte degli appartenenti a questo movimento, di fronte all’alternativa di tacere o d’andarsene, preferirono l’espulsione dalle loro chiese. La famiglia Harmon non fece eccezione, e nel settembre del 1843 sette dei suoi membri furono sbrigativamente radiati dalla locale chiesa metodista episcopale di Chestnut Street, Portland.

Queste espulsioni ferirono i milleriti e provocarono loro disagio, perché quello di Miller era un movimento interconfessionale, non era organizzato in denominazione, così essi si ritrovarono all’improvviso senza una chiesa a cui appartenere. Comunque, sicuri che Gesù sarebbe tornato entro pochi mesi, avevano altro su cui concentrarsi. E con quella speranza nel cuore rafforzarono i momenti d’incontro e d’incoraggiamento in vista dell’appuntamento con il loro Signore. Andò avanti così fino al 21 marzo del 1844, il limite fissato da Miller entro cui si sarebbe dovuto verificare l’avvento. Fino a quel momento fu un crescendo di sforzi, di fervore e di adesioni. 200 pastori, sostenuti da migliaia di credenti che rinunciavano ai propri beni per sostenere finanziariamente la proclamazione del messaggio, infiammavano i raduni e raccoglievano folle sempre più entusiaste. Ellen, appena sedicenne, partecipava a quest’entusiasmo e nel suo piccolo offriva il suo contributo.

Dicevamo che William Miller aveva previsto il ritorno di Cristo per un tempo approssimativo che andava dal 21 marzo 1843 al 21 marzo dell’anno seguente, in considerazione dell’anno ebraico. Per i dettagli si rinvia all’articolo “William Miller e l’attesa del Secondo Avvento”. Qui richiamiamo alla memoria solo alcuni punti. La sua cronologia si basava soprattutto sulla profezia dei 2300 giorni/anni che si trova nel libro di Daniele. Il metodo da lui seguito era quello storicistico e le conclusioni a cui giunse erano tutt’altro che inedite. Molti studiosi seri e competenti, di ogni appartenenza cristiana, facevano scadere quella profezia cronologica nel medesimo periodo, e non pochi di loro interpretavano l’evento finale descritto nella profezia (ovvero la purificazione del santuario) con il ritorno di Gesù e la distruzione del mondo. E stava qui il punto debole di questa interpretazione, negli altri aspetti molto ben documentata, ma assolutamente arbitraria nell’interpretazione dell’evento finale. E qui cadde pure Miller, evidentemente tratto in errore dalle conclusioni di coloro che lo avevano preceduto.

Così giunse il 21 marzo 1843 e giunse pure il 21 marzo del 1844 ma la tanto attesa parusia non si verificò. Il popolo avventista, come c’era d’attendersi, non la prese bene. Ma neppure malissimo. In fondo Miller non aveva fissato una data precisa. In seguito quell’appuntamento mancato venne ricordato come la “piccola delusione” o “delusione di primavera”, e i giorni che seguirono furono definiti “il tempo del ritardo”. I più pensarono a un errore di calcolo o a una semplice dilazione voluta da Dio stesso per mettere alla prova la sincerità di coloro che lo attendevano. Le defezioni ci furono ma il movimento non si sfasciò. La nostra Ellen ricorderà così quei giorni: “Con pacata solennità, i veri credenti si erano mantenuti in una dolce comunione con Dio... Nessuno che carezzò quella speranza potrà dimenticare quelle preziose ore di attesa, e quando l’evento previsto non si concretizzò vi furono defezioni tra i più superficiali, ma il grosso del gruppo non demorse. Eravamo perplessi e sconcertati, ma non rinunciammo alla nostra fede... Sentimmo che avevamo fatto il nostro dovere, avevamo vissuto la nostra preziosa fede; eravamo perplessi ma non scoraggiati”. Ellen fa qui riferimento all’intensa esperienza spirituale che vissero in quei giorni d’attesa gli avventisti milleriti, già in sé profondamente appagante.

Ancora più appaganti furono i mesi che seguirono. Senza enfasi infatti Ellen osservò: “Quello fu l’anno più felice della mia vita”. Nel mese di agosto il predicatore millerita Samuel Snow suggerì il collegamento della profezia di Daniele con il rito autunnale dello Yom Kippur, la purificazione del tempio ebraico che si celebrava il decimo giorno del settimo mese ebraico e che in quell’anno, il 1844, cadeva il 22 ottobre. L’immagine del sommo sacerdote che usciva dal luogo santissimo per benedire il popolo era la figura di Cristo che tornava per benedire coloro che lo attendevano. Così si riaccesero le speranze per il popolo dell’avvento, e lo stesso Miller, dapprima riluttante a fissare date, finì per aggrapparsi completamente a quella possibilità. I fedeli avventisti, sfoltiti dei meno sinceri e motivati che in primavera avevano lasciato, ancora più compatti e zelanti ripresero ad aspettare il grande evento. Si convinsero che quella era la volta buona. Presto avrebbero dovuto sostenere lo sguardo del sommo Giudice, e in spirito di preghiera cominciarono ad analizzare i propri pensieri alla ricerca di zone d’ombra da portare alla luce. Vissero così un’esperienza di comunione con il Cielo che già in sé era una benedizione e rappresentava un’anticipazione dell’atmosfera che avrebbero respirato nella città di Dio.

Ma anche il 22 ottobre passò via come un giorno qualunque. Stavolta la delusione fu cocente. Tutti piansero amaramente e il popolo dell’avvento andò in mille pezzi. Molti rinunciarono alla fede e molti altri tornarono umiliati nelle loro chiese d’origine. Quella prova fu ricordata come la “grande delusione”, grande perché profonda, in quanto l’esperienza religiosa di chi la visse in prima persona era seria, sincera, non viziata da fanatismi né da tornaconti personali, come osserva Giorgio Bouchard nel suo saggio storico “Puritanesimo e democrazia in America”. Proprio per questo, altri milleriti rifletterono sul fatto che la loro esperienza spirituale era stata un fatto reale, oltre che sincero. Avevano avvertito intensamente la presenza di Dio e da quella comunione avevano tratto una grande benedizione. Come pensare che dietro quell’esperienza non vi fosse la volontà del Cielo? Ma allora dove avevano sbagliato? Quel 22 ottobre era davvero successo qualcosa, e in caso affermativo che cosa? Questi milleriti che avevano conservato la fede, in generale credevano ancora nella prossimità del secondo avvento, ma tra loro regnava una grande confusione su quel che era davvero accaduto il 22 ottobre. Alcuni continuarono a credere che qualcosa fosse successo, ma la maggior parte, tra la fine di novembre e i primi di dicembre, giunse alla conclusione che il 22 ottobre non fosse accaduto nulla; che si erano sbagliati non sull’evento ma sulla data.

Anche Ellen la pensava così. Nonostante quella brutta prova la sua fede non era venuta meno. Scriverà ricordando quei momenti: “Eravamo perplessi ma non scoraggiati. Risolvemmo di astenerci dal mormorare e di accettare la dura prova con la quale il Signore ci stava purificando… Dopo lo sconcerto, le Scritture vennero accuratamente esaminate, con onestà e con spirito di preghiera”. Ma in seguito alla delusione la sua salute precaria, prima sostenuta dall’entusiasmo e dalla speranza, peggiorò notevolmente. Nella stessa città viveva una sua amica, Elizabeth Haines, che aveva solo qualche anno più di lei. Questa, all’inizio di dicembre, la invitò a trascorrere un periodo di riposo a casa sua con la speranza che potesse giovare alla sua condizione. Come lei, la signora Haines era una millerita irriducibile. Quotidianamente essa s'incontrava con alcune vicine per pregare e studiare la Bibbia al fine di trovare risposte alle perplessità suscitate dalla grande delusione. Ellen accettò l’invito dell’amica e trovandosi lì partecipò anche lei a queste riunioni di preghiera. Dal suo stesso racconto apprendiamo che durante una di queste riunioni, mentre le persone presenti chiedevano in preghiera a Dio luce sulla drammatica esperienza appena vissuta, ella fu protagonista di un episodio inatteso e stupefacente. Ma prima di proseguire nel nostro racconto, occorre fermarci per un’opportuna digressione.


Una regia non sempre invisibile

Considerando gli eventi revivalistici del XVIII e del XIX secolo, per la vastità delle aree coinvolte e per la forza con cui toccavano le coscienze, l’occhio esercitato della fede non può fare a meno di scorgervi una regia soprannaturale. La storia d’Israele e della Chiesa mostra un Dio che nella misura del possibile tende ad agire con discrezione, che non impone la sua presenza e la sua parola. Nella misura del possibile, però. Perché ci sono momenti in cui Egli sembra attenuare la rigidità di questa regola. Per quel che riguarda i tempi recenti, qualcuno ha fatto notare che quando la Chiesa trascura una dottrina fondamentale, questa suole riproporsi a tempo debito all’attenzione della cristianità con impeto irresistibile. Avvenne così nel XVI secolo con la dottrina della giustificazione per fede, e altrettanto avvenne nel XIX secolo con la trascuratissima dottrina del ritorno di Cristo. Gli uomini fanno i fatti loro nella misura in cui Dio glielo consente. Una misura ampia ma non assoluta. Egli conduce la Storia verso il suo epilogo e nella Chiesa prepara, se necessario con mezzi esplicitamente soprannaturali, un rimanente che testimoni e attenda il più solenne degli appuntamenti. Gli angeli hanno parlato ai cuori dei riformatori ma hanno anche fatto di più. Alcuni fatti sono rimasti segreti ma altri sono trapelati o si son proprio imposti all’attenzione della gente. Hentzepeter, che in Olanda predicò sul tema escatologico e che nel 1830 pubblicò un trattato sull’argomento, rivelò che il suo interesse fu richiamato da un sogno che lo aveva impressionato profondamente. Abbiamo già detto dei bambini predicatori nei paesi scandinavi. Lì era proibito ai laici predicare e visto che i chierici non parlavano del ritorno di Cristo lo fecero i bambini, a centinaia. Bambini normalissimi, che non avevano alcuna conoscenza in materia, ma che d’improvviso si alzavano nelle chiese e nella case e annunciavano con voce squillante che la fine del mondo si avvicinava e che era necessario pentirsi e prepararsi a incontrare il Signore. Il fenomeno ebbe vasta eco sui giornali e fu monitorato dalle autorità sanitarie; esiste in proposito una relazione tecnico-legale, pubblicata nel 1843, che evidenzia un fatto scientificamente inspiegabile che accompagnava tali eventi: quando i bambini erano sospinti da questa forza misteriosa sospendevano la funzione respiratoria. Il cuore batteva ma i polmoni si fermavano. La voce era potente ma senza emissione di fiato. Un fenomeno fisiologicamente inspiegabile e incompatibile con la vita.

A migliaia di chilometri di distanza, al di là dell’oceano, sempre in quegli anni, qualcosa di simile si verificò nell’ambito del risveglio millerita. William Ellis Foy (1818-1893) era un afroamericano, membro della chiesa battista del libero arbitrio, che si accingeva a divenire ministro di culto. Per sua stessa testimonianza, in un primo momento, egli era “contrario alla dottrina del prossimo ritorno di Gesù”. Il 18 gennaio 1842 mentre si trovava in chiesa, a Boston, durante il servizio religioso ebbe una visione che durò circa due ore e mezzo. “Il respiro mi abbandonò”, disse in seguito. E un medico che si era precipitato a soccorrerlo dichiarò che egli non dava segni di vita eccetto che nella regione del cuore. Una seconda visione egli l’ebbe il 4 febbraio seguente, sempre mentre attendeva ad una funzione religiosa. Stessi sintomi, solo che stavolta lo stato di “trance” durò molto più a lungo: 12 ore e mezzo. Cosa vide il giovane Foy in queste visioni? In estrema sintesi, nella prima vide la retribuzione degli empi e l’accoglimento a casa dei salvati. Questi ultimi, radunati in grandi gruppi ognuno sotto la guida di un angelo guardiano, venivano accolti da Cristo nella città celeste. Al risveglio, Foy sentì la spinta a raccontare quel che aveva visto ma, con la scusa che non aveva ricevuto alcun esplicito comando a farlo, tenne la cosa per sé. L’idea di esporsi al ridicolo lo spaventava. Sapeva del pregiudizio dei milleriti contro ogni forma di fanatismo, e del pregiudizio dei loro detrattori contro chiunque parlasse di fine del mondo. Soprattutto conosceva il pregiudizio della gente contro le persone di colore come lui. Fu con questo stato d’animo che ricevette la seconda visione; lo racconta egli stesso: “Mentre stavo così in piedi, cominciai a riflettere sulla mia disobbedienza; e mentre ero preso da questo pensiero, all’improvviso udii una voce, dentro di me, che mi parlava. Immediatamente caddi per terra e persi ogni cognizione del mio corpo, finché non furono trascorse dodici ore e mezzo, come in seguito mi fu detto”. La visione ricevuta stavolta, volendo essere sintetici, mostrava due scenari. Nel primo egli vide un angelo potente diretto verso la terra a cui mancavano ancora tre passi da compiere. Si udì allora una voce forte e spaventevole che lasciava intendere che la fine non sarebbe giunta finché quei tre passi non fossero stati compiuti. Il secondo scenario mostrava una moltitudine di gente, composta da coloro che erano stati risvegliati dalla morte e da coloro che la morte non l’avevano conosciuta, in piedi davanti al tribunale di Dio per ricevere il loro premio. A questo punto egli ricevette l’ordine di raccontare quanto aveva visto ai suoi consimili perché fossero avvertiti e potessero sfuggire all’ira a venire. E ricevette pure la promessa che sarebbe stato aiutato dall’alto a portare avanti questo compito. Riavutosi da quest’esperienza singolare, Foy trascorse alcuni giorni nell’angoscia al pensiero di quel che lo attendeva. Finché il pastore di una chiesa di Boston lo invitò a raccontare le sue visioni in un’assemblea pomeridiana organizzata per l’occasione. A dispetto dei suoi timori, il suo racconto riscosse molto interesse ed egli fu invitato in molte altre chiese della Nuova Inghilterra per parlare di quel che aveva visto. Al contempo egli si unì ai milleriti nella proclamazione del messaggio dell’avvento. Dopo la grande delusione, Foy pubblicò queste visioni in un opuscolo, ove riportò pure le dichiarazioni di alcuni testimoni oculari e del medico che lo aveva visitato durante una delle due esperienze. Secondo alcune testimonianze egli avrebbe ricevuto una terza visione prima dell’ottobre 1844 che tuttavia non comprese, decidendo di non renderla pienamente pubblica. In questa egli avrebbe visto il popolo di Dio percorrere un sentiero che conduceva alla città celeste. Per tre volte il percorso incontrò un terrazzamento su cui la folla doveva salire e concentrarsi. Ogni tanto qualcuno cadeva da questi ripiani e usciva dalla visuale. Di lui si diceva: “Ha apostatato”. Il terzo ripiano si estendeva sino alle porte della santa città, e su di esso finalmente si raccolse una folla immensa. Come si è detto, questa visione non è stata pubblicata. Quanto a William Foy, una recente indagine ha appurato che egli, dopo l’esperienza millerita, proseguì nel suo ministero pastorale presso la chiesa battista. Negli anni ’60 si stabilì a East Sullivan, sempre nel Maine, ove lasciò un buon ricordo per le sue doti sia umane che pastorali. Morì a 75 anni d’età e la sua sepoltura è visibile ancora oggi.

Hazen Foss (1819-1893) fu un coetaneo di William Foy. Erano entrambi giovani di buona presenza, di fine educazione, con facilità d’eloquio. Singolarmente, condivisero anche l’anno della morte. Ma le loro scelte di vita presentano anche delle differenze significative. Pure Foss era un millerita convinto e credeva fermamente che Gesù sarebbe tornato il 22 ottobre 1844. Alcune settimane prima di quella data anche lui ebbe una visione. Anche lui vide il popolo dell’avvento in viaggio verso la città di Dio e i pericoli a cui esso era esposto. Vide il sentiero con i tre dislivelli (steps) da superare. Gli furono dati alcuni messaggi d’avvertimento di cui farsi tramite, e gli furono fatte vedere le prove e le persecuzioni che avrebbe dovuto subire dal momento che fosse stato fedele alla missione assegnatagli. Ma Foss non fu fedele. Da un lato il contenuto della visione, con il lungo cammino irto d’ostacoli degli avventisti milleriti, parve incomprensibile a lui convinto che l’appuntamento con la parusia fosse solo questione di giorni. D’altro canto il suo carattere orgoglioso lo tratteneva dal raccontare quest’incredibile esperienza agli altri milleriti, con il fondato rischio di coprirsi di ridicolo. Pertanto tenne la cosa per sé. Subito dopo la delusione d’ottobre la visione gli fu nuovamente proposta con l’ordine di renderla pubblica. Se non l’avesse fatto, l’incarico gli sarebbe stato tolto e affidato ad uno dei più deboli figli del Signore ma disposto ad ubbidire. Nel frattempo lo stato d’animo di Foss si era inasprito. Aveva preso molto male il mancato ritorno di Gesù il 22 ottobre, e oltre che profondamente deluso si sentiva pure ingannato da Dio. Così, dopo un intenso conflitto interiore, decise che non avrebbe riferito le visioni. A questo punto egli avvertì una strana inquietante sensazione e gli venne comunicato che aveva rattristato lo Spirito del Signore e che era stato sollevato dall’incarico. Resosi conto, allora, della gravità di tale comportamento caparbio e ribelle, e temendone le conseguenze, convocò un’assemblea per rendere pubbliche le visioni ricevute. All’appuntamento si presentarono molte persone e il giovane Foss prese la parola. Raccontò la sua esperienza; parlò del proprio rifiuto. Ma quando iniziò a esporre il contenuto delle visioni non ricordava più nulla. Provò più volte a richiamare alla mente quelle immagini e alla fine dovette prendere atto che Dio aveva adempiuto la sua parola, revocandogli il dono di profezia. Torcendosi le mani per l’angoscia, disse infine: “Lo Spirito del Signore mi ha lasciato, sono un uomo perduto!”. I convenuti presenti a quell’incontro affermarono in seguito che quella era stata la più terribile riunione a cui avessero mai partecipato. I testimoni del tempo riferiscono anche che Hazen Foss si allontanò dalla comunità millerita e perse ogni interesse per la religione.

È difficile comprendere la forte riluttanza a esporsi di Hazen Foss, come pure di William Foy, tenendo sommariamente conto del contesto storico in cui si concretizzò la loro esperienza. Oggi sarebbe comprensibile perché il nostro è un mondo secolarizzato. Una persona equilibrata e di buonsenso non si alzerebbe senza qualche remora per gridare: “Ehi voi, ascoltate. Ho avuto una visione e ho un messaggio per voi”. Ma la Nuova Inghilterra di Foss e Foy si trovava al culmine del secondo grande risveglio, era la patria adottiva del puritanesimo. Perché tanta resistenza a rendere pubblica un’esperienza religiosa, sia pure soprannaturale? La risposta è: perché proprio il contesto favorevole aveva consentito tanti abusi. Il clima di entusiasmo suscitato dal revivalismo aveva facilitato l’emersione di atteggiamenti estremi. Ministri e semplici fedeli portati al fanatismo, possibilmente fragili sotto l’aspetto psichico o neurologico, davano sfogo a rappresentazioni di isteria collettiva, a convulsioni o anche solo a dimostrazioni esasperate di religiosità. In questi casi era comprensibile la reazione delle Chiese la cui maggioranza dei membri non si riconosceva in tali modi esasperati di esprimere la fede. È chiaro che il vero risveglio non era questo; non consisteva nella ricerca di modalità “entusiastiche” e stravaganti di esprimere la propria fede, bensì nel porre com’era in origine la Bibbia, in quanto parola rivelata di Dio, al primo posto, sì da farla diventare la fonte d’ispirazione e la norma d’ogni aspetto della vita interiore ed esteriore. In altre parole, di costruire una vita di relazione ove il rapporto con Dio fosse concreto, diretto e prioritario. Tuttavia è un dato di fatto che il secondo grande risveglio fu accompagnato, senza volerlo, da fenomeni di religiosità non solo non convenzionali ma anche aberranti. Era comune in quei giorni che uomini e donne rivendicassero il dono di profezia e si ponessero a capo di nuovi gruppi prevalentemente paracristiani. Nacquero così gli Shakers, la Chiesa mormone, la Christian Science e persino lo spiritismo moderno. Il fanatismo estremo e le manifestazioni stravaganti che accompagnavano questo sedicente e sospetto profetismo suscitavano nelle persone serie, fossero esse risvegliate o no, premillennariste o postmillennariste, una reazione di ostilità e di disprezzo verso i fenomeni carismatici e il dono di profezia. All’interno del movimento millerita, poi, quest’avversione era ancora più marcata. Per varie ragioni. Anzitutto per l’impronta impressa al movimento dal suo fondatore. La formazione razionale di Miller poneva a fondamento del suo messaggio lo studio della Bibbia che egli giunse a definire una “festa della ragione”. Egli, prima ancora che ai cuori, era solito parlare alle menti delle persone, portando argomenti razionali. Cosa abbastanza insolita ai suoi giorni, quand’era comune che i predicatori facessero soprattutto appello alle emozioni. V’è poi una ragione storica e strutturale. La comunità di Miller, proprio per la sua natura movimentista, poteva difendersi meno facilmente di una chiesa organizzata dalle intrusioni di elementi portati al fanatismo; e il ritardo della parusia, man mano che aumentava il disorientamento, finiva pure per lasciare spazio ad atteggiamenti confusivi. Soprattutto negli ultimi mesi del ’44 e agli inizi del ’45 sorsero numerosi personaggi discutibili tra i milleriti che si professavano profeti e che, neanche a dirlo, operavano soprattutto nel Maine. Ovviamente la parte equilibrata del movimento non stette a guardare. I fanatici furono isolati e finirono soprattutto per confluire in quella galassia polverizzata dei cosiddetti “spiritualizzanti” caratterizzata appunto da fanatismo ed eccessi di tipo carismatico. Questi gruppuscoli, sebbene col tempo finissero quasi tutti per sparire, furono causa di confusione e gettarono discredito sul movimento avventista. Non bisogna pertanto sorprendersi se gli avventisti milleriti tendessero a vedere con sospetto ogni manifestazione soprannaturale e qualunque tentativo di strumentalizzare il loro movimento con atteggiamenti fanatici o esaltati. Infatti nella conferenza di Albany, convocata nella primavera del ’45, i principali leader del movimento votarono una risoluzione che esprimeva sfiducia in nuovi messaggi, visioni, lingue, miracoli, doni straordinari, rivelazioni, che non fossero in evidente “accordo con l’immodificabile parola di Dio”. Ecco chiarito quindi il contesto che rendeva i giovani William Foy e Hazen Foss così riluttanti a raccontare ad altri la loro esperienza. D’altra parte proprio le loro esperienze, come quelle dei bambini scandinavi, ci suggeriscono che tra le tante false manifestazioni di profetismo potessero essercene anche di genuine. Parlavamo, in apertura del paragrafo, dell’intervento di Dio nella storia che può in determinati periodi, cruciali per la sopravvivenza del suo popolo, rendersi esplicitamente manifesto. Questo non dovrebbe stupire chi è familiare con il racconto biblico; come non dovrebbe stupire che questi interventi soprannaturali siano accompagnati da altri interventi che abbiano tutt’altra origine. Quando Mosè ed Aronne stesero la verga davanti a Faraone per dimostrargli che li mandava Dio e questa si mutò in serpente, i maghi del Faraone seppero fare la stessa cosa con le loro verghe, attenuando l’impressione provocata dal miracolo divino. Allora perché stupirsi se contemporaneamente al sorgere di uomini che parlano da parte di Dio ne sorgano altri ispirati da Satana? Volendo osservare gli anni del risveglio millerita dalla prospettiva di Satana, ci sembrerebbe così strano che egli abbia agito per confondere gli eventi al fine di rendere più ardua l’individuazione e l’accettazione di un profeta che parla da parte di Dio?


La vocazione

Avevamo lasciato Ellen Harmon a casa di Elizabeth Haines che, riunite in preghiera con alcune vicine millerite, cercavano risposte alla grande delusione d’ottobre. Il clima era partecipato ma sereno. Alcune di loro avevano già pregato e quando venne il turno di Ellen, questa riuscì a pronunciare solo poche parole perché… Lasciamo che sia lei stessa a dircelo. “Nel dicembre del 1844, le mie gioie, le mie prove, le delusioni, erano quelle dei miei cari amici dell’avvento cui ero vicina. In quel tempo ero in visita a una delle sorelle dell’avvento, e nella mattinata eravamo inginocchiate intorno all’altare di famiglia. Non v’era un clima eccitato, eravamo cinque, tutte donne. Mentre stavamo pregando, il potere di Dio scese su di me come mai lo avevo sentito prima e fui rapita in una visione della Gloria di Dio. Mi sembrò di essere sollevata, sempre più in alto, lontana, oltre questo mondo di tenebre. Mi voltai a cercare gli avventisti ma non li trovai fino a quando una voce mi disse: “Guarda di nuovo e più in alto”. Allora sollevai lo sguardo e vidi un sentiero scosceso e stretto snodarsi al di sopra della terra. Per questo sentiero gli avventisti marciavano verso la Città che era all’estremità più lontana del cammino. Dietro a loro, all’inizio del sentiero, c’era una luce splendente: l’Angelo mi disse che era il grido di mezzanotte [la predicazione millerita]. Quella luce illuminava tutto il sentiero e rischiarava i loro passi perché non inciampassero. Se tenevano lo sguardo su Gesù che camminava davanti a loro per guidarli verso la città non correvano alcun pericolo. Ma dopo poco alcuni si sentirono stanchi e dissero che la città era ancora molto lontana e che avevano creduto di poterla raggiungere molto prima. Allora Gesù li incoraggiò alzando il suo glorioso braccio destro, e dal suo braccio venne una luce che inondò gli avventisti, ed essi gridarono, “Alleluia”. Altri però rifiutarono sconsideratamente quella luce, dicendo che non era stato Dio a condurli così lontano. Allora la luce che stava dietro si spense, lasciandoli nel buio più profondo; inciamparono, persero di vista la meta e sprofondarono nel mondo buio e malvagio”.

Questo è solo l’inizio della lunga visione, che termina con l’ingresso nella città celeste del popolo dei salvati e con la descrizione del Paradiso ricco di distese fiorite e dove all’ombra dell’albero della vita Ellen incontra i grandi milleriti già morti, come il pastore Stockman, che le aveva parlato dell’amore di Gesù, e come Charles Fitch, morto di polmonite pochi giorni prima del 22 ottobre, quel Fitch che nel luglio del 1843 aveva pronunciato il famoso sermone “Uscite da essa o popolo mio”. Ma di questa visione sono soprattutto le parole iniziali che si rivelarono di grande conforto per la comunità delusa e smarrita dei milleriti. Accennano appena alle ragioni della delusione ma soprattutto rispondono ad alcune inquietanti domande che angosciavano i delusi. Innanzi tutto li rassicuravano che, nonostante gli eventuali errori commessi, il millerismo in sé non era un errore, era invece una luce splendente che rischiarava il loro cammino. Essi effettivamente marciavano verso la Città e Gesù marciava davanti a loro. È vero, la meta non era così vicina come essi avevano sperato, ma in fondo la fretta di raggiungerla, che era stata alla base del loro errore, era la fretta comune a tutte le generazioni del popolo di Dio, comprese quelle dei profeti e degli apostoli. Ma al di là d’ogni delusione, il premio sarebbe stato loro assicurato se avessero tenuto fisso lo sguardo su Gesù.

Com’era comprensibile, la giovane Ellen raccontò alle compagne del gruppo di preghiera l’esperienza appena capitatale, se non altro per spiegare le ragioni della sua momentanea estraniazione. Il fatto divenne noto alla comunità millerita di Portland e cominciarono ad arrivare gli inviti perché lei raccontasse agli altri fratelli in fede questa straordinaria esperienza. Ellen però si sentì spaventata e sopraffatta da questi eventi che le stavano accadendo. L’ultima cosa che avrebbe mai pensato era quella di diventare una profetessa. Non solo per ragioni “ambientali”. Dopo la delusione d’ottobre la gente scherniva apertamente i milleriti, e questi, a loro volta, si dibattevano tra errori dottrinali e fanatismi. I più, come abbiamo detto, erano diffidenti nei confronti del dono profetico invocato spesso a sproposito. E poi c’erano gli ostacoli legati alla sua condizione. Ellen era una donna in una società fortemente maschilista. E più ancora era una ragazzina timida e molto malata, che riusciva appena a parlare sussurrando. L’attenzione altrui la metteva a disagio e men che mai ambiva a questo tipo di visibilità. Di quello stato d’animo racconterà: “La mia salute era così debole che io soffrivo costantemente nel fisico, e secondo ogni apparenza non avrei avuto molto da vivere. Avevo solo 17 anni, piccola e fragile, non abituata alla vita di società, di natura così timida e riservata che mi era perfino difficile incontrare degli estranei... Mi sembrava impossibile poter compiere quest’opera... Come avrei potuto io, bambina riguardo all’età, andare di luogo in luogo... Il mio cuore era terrorizzato... La dolce pace che avevo così a lungo goduto mi abbandonò, e la disperazione oppresse il mio animo... Degli incontri venivano organizzati nella casa di mio padre, ma la mia angoscia mentale era così grande che io, per un certo tempo, non vi partecipai”.

Ma il pressing continuò. Sia da parte degli uomini che da parte degli angeli. Parole di coraggio le giunsero dal padre, ed anche Joseph Turner, il leader millerita di Portland, le fu vicino; andò a cercarla fino in camera sua dove si era volontariamente reclusa. Ad una settimana dalla prima visione ne ricevette un’altra. “Nella mia seconda visione, circa una settimana dopo la prima, il Signore mi mostrò le prove attraverso cui avrei dovuto passare, e mi disse che avrei dovuto andare e rivelare agli altri ciò che lui aveva rivelato a me. Mi fu mostrato che il mio lavoro avrebbe incontrato grandi opposizioni, e che il mio cuore sarebbe stato angosciato, ma che la grazia di Dio sarebbe stata sufficiente a sostenermi attraverso ogni cosa”. Ellen lottava con se stessa e in quei giorni desiderava sprofondare. “Il mio cuore si rimpicciolì dal terrore a quel pensiero! … Per tanti giorni pregai che questa responsabilità mi fosse tolta e trasmessa a qualcuno che fosse capace di portarla. Ma il messaggio non cambiò, e le parole dell’angelo risuonavano costantemente nelle mie orecchie: ‘Fai conoscere agli altri quello che io ti ho rivelato’”.

Alla fine Ellen cominciò ad ammorbidirsi e riprese a frequentare le riunioni di preghiera che si svolgevano a casa sua. Il tema dell’incontro divenne ovviamente Ellen, e i presenti cominciarono a pregare fervidamente perché la ragazza recuperasse la salute, e al contempo perché potesse arrendersi alla sua vocazione. Mentre i fratelli pregavano, Ellen ebbe la sua terza visione. “Le forze mi vennero meno – racconta sempre lei – e io caddi sul pavimento. Mi sembrò di essere in presenza degli angeli. Uno di questi santi esseri mi ripeté di nuovo le parole: ‘Fai conoscere agli altri, ciò che ho rivelato a te’”.

Il pressing produce i suoi effetti. Ellen, che non voleva ribellarsi ma era solo spaventata, piano piano si lascia convincere. Ma è ancora perplessa. Ha presenti i propri limiti. Teme di non essere in grado di gestire spiritualmente il fardello che le si vuole caricare. Una quarta visione allora le viene data per fugarle questo timore. Un angelo le appare e le dice: “Le tue preghiere sono state ascoltate, e ti sarà risposto. Se ti trattiene questo male che tu temi, la mano di Dio sarà pronta a salvarti; attraverso le afflizioni ti attirerà a Sé, e preserverà la tua umiltà. Annuncia il messaggio fedelmente; resisti sino alla fine, e tu mangerai i frutti dell’albero della vita e berrai l’acqua della vita”. Rassicurata da queste parole, Ellen accetta l’incarico. Siamo a metà gennaio.


Il suo “target”

La sua attività inizia subito. Tra i milleriti delusi, a cominciare da quelli di Portland e circondario. Dopo la visione, Ellen è tra coloro che credono nella dottrina della “porta chiusa”. Nella parabola delle 10 vergini, all’arrivo dello Sposo la porta viene chiusa e chi è rimasto senz’olio (lo Spirito) viene escluso dal banchetto di nozze. Già nel ritardo dello sposo i milleriti avevano avuto occasione di ravvisare la propria esperienza di attesa frustrata per l’apparente ritardo del loro Salvatore. Adesso, passato il tempo indicato nella profezia dei 2300 giorni, la porta della salvezza veniva irrimediabilmente chiusa e soltanto coloro che avevano creduto nel messaggio millerita avrebbero potuto salvarsi. Questa dottrina, definita della “porta chiusa”, era stata suggerita dallo stesso Miller e per qualche tempo fu da lui sostenuta. Nel dicembre del 1844 egli scriveva: “Abbiamo fatto il nostro dovere nell’avvertire i peccatori e nel tentare di risvegliare una chiesa formalista. Dio, nella sua provvidenza ha chiuso la porta; possiamo solo spronarci gli uni gli altri a essere pazienti, e a impegnarci per rendere la nostra chiamata e la nostra elezione sicure. Stiamo ora vivendo nei tempi descritti da Malachia 3:18; Daniele 12:10 e Apocalisse 22:10-12. In questo frangente non possiamo fornire altro aiuto che quello di far notare che poco prima del ritorno di Cristo ci sarà una separazione tra i giusti e gli ingiusti… Mai, dal tempo degli apostoli, tale linea di divisione è stata tracciata”. La convinzione della porta chiusa fu certamente rafforzata dalle reazioni odiose degli schernitori e degli stessi ex milleriti all’indomani del 22 ottobre, e dall’arrestarsi delle nuove conversioni. Questo contesto, ora più che mai divenuto ostile, suggeriva con forza che la porta della grazia fosse stata chiusa e quasi tutti i milleriti superstiti, all’indomani della grande delusione, furono indotti a crederlo. Ben presto però molti rividero la loro posizione e abbandonarono questa dottrina. Il discrimine stava nel come veniva letta la delusione del 22 ottobre. Quando infatti ad aprile molti di loro s’incontrarono ad Albany e, sotto la guida di Himes, conclusero che il 22 ottobre non era successo nulla perché nulla doveva succedere convennero altresì che, non essendosi verificata la separazione tra i giusti e gl’ingiusti, non poteva neppure essersi chiusa una porta tra le due categorie. Quei milleriti che allora costituivano la maggioranza furono così chiamati avventisti della “porta aperta” e di conseguenza si convinsero d’essere ancora in dovere di avvertire il mondo del giudizio che comunque ritenevano non lontano. Al contrario, la minoranza di milleriti ancora convinta che il 22 ottobre si era adempiuta la profezia dei 2300 giorni continuò a credere nella chiusura ormai avvenuta del tempo di grazia. Gli avventisti della “porta chiusa” ritenevano esaurita la loro missione nei confronti dell’umanità e che loro unico dovere fosse quello di lavorare sui disorientati e sui delusi che avevano fatto parte del movimento del 1844.

Ellen Harmon apparteneva a quel gruppo convinto che il 22 ottobre si fosse compiuto l’evento indicato nella profezia, anche se a quel punto bisognava capire in cosa consistesse tale evento. Di conseguenza credeva nella necessità di concentrare l’azione di conforto e d’incoraggiamento su coloro che avevano confidato nel prossimo ritorno di Gesù. Credeva cioè nella “porta chiusa” e lo credette ancora per diversi anni. Col tempo questa dottrina si rivelerà sbagliata, ma andò così. Doveva ancora maturare l’idea che l’adempimento della profezia dei 2300 giorni potesse essere disgiunta dalla chiusura del tempo di grazia. Probabilmente il Signore, che è giusto e amorevole, si servì di quest’errore per manifestare una particolare misericordia verso coloro che, incuranti d’ogni dileggio, avevano desiderato incontrarsi con lui e adesso delusi e confusi rischiavano di smarrirsi senza una specifica opera di sostegno nei loro confronti.

Qualcuno potrebbe osservare: "Ma visto che il Signore comunicava con Ellen, non avrebbe potuto informarla tout court che la dottrina della porta chiusa era sbagliata e invitarla ugualmente per qualche tempo a concentrare il proprio lavoro sui milleriti delusi?" Come vedremo più avanti, raramente lo strumento della visione è stato utilizzato per rivelare delle dottrine. Quasi sempre le visioni seguivano l’intenso studio della Bibbia su un determinato soggetto, per confermare o per aiutare a orientarsi di fronte a più opzioni. La visione, insomma, non anticipava ma seguiva la maturazione del gruppo e, se necessario, la orientava. La dottrina della porta chiusa non ha fatto eccezione, ed è interessante notare il percorso della sua comprensione nella coscienza di Ellen e del suo gruppo di riferimento. A dimostrazione di come Dio sia disponibile ad attendere con pazienza e, nel frattempo, ad accettare dei risultati parziali. Come abbiamo già detto, immediatamente dopo la delusione del 22 ottobre l’intera compagine superstite millerita, dietro suggerimento dello stesso Miller, credette che la porta della grazia si fosse chiusa nei confronti di chi aveva disprezzato l’annunzio dell’avvento. Quasi subito però Joshua Himes, il primo collaboratore di Miller, si convinse che il calcolo del 22 ottobre (detto pure del “settimo mese”) fosse sbagliato, che per quella data non fosse successo nulla e che nessuna porta si era chiusa. La maggioranza lo seguì; persino Miller dopo un po’. Solo una minoranza tra i milleriti continuò a credere nella validità del movimento del settimo mese e della connessa dottrina della porta chiusa. Ellen Harmon, allora poco più che una ragazzina, aveva seguito il corso della maggioranza: ovvero, inizialmente aveva seguito Miller sulla porta chiusa e subito dopo Himes che aveva ripudiato il movimento del settimo mese. Solo dopo la prima visione, che confermava la validità del movimento del settimo mese, Ellen tornò a credere che il 22 ottobre fosse successo qualcosa. Ed era questa la cosa che contava. Infatti il futuro dimostrerà che gran parte degli avventisti che avevano perso la fede nel fatto che il movimento del settimo mese fosse guidato da Dio finiranno per abbandonare il movimento avventista. Compreso Himes, che lasciò gli avventisti evangelici da lui organizzati, si unì per qualche tempo alla chiesa dell’avvento e divenne infine ministro della chiesa episcopale. Il fatto è che allora credere nel movimento del settimo mese significava dovere aderire anche alla dottrina della porta chiusa. Così Ellen tornò ad accettare anche questa dottrina. Solo col tempo, maturando insieme al suo gruppo, grazie anche all’aiuto delle rivelazioni a lei concesse, quest’equivoco gradualmente si chiarì. E l’unica porta chiusa a cui lei continuò a credere fu quella relativa solo a coloro che nel ’44, pur convinti dallo Spirito della validità del messaggio dell’avvento, l’avessero coscientemente rigettato. Quello che insomma il Vangelo definisce peccato contro lo Spirito Santo, che è appunto imperdonabile. Ma torniamo adesso alla nostra giovane Ellen che, dopo aver accettato la chiamata, inizia la sua attività tra i milleriti delusi, a cominciare da quelli di Portland e dintorni.


Due conferme inattese

Sicuramente parlò alla Beethoven Hall, il grande auditorium preso in affitto dai milleriti di Portland quando dovettero lasciare le loro chiese. Proprio qui Ellen aveva sentito William Foy parlare delle proprie visioni. E a proposito di William Foy, viene riferito un episodio curioso verificatosi durante un incontro tenutosi nei pressi di Cape Elizabeth a pochi chilometri da Portland. Mentre Ellen Harmon stava raccontando la sua prima visione, un uomo alto e massiccio balzò in piedi e preso dall’entusiasmo gridò: “Questo è proprio ciò che ho visto, proprio ciò che ho visto!”. Ellen stava parlando di cose celesti: di angeli, di luci, di frutti splendenti, di strumenti musicali, di vestimenti, di pass, di grandi raduni, e costui, non riuscendo a trattenere l’emozione, cominciò a lodare il Signore, e a spiccare salti di gioia, fin quasi a toccare il soffitto che in quella sala era piuttosto basso. Quell’uomo era proprio Foy. Egli avrebbe potuto gridare al plagio; invece riconobbe la genuinità di quel racconto, evidentemente da particolari da lui non detti e che individuò nelle parole di quella ragazza. La sua testimonianza spontanea e incontenibile di fatto offrì un’inattesa legittimazione alla missione di Ellen.

A Poland, 30 miglia da Portland, vivevano due sorelle di Ellen: Harriet e Mary. Il marito di Mary, Samuel Hoyt Foss, verso la fine di gennaio si trovava a Portland per ragioni di lavoro e, al momento del rientro, invitò Ellen a seguirlo perché Mary desiderava tanto rivederla. Il viaggio, che allora si faceva in slitta a cavallo, si prospettava proibitivo perché l’aria gelida dell’inverno causava dolore ai suoi polmoni minati dalla tisi. Ma a Poland c’era una piccola comunità millerita, ed Ellen scorse in quest’invito una precisa volontà del Cielo. Così accettò l’invito del cognato, e per difendersi dal freddo viaggiò rannicchiata sul pavimento della slitta interamente avvolta in una pelliccia di bisonte.

Giunta a destinazione la sorella l’accolse con calore, l’informò che proprio quella sera c’era un incontro dei milleriti nella fattoria del capitano Megquier e le chiese se volesse esserci anche lei. Ellen naturalmente accettò. Giunta nel luogo dell’incontro, vide molta gente stipata in una grande stanza, desiderosa di ascoltare ciò che quella ragazza aveva da raccontare. Quando venne il suo momento, Ellen si alzò in piedi e cominciò a parlare. La sua voce era così fioca e roca che gli ascoltatori dovevano tendere le orecchie per cogliere quelle parole appena sussurrate. Per cinque minuti lei si sforzò inutilmente di parlare più forte poi d’improvviso, nella sorpresa generale, la sua voce si fece chiara e squillante come quella di una campana. Parlò così per due ore, descrivendo il cammino del popolo di Dio verso la santa città, il ritorno di Gesù e la dimora celeste. Rimessasi seduta, quando cercò di parlare con chi le stava vicino, la sua voce era tornata roca e appena percettibile. Non sfuggì ai convenuti l’insolito contrasto tra la forza del messaggio e la fragilità di quella ragazzina malaticcia di 36 chili che lo aveva portato. Qualcuno certamente pensò alle parole dell’apostolo Paolo: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti… perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio”. Molti tornarono a casa rincuorati e convinti che la loro fede non era stata riposta invano.

Ad ascoltare le parole di Ellen quella sera c’era anche Hazen Foss. Era stato invitato ad entrare ma egli aveva preferito seguire il discorso da una stanza adiacente. Con stupore, come affermò egli stesso, constatò che la visione di Ellen era tanto simile a quella che era stata data a lui quanto due diverse persone avrebbero potuto descrivere lo stesso evento. Prese pure atto che Ellen, davvero "la più debole tra i deboli", ricevette la sua prima visione subito dopo che egli era stato sollevato dall’incarico. L’indomani Hazen Foss andò a trovare Ellen che era ospite della sorella Mary, sua cognata. Infatti Hazen era fratello minore di Samuel Foss, il marito di Mary. Ciononostante Ellen e Hazen non avevano confidenza reciproca, abitando peraltro in città diverse, e lei era del tutto all’oscuro di quel che gli era successo qualche tempo prima. Così Hazen raccontò ad Ellen la propria esperienza e la esortò a non commettere il suo stesso errore. Iniziò con queste parole: “Ellen, voglio parlarti. Il Signore mi aveva dato un messaggio da portare al suo popolo, e io rifiutai nonostante fossi stato avvertito delle conseguenze. Sono stato orgoglioso. Non mi rassegnavo alla delusione, ce l’avevo con Dio e desideravo morire. Poi ho avvertito una strana sensazione che s’impadroniva di me, e da allora mi sono sentito morire alla vita spirituale. Ti ho sentito parlare ieri sera. Sono convinto che le visioni toltemi siano state date a te. Non rifiutare di obbedire a Dio perché lo faresti a rischio della tua anima. Io sono un uomo perduto. Dio ti ha scelta; sii fedele nel compiere il tuo dovere, e la corona che io avrei potuto ricevere sarà tua”. Ellen rimase profondamente impressionata dal senso d’incontenibile disperazione che traspariva dal volto e dalle parole di Foss.

Sia Hazen Foss che William Foy riconobbero nelle visioni date ad Ellen Harmon una forte analogia con quelle date a loro. E questo non dovrebbe stupire, se si parte dal presupposto che avevano la stessa origine e il medesimo target. Più o meno. Dato che le visioni di Foy risalgono al 1842, e quindi erano indirizzate al popolo dell’avvento prima della delusione; e infatti qualche differenza, in realtà, la si riscontra. Saltano pure agli occhi le differenze tra queste tre persone: Foss aveva tutte le caratteristiche che ci si sarebbero attese in un uomo che doveva operare in quel luogo e in quel tempo. Foy aveva la formazione teologica ma era un uomo di colore nei giorni in cui il buon Lincoln, interpretando il sentimento prevalente dei bianchi del suo tempo, affermava serenamente “che esiste una troppo spiccata differenza tra la razza bianca e quella negra, e che questa diversità impedirà per sempre alle due razze di vivere insieme in termini di uguaglianza sociale e politica”. La Harmon, anche se era bianca e anglosassone, era donna, giovane, malata, fisicamente insignificante e culturalmente ineducata, nel senso che non aveva potuto seguire studi regolari. Eppure fu proprio lei, alla fine, a portare avanti sino in fondo il compito di “messaggera del Signore” – come lei preferiva definirsi – a favore del popolo dell’avvento. Una prima conclusione che viene da trarre da questa vicenda è che davvero “Dio non fa preferenze di persone” (Atti 10:34). Se poi l’opzione che funzionò fu quella umanamente più improbabile lo si dovette plausibilmente al fatto che Ellen fu più disponibile a lasciarsi usare. È difficile pensare che Dio disprezzi le capacità umane; è più logico concludere che i più capaci siano troppo pieni di sé per accettare di farsi docili strumenti del Cielo. Ecco perché la scelta può cadere su elementi apparentemente meno dotati. Poi a formarli ci penserà Dio, creando le opportune circostanze. Il fatto che i tesori celesti siano contenuti in vasi di terra non toglie loro dignità, anzi: fa risaltare più chiaramente la loro origine.


Una luce per i milleriti delusi

Dopo Poland, Ellen fu chiamata ad Orrington, cento miglia a nord di Portland, ove si recò sempre in slitta per raccontare la sua visione. Scriverà in seguito, riferendosi a quel periodo: “Mi fu mostrato che Dio aveva un lavoro per me da compiere tra rischi e pericoli. Dovevo visitare soprattutto i luoghi dove i fanatici avevano fatto maggior danno, e dare il mio messaggio di rimprovero nei confronti di quelli che stavano influenzando gli altri e, nello stesso tempo, offrire conforto e incoraggiamento a quanti, timidi e coscienziosi, erano prevaricati da quelli che credevano più giusti di loro”. Dopo la delusione di ottobre il millerismo si dibatteva in serie difficoltà. L’organizzazione già esile del movimento aveva perso in credibilità e la base dei credenti si era polverizzata in mille gruppuscoli spesso influenzati da elementi fanatici. Il compito affidato ad Ellen fu quello d’incoraggiare questi gruppi e di metterli in guardia contro le aberrazioni dottrinali che si stavano pericolosamente diffondendo. Un compito tutt’altro che semplice, a cominciare dall’aspetto logistico. La comunità millerita era sparsa su un’area molto vasta qual è appunto la Nuova Inghilterra e zone limitrofe. Talvolta si riscontravano gruppi di una certa consistenza che si riunivano in chiese o altri locali, e ciò avveniva quando gran parte della comunità locale aveva abbracciato il messaggio dell’avvento. In genere, però, erano piccoli gruppi che si riunivano nelle case, poco organizzati e molto distanti gli uni dagli altri. Raggiungerli era comunque un problema, in modo particolare per Ellen che era donna, ragazza, sofferente, poco abbiente. Inoltre bisognava che qualcuno l’accompagnasse, ma chi? Il padre aveva una famiglia da mantenere e non poteva trascurare il lavoro. Il fratello Robert era anche lui molto malato. La sorella Sarah, poco più grande di lei, diede la propria disponibilità ma non bastava. All’inizio Ellen dovette appoggiarsi a qualche raro fratello in fede che viaggiava per lavoro e che si offrì d’accompagnarla. Ma la vera soluzione al problema arrivò con un giovane predicatore della Christian Connection, presentato ad Ellen da un influente membro della comunità di Portland. Il giovane si chiamava James White, anche lui un millerita irriducibile che proveniva da una famiglia radicata nei valori religiosi. Il nonno materno era un noto pastore battista e il padre vantava una discendenza diretta dai Padri Pellegrini, quelli del Mayflower. James era rimasto impressionato dalla carica spirituale di Ellen, dalla sua dedizione alla causa di Dio, e decise così di aiutarla accompagnandola e mettendo a disposizione la propria slitta. Seguendola nel suo compito, inoltre, ebbe modo d’apprezzare le doti umane di questa ragazza magnificate dalla continua comunione con il Cielo che la sua missione inevitabilmente comportava. Quest’ammirazione e questa sintonia finirono per approfondirsi in una reciproca simpatia che li rese inseparabili fino alla morte di lui avvenuta nel 1881. Nell’agosto del 1846 James ed Ellen si sposarono. Tale sviluppo rese più facili i loro spostamenti perché da allora poterono viaggiare da soli non essendo più necessario farsi accompagnare da amici o parenti indispensabili per non esporsi a immancabili critiche e maldicenze.

Immancabili anche perché le difficoltà del compito di Ellen erano organizzative ma pure relazionali. Non dimentichiamo che oltre ad incoraggiare le comunità visitate, ella doveva denunciare i comportamenti fanatici e immorali che stavano emergendo approfittando del disorientamento susseguente alla delusione d’ottobre. Ovunque arrivava Ellen raccontava la sua visione sul cammino del popolo di Dio verso la patria celeste. Ma spesso, anche durante la riunione, altre visioni le venivano concesse riguardo la situazione specifica del gruppo visitato. Le venivano mostrati i problemi e gli errori con cui esso era alle prese. Ed erano spesso errori molto seri, sia da un punto di vista teologico che morale. Una dottrina molto diffusa era quella del “non lavoro”. I suoi sostenitori affermavano che con il 22 ottobre erano entrati nel millennio sabatico e quindi lavorare era peccato e gl’indigenti dovevano vivere con le donazioni dei confratelli più abbienti. Altri sostenevano che lo Spirito Santo non esisteva e tutti i miracoli, anche quelli sperimentati dagli uomini di Dio nei tempi biblici, altro non erano che inganni di Satana. Si diffondeva poi la convinzione che i credenti erano santi e senza peccato. Ed altri si spingevano a dire che era loro permesso fare di tutto, come avere una moglie spirituale (in realtà commettere adulterio) o anche scambiarsi le mogli tra confratelli, perché ciò non poteva essere loro imputato come peccato. Gl’interventi di Ellen smascheravano la natura corrotta di alcuni membri influenti ma considerati dalla comunità come persone zelanti e integerrime. Queste rivelazioni aiutavano il gruppo a prendere coscienza della propria condizione. I disorientati avevano la possibilità di correggersi, di prendere le distanze dai corruttori. Questi ultimi talvolta si pentivano. Succedeva però più spesso che si risentissero delle rivelazioni fatte da Ellen e che si rafforzassero nella loro ostinazione. La “profetessa” diventava per loro una nemica da screditare e diffamare. Ricordando questa situazione, lei in seguito scriverà: “Noi tremammo per la chiesa assoggettata a questo spirito di fanatismo. Il mio cuore fu addolorato per il popolo di Dio. Dovevano essere così ingannati e persi da questo falso entusiasmo? Fedelmente trasmisi loro gli avvertimenti che il Signore mi aveva dato; ma sembrarono avere poco effetto tranne che per l’aumento della gelosia nei miei riguardi da parte di questi estremisti”.

All’inizio del suo ministero profetico, fu questo il compito della giovane Ellen. Un compito difficile, reso doloroso dalla sua forte sensibilità e dall’affetto che provava per quelle persone. Essi erano i suoi fratelli in fede; molti li conosceva personalmente, avevano vegliato e pregato insieme, insieme atteso il ritorno di Gesù. Non era facile per lei assistere al dolore che le sue parole di rimprovero provocavano nei traviati. Così la sua prima reazione fu quella di addolcire i messaggi diretti a specifiche persone, di renderli più accettabili. “Mi era molto difficile – ricorderà a proposito – riferire agli individui ciò che mi era stato mostrato circa i loro errori. Mi era penoso vedere gli altri turbati o addolorati. E quando ero costretta a riportare i messaggi, spesso li addolcivo e riferivo alla persona, nel modo più favorevole possibile, ciò che avevo visto; poi mi ritiravo a piangere con l’animo fortemente angosciato... Come potevo riferire i semplici, taglienti avvertimenti datimi da Dio?”. Quando però la posta in gioco è tra la salvezza e la perdizione delle anime, il messaggio non può che essere esplicito e diretto. Presto Ellen capì che addolcendo l’avvertimento ne indeboliva l’efficacia. E a proposito ebbe una visione che le chiarì le idee. In essa vide che tutti coloro a cui aveva comunicato dei messaggi in maniera non fedele, le si avvicinarono e il loro volto esprimeva disperazione e orrore. “Costoro mi vennero vicino – ella scrisse – e mi sfiorarono con i loro abiti. Allora guardai i miei e vidi che erano macchiati di sangue”. Esattamente come successe al profeta Ezechiele, le fu fatto comprendere che sarebbe stata ritenuta responsabile della perdita dei suoi confratelli se non avesse riferito in modo fedele il messaggio a loro diretto di cui lei doveva solo farsi tramite.

Già allora comunque Ellen fu confortata nel vedere il risultato della sua azione che spesso risultò fruttuosa. Emblematica fu quella compiuta a favore dell’anziano Washington Morse e del suo gruppo, nel New Hampshire. Morse era un leader millerita di grande capacità e di grande influenza fino alla delusione d’ottobre. In uno dei suoi viaggi, Ellen e i suoi accompagnatori, furono ospitati proprio in casa sua. Durante il soggiorno le fu data una visione su quel caso specifico: “Mentre ero in quello stato, molte cose mi furono mostrate riguardo alla delusione del 1844, in relazione con il caso dell’anziano Morse. Egli era stato un solido credente che il Signore aveva chiamato in quel tempo. Fu amaramente deluso quando il tempo giunse al suo compimento senza che gli eventi predetti si realizzassero. Egli fu allo stesso tempo sconcertato e incapace di spiegare il ritardo… Con il passare del tempo, lo scoraggiamento fu tale che nulla poté fare per incoraggiare il popolo deluso, i cui membri erano come pecore senza pastore, in balia dei lupi. Il caso di Giona mi fu presentato…”. Come Giona, Morse fu sopraffatto dalla vergogna e dalla delusione perché la profezia non s’era adempiuta; così si ripiegò su se stesso e desiderò morire. Ma il Signore lo invitava a confidare nella sua sapienza ed anzi desiderava poter contare ancora su di lui. L’intervento di Ellen si rivelò provvidenziale, perché Morse si riprese dalla sua costernazione, tornò ad essere un energico riferimento per la sua comunità, ed anzi lo ritroveremo vent’anni più tardi nel Minnesota alla guida d’un gruppo di 150 fedeli da lui conquistati al messaggio avventista.

Quando non fu possibile recuperare i leader, talvolta si riuscì a liberare la comunità dal loro influsso nefasto. Accenniamo in proposito all’episodio di Randolph, nel Massachusetts, in quanto rappresentativo di questa seconda situazione. Ellen e la sorella Sarah si trovavano a Dorchester, nei pressi di Boston, ospiti dei coniugi Mary e Otis Nichols. I Nichols erano avventisti milleriti fermamente convinti che le visioni di Ellen venissero dal Signore, e quando lei si trovava a passare da quelle parti l’accoglievano sempre con molto affetto. Un giorno bussarono alla porta due uomini, certi Sargent e Robbins, con l’intenzione di chiedere ospitalità per la notte. Erano due fanatici che controllavano diversi gruppi milleriti nella zona tra Boston e Randolph. Essi erano sostenitori della dottrina del “non lavoro”. Insegnavano cioè che è peccato lavorare perché la chiesa era entrata nel millennio giubilare. Pertanto i cristiani che avevano proprietà dovevano venderle, e i poveri dovevano vivere d’elemosine. Inizialmente sostenevano il dono profetico di Ellen ma dopo che lei denunziò la natura non biblica del loro insegnamento si misero a dire che le sue visioni provenivano direttamente dal diavolo. Quando, quel giorno, essi si presentarono dai Nichols, Otis li accolse cordialmente e li informò che Ellen Harmon era sua ospite. A quel punto essi si ricordarono di avere un impegno urgente e affermarono di dovere andar via immediatamente. Otis Nichols si disse dispiaciuto perché quella poteva essere una buona occasione per conoscere meglio la ragazza, e strappò loro l’impegno ad accoglierla il sabato seguente presso il gruppo di Boston perché potesse personalmente presentare il suo messaggio. Ciascuno avrebbe così potuto trarre direttamente le proprie conclusioni. La sera precedente quel sabato Ellen ebbe una visione in cui veniva informata che l’indomani Sargent e Robbins avevano intenzione di riunirsi non a Boston ma a Randolph, ed era lì pertanto che lei doveva recarsi per trasmettere un messaggio che avrebbe convinto gli onesti. Così quel sabato i Nichols, Ellen e la sorella Sarah presero la direzione di Randolph dove i milleriti si riunivano presso la casa di un certo signor Thayer. Quando Sargent e Robbins videro presentarsi Ellen ne furono molto imbarazzati perché la loro doppiezza era stata smascherata. Ma a quel punto potevano fare ben poco e dovettero andare avanti con il loro programma. Durante la pausa di mezzogiorno uno dei presenti si disse convinto che alla fine di quella riunione “il bene sarebbe venuto fuori”. La signora Nichols, che aveva ben presente quanto in modo soprannaturale era stato loro anticipato, ne convenne pienamente. Da parte sua Robbins disse a Sarah Harmon che in sua presenza sua sorella Ellen non avrebbe avuto alcuna visione. Nel primo pomeriggio la riunione riprese. Dopo alcuni canti e le preghiere di Sargent e Robbins, anche Nichols innalzò la sua preghiera in cui chiedeva a Dio che “guidasse quella riunione”. Poi cominciò a pregare Ellen, che venne subito rapita in visione e, come era solito succedere, ricevette tutte le informazioni utili ad aprire gli occhi alle persone presenti sincere nella fede. Le furono nuovamente mostrati gli errori di Sargent, Robbins e di altri a loro vicini. Vide che essi non potevano prosperare, che alla fine l’errore sarebbe stato smascherato e che la verità avrebbe trionfato. Vide che essi erano disonesti e in malafede. “Poi – ricorda Ellen – fui proiettata nel futuro e mi fu mostrato qualcosa a proposito della direzione che avrebbero presa: avrebbero continuato a disprezzare l’insegnamento del Signore e a non tener conto dei suoi rimproveri, e sarebbero stati lasciati nelle tenebre totali per resistere allo Spirito di Dio fino a quando la loro follia non fosse stata a tutti manifesta. E infine, secondo le Scritture mi fu presentata tutta una serie di verità, in contrasto con i loro errori”. È importante far presente che le precise predizioni di Ellen circa il susseguirsi degli eventi relativi a queste persone si adempirono puntualmente ed in modo drammatico. In alcune pagine manoscritte, tuttora conservate, Otis Nichols descrive quell’esperienza di Randolph e i fatti che seguirono. Egli scrive che nel corso di una riunione pubblica questi leader, in modo soprannaturale, furono spinti a “confessare pubblicamente alcune tra le azioni più ripugnanti da loro commesse; come effetto di questo episodio, il gruppo di Randolph si sciolse e le anime oneste sfuggirono alla loro influenza negativa… Essi [i leader] fecero completo naufragio. La loro fede nelle dottrine insegnate dalla Bibbia si dissolse; poi si separarono e si dispersero, dichiarandosi senza peccato... Così la maledizione di Dio si adempì alla lettera”.


Fenomenologia della visione

La testimonianza di Nichols sull’esperienza di Randolph, è una buona occasione per soffermarci un momento sia sulla forma che sul contenuto delle visioni di Ellen Harmon che, come vedremo, non lasciano alcun dubbio sulla loro natura soprannaturale. Cominciamo con l’aspetto fenomenologico. Dal manoscritto di Otis Nichols sui fatti di Randolph apprendiamo che Ellen, mentre pregava, fu rapita in visione “con manifestazioni straordinarie e continuò a parlare quasi fino al tramonto con voce forte e squillante, tanto da poter essere udita distintamente da tutti i presenti. Sargent, Robbins e French erano così irritati... che dichiararono tale visione essere opera di Satana. Si servirono di tutta la loro influenza e di tutta la loro forza fisica per distruggere l'effetto della visione. Si misero a cantare molto forte e poi, alternativamente, a parlare e a leggere brani della Bibbia a voce alta perché Ellen non potesse essere udita, fino a che, esaurite tutte le loro forze e con le mani che tremavano, non ce la fecero più a reggere la Bibbia in mano. Ma in mezzo a quella confusione e a quel frastuono, tutti i presenti udirono distintamente la voce chiara e squillante di Ellen che parlava in visione. L'opposizione di quegli uomini durò fino a quando ce la fecero a parlare e a cantare, nonostante alcuni loro amici li rimproverassero e chiedessero loro di smettere… Thayer, il padrone di casa, non era del tutto convinto che quella visione fosse opera del diavolo, come dichiarava Robbins, e voleva averne una prova. Aveva sentito dire che le visioni di potenza satanica venivano interrotte se si apriva una Bibbia e la si poneva sulla persona che aveva la visione. Chiese a Sargent se voleva fare questa prova, ma egli rifiutò. Allora Thayer prese una Bibbia di famiglia grande e pesante che era sulla tavola e che raramente veniva usata: l’aprì e la pose sul petto di Ellen che era in visione e che stava col busto inclinato all’indietro, appoggiata alla parete in un angolo della stanza. Immediatamente, non appena la Bibbia le fu posata sul petto, Ellen si alzò in piedi e raggiunse il centro della stanza, con la Bibbia aperta sulla mano sinistra, che teneva sollevata quanto più in alto poteva… e con gli occhi fissi al cielo, mentre con l'altra mano girava le pagine e metteva il dito su alcuni versetti e, senza guardare la Bibbia, con voce solenne pronunciava esattamente quello che in essi era scritto. Molti dei presenti (alzatisi in piedi) controllarono i versetti sui quali ella posava il dito per vedere se li ripeteva esattamente, dal momento che i suoi occhi erano rivolti verso l'alto (verso un punto lontano, per cui le sarebbe stato impossibile leggere). Alcuni di quei passi... contenevano rimproveri e istruzioni relativi alla nostra attuale condizione. Così ella continuò per tutto il pomeriggio e il sole stava per tramontare quando la visione finì… Sargent, Robbins e French [dopo il loro sfibrante tentativo d’ostruzionismo] rimasero zitti. E per tutto il resto del tempo furono turbati, come molti altri, ma preferirono chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie per non ammettere i loro veri sentimenti”.

La scena appena descritta da Otis Nichols ci lascia un po’ sconcertati perché lontana dalla nostra sensibilità. Lo sconcerto è accentuato dalla confusione provocata dai leader devianti del gruppo ed anche dalla stessa lunghezza della visione, la più lunga avuta da Ellen (4 ore). D’altra parte quella era una situazione conflittuale e allo strumento umano del soprannaturale, che non sceglie il contesto in cui operare, non resta che adattarsi alla situazione. Ma, a parte l’ostilità di alcuni presenti e la lunghezza dell’evento, era così che si manifestavano le visioni pubbliche di Ellen. Da un punto di vista soggettivo lei descrive così il fenomeno: “Dal momento che sono state fatte frequentemente delle indagini circa il mio stato fisico, durante e dopo la visione, io vorrei dire che quando il Signore ritiene giusto di darmi una visione, vengo portata alla presenza di Gesù e degli angeli e sono completamente assente a proposito delle cose terrene. Non posso vedere altro che quello a cui gli angeli mi dirigono. La mia attenzione è spesso diretta a scene che riguardano quello che succede sulla terra. A volte sono trasportata nel futuro e mi viene mostrato che cosa accadrà e poi mi vengono mostrate cose già avvenute nel passato. Quando esco dalla visione, subito non ricordo tutto quello che ho visto e la cosa non mi è perfettamente chiara fino a quando non mi metto a scrivere. Allora la scena ritorna vivida alla mia mente, così come l’avevo vista durante la visione, quindi posso scriverne i contenuti senza più nessuna remora. Altre volte le cose che ho visto, una volta uscita dalla visione, è come se mi venissero nascoste: non riesco a riportarle alla mente fino a quando non vengo portata in presenza di coloro a cui la visione è diretta. Allora ciò che avevo visto mi ritorna alla mente con forza. Io sono dipendente dallo Spirito del Signore sia per quanto riguarda il raccontare o lo scrivere una visione, sia per ciò che concerne l’avere una visione. È impossibile per me ricordare cose che mi sono state mostrate, a meno che il Signore stesso non me le riporti alla mente; quando cioè Lui ritiene sia il tempo in cui io devo raccontarle e scriverle”.

Dal punto di vista dello spettatore esterno, per comprendere le caratteristiche del fenomeno non possiamo attingere alla testimonianza di Ellen perché lei perdeva in quei momenti il contatto con la realtà esterna. Abbiamo pertanto bisogno della testimonianza di persone presenti a quei fatti straordinari. E di queste testimonianze ce ne sono molte. A cominciare da quella di Otis Nichols che abbiamo appena riportato. Da essa si evincono alcune azioni fisiologicamente inspiegabili. Ad esempio la voce potente di Ellen che riesce a sostenere per quattro ore di fila, quando in condizioni normali essa era roca e flebile. Ma c’è di più. A Randolph, questa ragazzina malaticcia di 35 chili tiene sollevata in alto per lungo tempo con la sola mano sinistra una grossa Bibbia di 8 chili: operazione impossibile per tutto quel tempo anche al più robusto degli uomini. Poi, mentre guarda da tutt’altra parte, sfoglia la medesima Bibbia, trova dei passi biblici congruenti con la situazione che stava denunciando e li ripete a voce alta mentre con l’indice della mano destra li sottolinea.

Ma forse il fenomeno più inspiegabile e meno compatibile con le leggi biologiche è quello dell’assenza di respiro durante tutto l’arco della visione. Abbiamo molte testimonianze in proposito, anche di medici. Ma riteniamo utile riportare per esteso quella di Daniel Bourdeau, un giovane di ventidue anni che aveva accettato il messaggio del ritorno di Cristo ma non credeva nel dono profetico di Ellen White nata Harmon. Il 21 giugno 1857 egli ebbe modo di assistere ad una sua visione e gli fu consentito d’avvicinarla per rendersi conto personalmente della realtà soprannaturale di quell’evento. Bourdeau raccontò così quell’esperienza che gli fece mutare opinione: “Non credevo alle visioni; ma un fatto tra gli altri che intendo menzionare mi convinse che le visioni di Ellen provenivano da Dio. Per soddisfare il mio desiderio di sapere se respirava oppure no, per prima cosa le misi una mano sul torace e ve la tenni sufficientemente a lungo per rendermi conto che i suoi polmoni non lavoravano affatto, come se si fosse trattato di un cadavere. Poi presi la mia mano e gliela misi sulla bocca, stringendole contemporaneamente le narici con il pollice e l'indice, in modo che le fosse impossibile inspirare o espirare, anche se avesse voluto farlo. Tenni la mia mano in questa posizione per circa dieci minuti, il tempo sufficiente per soffocare una persona in circostanze normali, ma ella non risentì affatto di questa prova. Da quando sono stato testimone di questo meraviglioso fenomeno, non mi è più sorta la tentazione di avere dubbi sull'origine divina delle sue visioni”.

Ovviamente la persona più vicina ad Ellen e meglio in grado di descrivere questo fenomeno fu il marito James White che nel 1868 ne mise in risalto 4 caratteristiche fondamentali e sempre presenti:
1. È completamente incosciente a proposito di tutto ciò che accade intorno a lei. È stato provato da rigidi e approfonditi esami fatti durante la visione. Ella vede se stessa come portata lontana da questo mondo e portata in presenza di esseri celesti.
2. Non respira. Durante tutto il tempo della visione, che può durare dai 15 minuti fino a tre ore, ella non respira. Ciò è stato provato molte volte premendole il petto, chiudendole la bocca e le narici.
3. Non appena entra in visione le si irrigidiscono tutti i muscoli e le si bloccano le articolazioni; nessuna forza esterna può renderle mobili. Allo stesso tempo i suoi movimenti e la sua gestualità, che sono frequenti, appaiono liberi e pieni di grazia: nessuna persona, neppure la più forte, potrebbe essere capace di ostacolarla e di impedirle di compiere tali gesti.
4. Quando Ellen esce da una visione, sia che l’abbia avuta in pieno giorno sia di sera in una stanza illuminata, tutto attorno a lei è completamente nell’oscurità. La facoltà di distinguere gli oggetti, anche i più visibili e luccicanti, viene riconquistata a poco a poco, gradatamente, dopo che lei è uscita di visione.

Le suddette caratteristiche vengono fatte rilevare anche da altri testimoni autorevoli, di alcuni dei quali riportiamo le dichiarazioni. Cominciamo da quella di George Butler (1834-1918) che fu presidente della Conferenza Generale degli avventisti: “Il tempo in cui la signora White è in questo stato (in visione) varia da 15 a 180 minuti. Durante tutto il periodo della visione il cuore le continua a battere; tiene gli occhi aperti e sembra che fissi qualcosa di molto distante e mai li posa su una persona o cosa che si trova nella stanza: il suo sguardo è sempre diretto verso l’alto ed esprime gioia. Mentre è in visione ella non respira affatto. Dalle sue narici, come pure dalle sue labbra, non esce alito. Tutto questo è stato constatato da molti testimoni oculari e da medici anche non avventisti, chiamati appositamente dalla comunità… Quando la signora White si trova in tale stato non c’è nessuna apparenza che possa far pensare che ella sia in preda a uno svenimento, perché sul suo volto permane un colorito naturale: il sangue continua a circolare regolarmente come sempre. Spesso per un po’ di tempo perde le forze, quindi reclina il busto o si siede. Altre volte si alza in piedi. Muove le mani con molta grazia e frequentemente e spesso il volto le si irradia di luce come se la gloria del cielo riposasse su di lei. Durante la visione è sempre completamente incosciente circa le cose e le persone che la circondano: non ha conoscenza di quello che viene detto e fatto in sua presenza… L’apparenza calma, dignitosa e solenne di Ellen incute negli astanti riverenza e solennità. Nella sua apparenza, quindi, non c’è nulla di fanatico. Quando ritorna al suo stato normale, di tanto in tanto, parla e scrive a proposito delle cose che ha visto e udito durante la visione… Molte cose infatti, di cui ella ha parlato o scritto, non avrebbe potuto saperle altrimenti”.

John Norton Loughborough (1832-1924), pioniere e studioso del movimento avventista: “La prima volta che vidi la sorella Ellen White, nata Harmon, fu il primo sabato di ottobre 1852 e la vidi mentre era in visione; visione che durò più di un’ora. Da quella volta in poi ho avuto il privilegio di assistere personalmente a circa 50 visioni di Ellen White. Sono stato presente quando i medici la esaminavano, mentre era in visione e considero un privilegio testimoniare di ciò che ho visto e di ciò che so… Quando veniva rapita in visione emetteva tre gridi estatici: ‘Gloria, gloria, gloria!’. Il secondo grido, ma specialmente il terzo era più debole, ma più penetrante del primo. La voce era simile a quella di una persona che si stesse trovando a una certa distanza dagli astanti e gradatamente si andava affievolendo fino a quando non la si poteva più udire. Per circa 4 o 5 secondi sembrava che cadesse come chi sta per svenire o come qualcuno al quale vengono meno le forze. Poi, improvvisamente, sembrava ripiena di energia soprannaturale; a volte si alzava in piedi e camminava per la stanza. Le sue mani e braccia si muovevano frequentemente ora a destra, ora a sinistra, seguendo i movimenti della testa e tali movimenti sia delle braccia sia della testa erano fatti con molta grazia. In qualsiasi posizione le braccia e le mani si trovassero a nessuno è mai stato possibile muoverle. Durante la visione, Ellen aveva sempre gli occhi aperti, ma non si verificava nessun movimento delle palpebre; teneva la testa come se stesse guardando qualcosa al di sopra di lei, non con lo sguardo assente, ma con un’espressione di intenso gradimento e allo stesso tempo diversa da quella che aveva generalmente quando non era in visione: era come se stesse guardando intensamente qualcosa molto distante da lei. Mentre era in visione Ellen non respirava, eppure il suo cuore batteva regolarmente. L’aspetto esteriore era eccellente e il colore delle guance era roseo come sempre”.

Marta Amadon (1834-1937), educatrice e prima responsabile della Società Dorcas. Trascorse molto tempo con Ellen White e fu presente a diverse sue visioni. La sua testimonianza, oltre ad elencare le cose appena descritte, aggiunge: “Fra i presenti, durante la visione, non si verificava nessun tipo di eccitazione; nulla poteva suscitare paura: era una scena solenne e tranquilla che durava, a volte, anche un’ora… Quando la visione finiva ed Ellen, non potendo più vedere la luce celeste così splendente com’era, e ritornando, quindi, nella realtà terrena, immediatamente prima di riprendere il suo respiro naturale, con un profondo e lungo sospiro di rimpianto esclamava: ‘B-u-i-o’. Dopo questo, Ellen era esausta e priva di forze”.

Della prima visione di Ellen White, abbiamo già detto. Essa avvenne nel dicembre del 1844, a poche settimane dalla grande delusione d’ottobre. L’ultima avverrà a quattro mesi dalla sua morte, il 3 marzo del 1915. Saranno una costante del suo lungo ministero profetico durato 70 anni. Ne avrà circa 2000. Le visioni sino al giugno del 1884 furono prevalentemente pubbliche e diurne, e duravano in genere dai 10 minuti alle tre ore. La più lunga, quella di Randolph, durò 4 ore. Negli anni della sua senilità, i messaggi le vennero dati prevalentemente di notte sotto forma di sogni profetici. Il profeta Gioele afferma che poco prima del grande e terribile giorno del Signore, Dio farà cose straordinarie in cielo e sulla terra. Egli invierà anche messaggi profetici agli uomini: visioni ai giovani e sogni agli anziani. Quei giorni appartengono ancora al futuro, ma è come se nella persona di Ellen White, profetessa dell’avvento in tempi difficili di delusione e di perplessità, trovassero una sorta di anticipazione. Qualcuno si è chiesto perché Dio non invii sempre i suoi messaggi attraverso i sogni, in privato, invece di utilizzare le visioni che in genere vengono date in presenza di un pubblico numeroso e sono accompagnate da fenomeni fisici drammatici e spettacolari; quasi trasformando, per la nostra sensibilità razionale, il profeta in un fenomeno da baraccone. Arthur White, nipote di Ellen e fino al 1978 segretario del “White Estate”, organismo che ne preserva l’immensa eredità letteraria, ha riflettuto su questa singolarità ed ha suggerito che i fenomeni fisici prevalgano all’inizio dell’attività d’un profeta con “il preciso scopo di stabilire la fiducia dei credenti nella loro origine divina, prima che si verifichino i risultati grazie ai quali le dichiarazioni del messaggero di Dio possono essere giudicati”. E infatti, nel caso di Ellen White, man mano che ella poté dimostrare la sua ispirazione con argomenti più solidi, gli elementi spettacolari si attenuarono e il rapporto rivelativo divenne sempre più intimo.


Due sole opzioni

I fenomeni fisici che accompagnavano le visioni di Ellen White, come abbiamo visto, non possono essere spiegati con l’uso di artifici umani. Nessuna persona di buonsenso, che non sia accecata da un furore ideologico laicista o bigotto-religioso, può affermare che tali fenomeni possano essere il risultato di brogli, di illusionismo, di ipnosi o autoinduzione. La White non respirava, anche per ore; conservando il colorito roseo e non riportando alcun danno. Parlava ad alta voce senza emettere fiato. Non sono favole. James White, mentre la moglie si trovava in questa condizione di rapimento estatico, invitava i presenti a verificare di persona. Se c’erano medici in sala, venivano sempre invitati a visitare accuratamente l’insolita “paziente”. Così facendo dava dimostrazione che il soprannaturale era all’opera e al contempo demoliva la credibilità dei critici che senza cognizione di causa o, peggio, in malafede lanciavano accuse di frode.

A proposito di questa prassi, lo storico Loughborough riporta un’esperienza inquietante di cui egli fu testimone. Era il 12 gennaio 1861. Ellen White si trovava a Parkville, nel Michigan, per l’inaugurazione di una chiesa. E in quell’occasione ebbe una visione riguardante la guerra di secessione che sarebbe scoppiata da lì a poco. Quel sabato era presente il dottor Brown, un medico della zona che era anche uno spiritista e una sorta di pranoterapeuta (electric-phisician). Il dott. Brown, avendo saputo che in questa cerimonia sarebbe stata presente e avrebbe parlato Ellen White, aveva mandato un invito personale ai suoi amici medium perché partecipassero anche loro a questa cerimonia. Scrisse loro: “La signora White sarà presente, e voi udirete qualcosa di eccezionale perché lei consulta spiriti che sono superiori a quelli che consultiamo noi… Se la signora White viene, avrà di certo una visione. In tal caso io, in qualità di electric-phisician saprò esattamente chi è; e se avrà una visione, in un minuto la riporterò alla realtà”. Quella mattina in sala, perciò, oltre al dottor Brown c’erano anche i suoi amici. Quando Ellen White ebbe la visione, suo marito, come era solito fare, si alzò e spiegò la natura dell’esperienza della moglie, invitando coloro che lo volevano ad esaminarla. “Proprio allora – riporta Loughborough – dal fondo della sala, vicino a dove si trovava il dott. Brown, qualcuno disse: «Dottore, vada avanti e faccia quello che ci ha detto avrebbe fatto». Noi non sapevamo ancora che cosa aveva detto che avrebbe fatto. James White, sentendo che tra i presenti c'era un medico, lo invitò a farsi avanti. Il dottore avanzò con alterigia; ma quando fu a circa metà distanza [da Ellen], improvvisamente si fermò, impallidì e cominciò a tremare. James White insisté perché continuasse ad andare avanti, ma dopo pochi passi il dottore si fermò, ancor più in preda al terrore. Allora White gli andò incontro, e mettendogli una mano sulla spalla lo incoraggiò a proseguire. Il dott. Brown esaminò con la dovuta accuratezza, ma piuttosto in fretta, Ellen; ne prese le pulsazioni, ascoltò il battito cardiaco, controllò la respirazione e poi disse: «Pastore, il cuore va bene, le pulsazioni sono buone, ma non respira». Certo, lui si aspettava qualcosa di molto diverso. Quando ebbe finito di esaminarla, andò in fretta verso l'uscita, come se volesse fuggire. Quelli che erano vicino alla porta non lo lasciarono uscire, anzi gli dissero: «Torna indietro e fai quello che hai detto avresti fatto». Il pastore White, vedendo che quell'uomo voleva a tutti i costi uscire, disse: «Dottore, per favore vuole riferire agli astanti il risultato del suo esame?». Il dottore rispose: «Il suo cuore e le sue pulsazioni sono regolari, ma non respira». Le persone che erano vicino a lui gli chiesero: «Dottore, che cosa significa questo?». Egli rispose: «Soltanto Dio lo sa. Lasciatemi andare via, lasciatemi uscire». Allora esse si scostarono dalla porta ed egli fuggì. Non lo vedemmo più durante le riunioni”. Il giudice Osborne, che era presente, disse allora a Loughborough: “È stato evidente a tutti che lo spirito che controlla il dott. Brown in qualità di medium e quello che controlla la signora White durante la visione non hanno molta simpatia l'uno per l'altro. Le azioni del dottore ci hanno fatto pensare allo spirito maligno che voleva sapere se il Signore era venuto per tormentarlo prima del tempo [Matteo 8:29]”.

È interessante notare come i presenti a quest’evento, non parlino di brogli ma di spiriti antagonisti. E in effetti, se si esclude che i fenomeni fisici che accompagnavano le visioni della White fossero riferibili a cause umane, non restano a spiegarli che le cause sovrumane. Come lei stessa ha affermato, la sua opera o “viene da Dio o viene da Satana”, non ci sono mediazioni possibili. Perché l’unica ragionevole alternativa è questa: che dietro il ministero di Ellen White non ci sia l’azione di Dio ma quella dei demoni, che sono esseri potenti e che possono essere causa di fenomeni fisicamente inspiegabili. Anzi, bisogna attendersi la loro mano dietro quella casistica di fatti a cui oggi si dà il nome di “paranormale religioso” quali, ad esempio, apparizioni, lacrimazioni e sanguinamenti di statue ed effigi, guarigioni, ecc. L’uso del soprannaturale è tipico della contraffazione satanica. La sua individuazione, però, nell’opera di un essere umano obbliga il credente ad una valutazione critica ancora più attenta delle proposte che accompagnano la manifestazione prodigiosa. Non può essere altrimenti. Intanto per un fatto di buonsenso. Un messaggio accompagnato da un evento soprannaturale può provenire solo da Dio, che vuole la mia vita eterna, o da Satana che vuole la mia morte eterna. Se io sono una persona equilibrata e di buonsenso do importanza alla mia vita, quindi do importanza a tale messaggio. Ma non è solo un fatto di buonsenso, è anche una precisa indicazione che al cristiano viene dalla Bibbia. Sia l’Antico che il Nuovo Testamento invitano a tenere in gran conto il messaggio profetico. Dio disse a Mosè: “Io farò sorgere per loro un profeta come te in mezzo ai loro fratelli, e metterò le mie parole nella sua bocca ed egli dirà loro tutto quello che io gli comanderò. Avverrà che se qualcuno non darà ascolto alle mie parole, che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto” (Deuteronomio 18:18-19). Dare ascolto al messaggio profetico è pertanto un dovere. Con l’avvento della Chiesa le cose non cambiano. Paolo afferma: “Non ostacolate l’azione dello Spirito Santo. Non disprezzate chi profetizza” (1Ts 5:19-20). Prestare attenzione, però, non equivale ad accettazione acritica. Perché il profeta, come abbiamo detto, potrebbe anche parlare da parte di Satana e quindi portare un messaggio ingannevole, di morte anziché di vita. Il messaggio va pertanto analizzato. “Esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (v. 21), aggiunge Paolo. Prima di Paolo, Gesù in persona diede indicazioni per distinguere i veri dai falsi profeti: “Attenti ai falsi profeti! Quando vi vengono incontro, all’apparenza sembrano pecorelle, ma sotto sotto, essi sono lupi feroci. Li riconoscerete dai loro frutti… Se un albero è buono, fa frutti buoni; ma se un albero è cattivo, fa frutti cattivi” (Mt 7:15-17).

Allora, riguardo alle profezie, il cristiano ha due direttive: quella di non sottovalutarle e quella di discriminarle, riconoscendo le vere dalle false. È un’operazione troppo importante per delegarla ad altri e, al contempo, richiede il massimo rigore per evitare di assegnare il sigillo di veridicità ai falsi profeti o, al contrario, di riconoscere l’azione di Satana in chi è inviato da Dio. Fecero così anche con Gesù, accusandolo di essere indemoniato (“Ora sappiamo che tu hai un demonio”, Gv 8:52) e di trarre da Satana il suo potere (“Scaccia i demoni con l’aiuto del principe dei demoni”, Mt 9,34). Pertanto è necessario adoperare i giusti strumenti di discrimine per evitare di commettere simili errori. “Li riconoscerete dai loro frutti”, disse Gesù. Ed Ellen White incoraggia a giudicare la sua opera proprio con questo metro. Essa afferma: “Le Testimonianze [così chiama i messaggi di cui è tramite] vanno giudicate dai loro frutti. Qual è lo spirito del loro insegnamento? Qual è stato l'effetto del loro influsso? Quanti desiderano farlo possono accertarsi personalmente dei frutti di queste visioni… O Dio sta ammaestrando la Sua chiesa, riprovando i suoi errori e rafforzando la sua fede, oppure non lo sta facendo. Quest'opera o proviene da Dio oppure no. Dio non fa nulla in società con Satana. La mia attività… reca l'impronta di Dio o quella del nemico. In questa faccenda non esiste una posizione intermedia. Le "Testimonianze" sono o dello Spirito di Dio o del Diavolo”.


I frutti della congruenza

Per valutare la qualità di questi frutti, ovviamente il cristiano non può che riferirsi agli strumenti indicati dalla Bibbia. Il primo strumento è quello della congruenza sulle dottrine. “Attenetevi alla legge e alla testimonianza! [cioè all’insegnamento della Bibbia] Se un popolo non parla in questo modo, è perché in esso non c’è luce” (Isaia 8:20). Se le affermazioni del profeta sotto esame contraddicono l’insegnamento biblico non possono che essere false e provenire dal maligno. Torneremo su quest’aspetto fondamentale quando avremo parlato delle dottrine sostenute dalla White. Il secondo elemento di discrimine è quello della congruenza tra l’insegnamento e i comportamenti. Gesù accusava i dottori della legge di predicare bene ma di razzolare male. Ancor di più: di imporre agli altri pesi che essi ben si guardavano di portare. Ora, il profeta è un uomo e come tale è soggetto ai limiti e alle debolezze umane; però una persona che sperimenta la continua relazione con il cielo non può non trarre beneficio da quest’influenza santificante. La comunione con Dio e con gli angeli imprime una spinta potente verso il perfezionamento del carattere e delle virtù. Dalla biografia di Ellen White infatti cogliamo chiaramente elementi che confortano questo trend; ma anche su questo torneremo alla fine del nostro racconto. V’è ancora un buon frutto che porta il vero profeta. Forse non sempre semplice da cogliere rispetto ai due precedenti, ma non meno importante, è quello della congruenza tra le dichiarazioni e la loro realizzazione. Leggiamo in Deuteronomio 18:21-22: “Forse vi chiederete come potrete riconoscere una parola che non viene dal Signore. Se il profeta annunzia qualcosa nel nome del Signore, e questo non accade né si realizza, è una parola che non viene dal Signore”. Che posto avevano le predizioni nelle rivelazioni di Ellen? E soprattutto, queste si sono avverate?


Predizioni sempre adempiute

Dopo aver raccontato di una predizione personale fattagli dalla White e puntualmente realizzatasi, lo storico avventista Loughborough concluse così la sua testimonianza: “Con questa esperienza ho potuto rendermi conto che, conformemente alle Scritture, una delle forti prove per riconoscere un vero profeta è che ciò che egli predice avviene. Fra il 1853 ed il 1858 nessun predicatore ha viaggiato di Stato in Stato, con il fratello e la sorella White, quanto me. Ho avuto il privilegio di vedere la sorella in visione più di quaranta volte ed ho preso nota di oltre un centinaio di importanti predizioni da lei fatte e che si sono adempiute alla lettera”.

Il contenuto delle visioni di Ellen White riguardava gli argomenti più disparati, che andavano dal conflitto cosmico tra Cristo e satana, dal suo lontano inizio sino alla sua futura conclusione, a fatti quotidiani non necessariamente di natura drammatica. Ebbe perfino una visione su Charlie, un cavallo assai mansueto molto utile a lei e a suo marito nei primi anni stentati del loro ministero. Nel 1850 i confratelli di Sutton, nel Vermont, accortisi che gli White viaggiavano sulle scomode diligenze di linea o persino sui carri, fecero una colletta e raccolsero 175 dollari per donare loro un cavallo e un calesse. La scelta del cavallo la lasciarono a loro. Quella notte Ellen ebbe una visione in cui le fu anticipato che le sarebbero stati mostrati tre cavalli tra i quali un bel sauro pezzato. “È questo il vostro”, le disse l’angelo. Così l’indomani la scelta cadde su Charlie, il cavallo visto in visione, che per lunghi anni si rivelò compagno affidabile di tante missioni.

Tante volte davanti agli occhi di Ellen si presentavano delle scene prive di contesto cronologico o geografico. Non sapeva, cioè, dove si svolgevano né quando; se erano accadute o dovevano ancora accadere. Tuttavia trovavano il loro contesto al momento debito. Se era un fatto storico, le tornava alla mente quando giungeva a documentarsi sul relativo periodo, e così le erano rivelati determinati retroscena di eventi passati di cui non c’era traccia sui libri di storia. Il figlio Willie, che divenne il suo principale collaboratore dopo la morte del marito avvenuta nel 1881, racconta un episodio che spiega bene questa complementarità tra i documenti storici e la rivelazione. Scrive William White: “Un sabato, a Basle, stavo leggendo Storia del Protestantesimo di Wylie. Narrava di come gli eserciti romani combattevano contro gli ungheresi e come un grande esercito di persecutori avrebbe visto uno sparuto gruppo di protestanti che li avrebbero spaventati e costretti ad una frettolosa ritirata. Quando lo lessi a mia madre, lei mi interruppe e mi raccontò molte cose scritte più avanti nel libro e molte altre cose di cui il libro non parlava affatto. Lei disse: «Non ho mai letto il libro, ma quella scena mi è stata presentata tantissime volte. Ho visto gli eserciti papali, e qualche volta prima che loro potessero schierarsi contro i protestanti, gli angeli di Dio li mostravano schierati come un esercito talmente grosso da costringerli alla fuga». Dissi: «Ma perché non l’hai messo nel tuo libro?» Lei rispose: «Non sapevo dove metterlo»”. Sempre Willie, udì la madre un mattino, mentre scriveva gli ultimi capitoli del Gran Conflitto, esclamare: “Ora ho capito. Cronologicamente, ora so dove posizionarla. Ne ho compreso la relazione”. Si riferiva ad una scena che le era stata presentata più volte nelle notti precedenti e che adesso finalmente riusciva a collocare nel suo quadro storico.

Altre volte le venivano rivelate delle scene utili all’acquisto di terreni o edifici ove far sorgere istituzioni: case editrici, scuole, ospedali. Quando si trovava in Australia e i suoi confratelli erano alla ricerca di un terreno su cui edificare una scuola con il relativo convitto, fece un sogno. Si vide trasportata in un grande campo e, dopo aver camminato attraverso la vegetazione, si ritrovò in una piccola radura. Qui vide un solco accuratamente tagliato da un aratro, profondo circa venticinque centimetri e lungo circa due metri. In quel momento giunsero due uomini che dissero: “Questo terreno non è adatto e la terra non è buona”. Ma Ellen vide un angelo in piedi vicino al solco che affermò: “Su questo terreno è stata data una falsa testimonianza”. Poi proseguì descrivendo le caratteristiche dei vari strati del terreno, illustrandone persino le proprietà chimiche. Affermò che quel terreno era adatto alla coltivazione di frutta e verdura, e che comunque Dio era in grado d’apparecchiare una mensa anche in mezzo a un deserto. Alcuni giorni più tardi fu contattata dalla commissione incaricata all’acquisto del terreno che la informava d’aver trovato un grande appezzamento, cento chilometri a nord di Sidney, che sembrava possedere le caratteristiche desiderate ma che comunque era gradito il suo parere ispirato. La White accettò d’accompagnare i suoi confratelli per vedere il terreno e insieme presero il treno per recarvisi. Durante il viaggio li mise al corrente del sogno e quando giunsero sul posto lei lo riconobbe in quello visto alcune notti prima. Riconobbe pure la radura e c’era anche il solco d’aratro perfettamente tagliato di fresco e delle esatte misure viste in sogno. Una stranezza che saltò agli occhi di tutti era che attorno ad esso non c’erano né tracce di ruote, né impronte di zoccoli di cavalli. Poco dopo arrivarono due uomini che, come descritto in sogno, esclamarono: “Questo terreno non è adatto e la terra non è buona!”. Affermarono inoltre che esso era sabbioso e acido e che praticamente non serviva a niente. A quel punto i presenti furono profondamente impressionati, perché si resero conto d’essere guidati dal Signore e decisero senza indugio d’acquistare quel terreno. Lì sorse una celebre istituzione scolastica chiamata in seguito ”Avondale College” e, cosa importante, il suolo si rivelò molto fertile e produttivo al di là d’ogni aspettativa, così come aveva anticipato l’angelo.

Altre volte ancora le rivelazioni restavano in attesa anche anni prima di trovare il loro contesto. Fu così nel luglio del 1867 quando i coniugi White si recarono in visita alla chiesa di Bushell, nel Michigan. Quella comunità versava in una profonda crisi spirituale e dopo il culto del mattino, tenuto dal marito, Ellen prese la parola nel pomeriggio in un incontro all’aperto. Ecco come dei testimoni oculari descrissero quell’episodio in un articolo sulla rivista Signs of the Times: “La signora White si alzò con la Bibbia in mano, e cominciò a parlare su un testo biblico. D'improvviso tacque, mise via la Bibbia e iniziò a parlare a coloro che avevano accettato il sabato in quella località. Mai prima di allora ella aveva incontrato quelle persone e, per conseguenza, non poteva chiamarle per nome. Però essa indicava ogni fratello ed ogni sorella secondo la posizione che occupava nell' assemblea: uno vicino all'albero, uno seduto accanto a quel fratello o sorella della chiesa di Greenville o di Orléans che lei conosceva personalmente e che poteva chiamare per nome. Ella descrisse ogni caso particolare, affermando che il Signore le aveva mostrato i loro casi due anni prima, e che, mentre parlava, la visione si era nuovamente presentata alla sua mente, simile ad un lampo subitaneo che, in una notte oscura, illumina gli oggetti circostanti. Ellen White parlò per circa un'ora, descrivendo le esperienze di quanti le stavano di fronte. Le persone da lei indicate si alzarono l'una dopo l'altra, affermando che «il loro caso era stato descritto molto meglio di quanto essi stessi avrebbero potuto fare». Furono fatte delle confessioni, dei torti vennero riparati e ne seguì una benefica riforma. Da quel gruppo di credenti che due settimane prima aveva deciso di separarsi, nacque una forte chiesa”.

Compito importante di Ellen White fu quello d’incoraggiare, mettere in guardia e riprendere non solo intere comunità ma anche singole persone, semplici membri di chiesa. Scriveva lettere di rimprovero, per peccati conosciuti solo dagli interessati, indirizzati a fratelli in fede lontani migliaia di chilometri dopo che questi le venivano mostrati in sogno o in visione. Il figlio Willie narra un episodio che dimostra quanto diversa sia la prospettiva cronologica degli uomini da quella di Dio. Egli racconta che nel periodo in cui si trovava con la madre in Australia, un fratello in fede lo avvicinò e gli “disse: «Fratello White, io sono in un guaio. Sono in un guaio serio, perché sua madre mi ha scritto una lettera dove mi rimprovera per qualcosa che non ho mai fatto. Io sono profondamente angosciato. E non so cosa fare». Poi lui mi raccontò perché veniva rimproverato. «Fratello mio» dissi «sono molto lieto che ti sia rivolto a me per un consiglio e credo di poterti aiutare». Gli spiegai… che qualche volta la cronologia e la geografia non erano chiaramente presentate… Dissi a questo fratello: «Tu ed io facciamo una grande distinzione tra passato, presente e futuro. Per noi c’è una grande differenza. Per Dio tutto è presente. Noi facciamo una grande differenza tra un atto contemplato, pensato, radicato nella nostra mente ed un atto compiuto. Per Dio non c’è la stessa differenza che esiste per noi. Lui guarda al pensiero del cuore, e quando vede nella tua e nella mia mente un piano, un desiderio, per Lui è come il seme di un albero. In esso vede già l’albero con i frutti. Caro fratello, se hai ricevuto un rimprovero per qualcosa che non hai mai commesso, ti consiglio di prenderlo come un avvertimento e di conseguenza di tenertene alla larga, in modo tale che, quanto previsto, non possa mai succedere. Non ti illudere che questa tentazione passi in pochi giorni o in qualche settimana. Ricorda che la conquista di se stessi è un lavoro che dura per tutta la vita». Afferrato il concetto, mi rispose: «Ora capisco. Ti ringrazio per il consiglio. Conosco abbastanza il lavoro di tua madre per sapere quanto potere e quanta verità c’è in esso. Lo accetto come un avvertimento e mi terrò talmente alla larga da tali diabolici avvenimenti che nessun uomo saprà mai che ho avuto bisogno di un tale avvertimento»”. Probabilmente quest’uomo aveva sopravvalutato le proprie capacità di autocontrollo, perché alcuni mesi più tardi giunse a William White notizia che quella persona aveva finito per commettere quelle azioni riprovevoli di cui si era dichiarato innocente. “Tecnicamente, – conclude White – così come gli uomini vedono e giudicano, potremmo dire che era innocente al momento in cui fu rimproverato; ma spiritualmente e nelle motivazioni egli è sempre stato colpevole”.


Annuncio di imminenti calamità

In alcuni casi ad Ellen White furono annunciate imminenti calamità poco prima che si verificassero. Avvenne così con guerra di secessione. L’occasione fu l’inaugurazione della chiesa di Parkville: ne abbiamo già accennato quando abbiamo detto del dottor Brown, il medico spiritista, che se la diede a gambe levate in presenza di Ellen in visione. A conferma, se ce ne fosse bisogno, che tra angeli e demoni non ci sia molto feeling. Quella visione durò circa venti minuti, e quando Ellen si riprese ne fece partecipe l’uditorio con queste parole: “Non c'è nessuno [tra i presenti] che possa aver sognato o immaginato ciò che sta per accadere in questo Paese. L'afflizione sarà grande. Tutti prendono alla leggera il decreto di secessione dello stato della Carolina del Sud, ma mi è stato mostrato che un buon numero di Stati si unirà ad essa e in questo paese ci sarà una delle più terribili guerre che mai ci siano state. Nella visione ho visto un gran numero di soldati da tutt'e due le parti. Ho udito il rimbombo dei cannoni e ho visto persone morte o che stavano morendo. Poi ho visto i soldati [armati di baionette] avventarsi l'uno contro l'altro. Ho visto inoltre i campi che dopo la battaglia erano disseminati di cadaveri e di soldati che stavano morendo. Poi sono stata portata in una prigione e ho visto la sofferenza di coloro che erano nel bisogno e che stavano consumandosi [per le privazioni]. Sono stata portata anche nelle case di chi aveva perso il marito o il figlio o il fratello a causa della guerra, e ho visto la loro angoscia e la loro afflizione”. Poi Ellen, fissando attentamente i suoi uditori aggiunse con tristezza: “In questa sala ci sono persone che perderanno i figli in questa guerra”.

Questa è stata una rivelazione significativa, non solo per i risvolti drammatici che anticipava (effettivamente una decina di famiglie presenti a quella riunione ebbero almeno un lutto in casa a causa di quel conflitto), ma soprattutto perché andava assolutamente controcorrente rispetto a quella che era l’opinione comune in quei giorni. Quando Ellen ebbe quella visione (il 12 gennaio 1861) solo quattro stati del sud avevano proclamato la secessione, non si erano ancora costituiti in confederazione, Abramo Lincoln non si era ancora insediato e mancavano ancora tre mesi all’attacco di Fort Sumter, la prima azione militare della guerra civile americana. Prima d’allora sia gli esperti che l’opinione pubblica del nord erano convinti che mai ci sarebbe stata una guerra, e nel caso che i sudisti fossero stati così sconsiderati da provocarla, l’Unione avrebbe rapidamente soffocato la ribellione. Persino quando il conflitto scoppiò, Lincoln si limitò a richiamare alle armi solo 75.000 soldati per soli 90 giorni convinto che la campagna militare sarebbe stata breve. Tre mesi prima invece Ellen White aveva affermato con chiarezza che: (1) la guerra ci sarebbe stata; (2) sarebbe stata lunga, con impiego d’un gran numero di soldati, con gravi perdite umane e un gran numero di prigionieri lasciati a consumarsi nei campi nemici; (3) in quella riunione, dei genitori avrebbero perso i loro figli a causa del conflitto. E le cose andarono esattamente così. La guerra ci fu. Fu lunga (4 anni). I soli nordisti impiegarono oltre un milione e mezzo di soldati, perdendone oltre 360 mila. I prigionieri, prima rinchiusi in forti e prigioni comuni, con l’aumentare del loro numero finirono per essere ammassati in veri e propri campi di concentramento. In meno d’un anno ad Andersonville, il più famigerato dei campi sudisti, un terzo degli oltre 30.000 prigionieri morì di fame, di malattie infettive o venne ucciso nei frequenti tentativi di fuga. Non pochi presenti alla riunione di Parkville, che alle parole della White avevano avuto una reazione di diffidenza e d’incredulità, dovettero amaramente ricredersi.

Il 3 agosto di quell’anno venne rivelata ad Ellen la ragione di quel conflitto. Dio si serviva della guerra civile per punire entrambi i contendenti: il Sud per avere praticato il peccato dello schiavismo, e il Nord per averlo tollerato. Coloro che continuavano a sperare in una guerra breve, sarebbero stati delusi. Il conflitto andava avanti già da quattro mesi e quel giorno era stato consacrato dalla nazione alla “umiliazione, alla preghiera e al digiuno”. Ma Ellen vide che Dio considerava quel digiuno un insulto alla sua Persona, poiché, come Egli aveva già affermato per bocca del profeta Isaia, “per digiuno io intendo un'altra cosa: rompere le catene dell'ingiustizia, rimuovere ogni peso che opprime gli uomini, rendere la libertà agli oppressi e spezzare ogni legame che li schiaccia” (Is. 58:6).

Il 4 gennaio 1862, a un anno dalla prima, Ellen White ebbe la terza visione sulla guerra civile. Dopo molti mesi di guerra, l’Unione non era più vicina alla vittoria di quanto non lo fosse stata all’inizio. La ragione fondamentale stava nel fatto che Dio non avrebbe permesso al Nord di vincere fino a quando l’unità della nazione, e non l’abolizione dello schiavismo, sarebbe rimasto l’obiettivo principale di Washington. Ma bisognerà attendere il 1863 perché entrasse in vigore il sia pur insincero e strumentale proclama per l’emancipazione degli schiavi, di Lincoln. Il 4 luglio di quell’anno il generale Grant, convinto abolizionista, espugna Vicksburg, spezzando in due il territorio della Confederazione e assumendo il pieno controllo del fiume Mississippi.

Spostiamoci in avanti di quarant’anni. La mattina del 18 aprile del 1906 un violento terremoto, di magnitudine compresa tra 7.7 e 8.3 della scala Richter, sconquassa la città di San Francisco. Il sisma viene percepito su tutta la costa occidentale, dall’Oregon fino a Los Angeles, e nell’interno fino al Nevada. La città più colpita è però San Francisco, anche perché la rottura delle tubazioni provocò un devastante incendio che fece più vittime del terremoto stesso. Ci furono vittime e riportarono danni anche altre città vicine come la prospiciente Oakland, ma di gran lunga il maggior numero di morti si registrò a San Francisco con almeno tremila decessi. Inoltre fra le 225.000 e le 300.000 persone persero la casa su un totale di 400.000 abitanti. Un vero disastro; nel suo genere considerato il più importante della storia degli Stati Uniti d’America. Allora i predicatori non ebbero difficoltà a vedere in quella catastrofe la mano punitiva di Dio contro la città più corrotta (terribly wicked city) della costa occidentale.

Anche Ellen White vide questo nesso, ma lo fece prima che accadesse. Infatti tre anni prima scriveva: “Tra poco tempo queste città subiranno i giudizi di Dio. San Francisco e Oakland sono diventate corrotte come Sodoma e Gomorra, e il Signore le visiterà con la sua ira”. Molti che avevano imparato a fidarsi delle parole di Ellen White, anche persone che appartenevano ad altre confessioni cristiane, lasciarono con le loro famiglie San Francisco e Oakland per trasferirsi altrove. Mentre chi non vi dette peso ebbe presto occasione di ricredersi.

Due giorni prima della catastrofe, Ellen in una visione notturna ne sentì in qualche modo l’avvicinarsi. Ascoltiamo il suo racconto: “Mentre ero a Loma Linda, in California, e precisamente il 16 aprile 1906, passò davanti a me una scena fra le più terrificanti. Durante una visione notturna, io mi trovavo in un’altura da cui potevo vedere le case più in basso che venivano scosse qua e là come canne al vento. Edifici grandi e piccoli cadevano a terra. Luoghi di piacere, teatri, alberghi e case lussuose venivano rase al suolo. Molte vite umane si spegnevano in quella furia e le grida di dolore dei feriti e di chi era vinto dalla paura riempivano l’aria. Gli angeli distruttori di Dio erano al lavoro. Con un loro gesto gli edifici che gli uomini consideravano roccaforti contro ogni pericolo, costruiti secondo le regole, e precisi in ogni dettaglio, in un attimo diventavano un cumulo di macerie. Non c’era luogo dove poter scampare dalla furia distruttrice. Io non mi sentivo in pericolo, ma non so trovare le parole per descrivere la scena spaventosa che mi passò davanti agli occhi. Sembrava che la sopportazione di Dio si fosse esaurita e il giorno del suo giudizio fosse giunto. Allora l’angelo che era al mio fianco mi istruì dicendomi che ci sono persone che non hanno nessuna concezione della malvagità che esiste nel mondo di oggi, specialmente nelle grandi città. Egli dichiarò che il Signore ha fissato un tempo in cui egli visiterà i trasgressori esprimendo così la sua collera per la loro persistente noncuranza nei confronti della sua legge”.

Nove giorni dopo il sisma, Ellen scriveva: “Mi è stato chiesto di annunciare che le città dove la trasgressione e il peccato sono portati agli estremi saranno distrutte per mezzo di terremoti, incendi e inondazioni”. Una serie di messaggi, quindi, che svelavano quanto queste catastrofi non fossero la conseguenza della casualità ma al contrario singoli anelli di una lunga catena d’avvertimento e di retribuzione che si spingeva fino al giorno della resa dei conti. Questo concetto fu ribadito più chiaramente l’anno seguente: “Tutti gli avvertimenti di Cristo relativi agli eventi che accadranno verso la fine della storia terrena si stanno realizzando nelle nostre metropoli. Dio sta permettendo che queste cose vengano alla luce affinché chi amministra possa riconoscerle. San Francisco è un campionario di ciò che il mondo intero sta diventando. Corruzione, appropriazione indebita, azioni fraudolente degli uomini di potere che assolvono i colpevoli e condannano gli innocenti: tutta questa iniquità sta riempiendo altre città del mondo e lo sta rendendo così com’era nei giorni precedenti il diluvio”.


I grattacieli di New York

Un famoso predicatore americano osservò che Dio rivela ai suoi figli QUELLO che fa ma non QUANDO lo fa. È un’affermazione di sintesi, estrema ma corretta. Non che nella Bibbia manchino le profezie cronologiche, quelle cioè che indichino i tempi precisi della loro realizzazione, ma esse sono assai rare. La maggior parte degli eventi futuri rivelati ai profeti poggiano su un piano prospettico appena accennato. Persino quando sono accompagnati da espressioni come “fra breve”, “presto”, “tra poco”, “non passerà molto tempo ancora”, dicono in realtà poco sul tempo di realizzazione sia perché la prospettiva temporale di Dio è diversa da quella degli uomini (“Per il Signore un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno” 2 Pt 3:8), sia perché esprimono più il senso d’urgenza, la tensione dei credenti verso le cose ultime che la reale definizione del tempo della loro realizzazione. Cosa dire di Gesù, allora, quando afferma: “Sì, sto per venire” (Ap 22:20)? Che anche lui (o Giovanni, che gli mette queste parole in bocca) sia un falso profeta, dato che quasi duemila anni sono passati da allora? Non deve stupire pertanto che anche Ellen White, se si parte dal presupposto che sia stata istruita dal medesimo Spirito, abbia avuto analoghe difficoltà a collocare in una precisa cornice temporale le situazioni e gli eventi a lei rivelati, peraltro più con immagini che con parole. Ciò non significa che non sia possibile riconoscere, soprattutto a posteriori, la correttezza delle sue previsioni; è bene però non perdere di vista questo limite caratteristico.

Restiamo nell’ambito delle città. Siamo nel 1906. San Francisco aveva subito il castigo preannunciato da Ellen White. Subito dopo lei aveva messo in guardia sul fatto che anche altre città, man mano che avrebbero colmato la misura della loro trasgressione, avrebbero subito distruzioni mediante terremoti, incendi e inondazioni. È quindi comprensibile che le venisse chiesto se era stata informata sul destino della città più importante degli Stati Uniti, ovvero New York. Nel mese di luglio, dalle pagine della rivista Review and Herald, Ellen rispose così: “Non ho nessuna luce in particolare per quanto riguarda New York. So solo che un giorno i suoi grandi edifici saranno distrutti dalla potenza di Dio... La morte sarà in ogni luogo. È per questo che sono così ansiosa di avvertire le nostre città”.

Su cosa si basava quest’informazione riguardo ai “grandi edifici” di New York? Ovviamente su una o più rivelazioni. Quella trasmessaci in modo più analitico era stata esposta nel 1904 e la possiamo leggere sul nono volume delle sue Testimonianze, pubblicato nel 1909. «Una volta, trovandomi a New York, fui svegliata nella notte per osservare in visione gli edifici che s’innalzavano, piano dopo piano, verso il cielo. Questi edifici erano garantiti contro ogni incendio e si ergevano alla gloria di proprietari e costruttori. Essi si elevavano sempre più in alto, e per la loro costruzione venivano impiegati i materiali più costosi. Ma i proprietari di questi edifici non si chiedevano: "Come possiamo meglio glorificare Dio?". Il Signore non era nei loro pensieri. Ho pensato: "Potessero, coloro che investono in tal modo le proprie risorse, vedere il loro operato come lo vede Dio! Essi accumulano splendidi edifici, ma quanto sono insensati al cospetto del Sovrano dell'universo i loro progetti e le loro realizzazioni. Essi non cercano di glorificare Dio con tutta la forza del cuore e della mente. Hanno perso di vista questo, che è il primo dovere dell'uomo". Man mano che questi superbi edifici venivano costruiti, i proprietari si rallegravano, avidi e tronfi, di poter disporre del denaro per gratificare se stessi e suscitare l'invidia dei loro vicini. Gran parte dei soldi così investiti provenivano dal taglieggiamento e dall’oppressione della povera gente. Essi non avevano considerato che nel cielo si tiene il conto di ogni transazione commerciale; ogni affare ingiusto, ogni azione fraudolenta, vi è registrata. Il tempo viene quando, per le loro frodi e la loro insolenza, gli uomini raggiungeranno un culmine che il Signore non consentirà loro di superare, e impareranno che esiste un limite alla sopportazione dell’Eterno. La scena successiva che mi passò davanti fu l’allarme per un incendio. Gli uomini osservavano quelle imponenti costruzioni, apparentemente a prova di fuoco, e dicevano: “Sono assolutamente sicure”. Invece bruciarono come se fossero di pece. Le autopompe non poterono far nulla per impedirne la distruzione. I vigili del fuoco non riuscirono ad azionarle».

La lettura di queste righe porta la mente inevitabilmente alla distruzione del Word Trade Center; ad una sciagura, cioè, verificatasi 100 anni più tardi. Che fosse questa l’immagine fatta passare davanti agli occhi di Ellen White? Non possiamo affermarlo con assoluta certezza. Anche se, in effetti, le analogie sono davvero impressionanti. Qui lei parla di edifici che piano dopo piano s’innalzano verso il cielo. Così alti cioè da toccare in apparenza il cielo, da nascondersi tra le nuvole. Quando scriveva queste parole, a New York c’erano solo due edifici di ragguardevoli dimensioni: il Park Row Building e il Fuller Building, alti rispettivamente 118 e 97 metri. Dimensioni importanti ma non certo sconvolgenti. Inoltre rappresentavano tutt’altro che uno status symbol. Il primo, sia dagli esperti che dalla gente comune, raccoglieva giudizi poco lusinghieri quali: “detestabile”, “inespressivo e vacuo”, “mostro”. Il secondo era poco più che un esercizio tecnico-stilistico e la gente lo soprannominò Flatiron (ferro da stiro) per la pianta triangolare della sua base. Fu tra gli anni dieci e gli anni trenta che esplose la gara al grattacielo più alto e più bello che culminò nel 1930 con il Trump Building (282 mt) e il Chrysler Building (319 mt), e nel 1931 con l’Empire State Building (381 mt), che rimase il più alto del mondo fino al 1973, quando furono ultimate le famose Torri Gemelle (415 mt) del World Trade Center su iniziativa dei fratelli Rockefeller. Come ben sappiamo furono queste ad essere distrutte in seguito al tristemente noto attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Furono questi i primi grattacieli a crollare a causa del fuoco. Esse sì che erano un monumento all’orgoglio degli uomini. La rivista Time le definì “Santuari del denaro e del potere”. Ogni settimana 200.000 visitatori pagavano il biglietto per vederle e salirci su. Godevano del mito di incrollabilità pari a quello dell’inaffondabilità del Titanic. Migliaia di tonnellate di amianto erano state impiegate per rendere ignifuga la loro struttura. In realtà per contenere i costi, si scoprirà in seguito, si era lesinato sulle barriere ignifughe e sui collaudi di resistenza al fuoco delle strutture portanti. Comunque sia, andarono a fuoco. Ognuno dei jet che le colpì riversò loro dentro 100.000 litri di kerosene ed esse si accesero come fiaccole impregnate di pece. I 1000 vigili del fuoco accorsi prontamente, nonostante si prodigassero con coraggio, poterono ben poco: su duecento dei loro mezzi di soccorso, 90 andarono distrutti sotto metri e metri di detriti; e loro stessi perirono in 343, quasi quanti ne erano caduti in un intero secolo.

Ma non finisce qui. Perché, non si sa se in riferimento alla stessa visione o ad altre complementari, Ellen White aveva già scritto all’inizio del secolo sullo stesso soggetto, e da questi accenni traiamo altri elementi significativi. Riportiamo di seguito tre brevi passaggi:

“Si avvicina rapidamente il tempo quando ci sarà una tale afflizione nel mondo che nessun balsamo umano potrà lenire. Anche prima che l’ultima grande distruzione si abbatta sulla terra, i monumenti che gratificano la potenza dell'uomo rovineranno nella polvere. Il giudizio retributivo di Dio ricadrà su coloro che nonostante la luce ricevuta proseguono sulla via del peccato. Edifici costosi, ritenuti a prova d’incendio, continuano a sorgere. Ma come Sodoma si dissolse tra le fiamme della vendetta divina, così queste strutture imponenti saranno ridotte in cenere” (1901).

“Ho visto gli edifici più costosi mai costruiti e ritenuti ignifughi, e proprio come Sodoma si dissolse tra le fiamme della vendetta divina, così queste strutture imponenti saranno ridotte in cenere. … Questi magnifici monumenti alla potenza degli uomini si sbricioleranno in polvere, anche prima che l’ultima grande distruzione si abbatta sul mondo” (1901).

“Sontuosi palazzi e meraviglie dell’architettura saranno distrutti senza preavviso quando il Signore deciderà che hanno superato il limite oltre il quale non è più possibile perdonare. La distruzione con il fuoco di edifici maestosi, ritenuti ignifughi, è l’anticipazione di come tra breve le bellezze architettoniche della terra giaceranno in rovina” (1902).

"Strutture imponenti… edifici maestosi… monumenti alla potenza degli uomini… ridotti in cenere… sbriciolati in polvere". Polvere e cenere: è rimasto questo delle Twin Towers. Un fine pulviscolo che ricopre l’intera Manhattan, i palazzi, gli autoveicoli, le strade e le persone. Tanta, tantissima polvere. E un vigile del fuoco afferma stupito davanti alle telecamere che delle due torri di 110 piani l’una non si è trovato un tavolo, una sedia o un telefono. L’intera costruzione s’è tramutata in polvere.

Altro importante elemento, utile a contestualizzare l’evento e anche a spiegarlo. Vengono date indicazioni cronologiche, non assolute ma relative. Viene detto che queste sciagure si verificheranno dopo che sarà stato “superato il limite oltre il quale non è più possibile perdonare”, ma “anche prima che l’ultima grande distruzione si abbatta sulla terra”, quale “anticipazione di come tra breve le bellezze architettoniche della terra giaceranno in rovina”.

Pertanto, prima che tutte le opere degli uomini subiscano una distruzione generalizzata, qualche tempo prima, avverrà la distruzione di alcune di queste opere. A quale scopo? Anche a questa domanda abbiamo una risposta:

“La mano misericordiosa di Dio è ancora tesa. Il suo messaggio deve ancora essere diffuso nella Grande New York. I suoi abitanti vanno avvertiti della possibilità che Dio, con il semplice tocco della mano, in vista dell’ultimo grande giorno, distrugga le proprietà che essi hanno accumulato” (1902).

"Coloro che scelgono di restare infedeli saranno colpiti da punizioni divine suscitate dalla misericordia, perché, se possibile, siano scossi per riconoscere quanto peccaminosa sia la loro condotta" (1906).

«Il Signore permette che sofferenze e calamità vengano sugli uomini per chiamarci fuori dalla nostra sufficienza, e renderci desiderosi degli attributi del suo carattere» (1906).

Così Ellen White ci dice che questi giudizi di Dio anticipati sono dettati dalla sua misericordia. Per quanto riguarda la specifica situazione connessa alla sciagura delle Twin Towers, sfogliando le cronache del tempo, non possiamo negare che effettivamente ci fu un forte scuotimento delle coscienze. L’evento scosse in realtà il mondo intero. A parte i paesi islamici, ove in molti plaudirono all’impresa, il fatto impressionò e fece riflettere. Possiamo affermare che segnò la storia. Per la prima volta gli americani subivano un atto di guerra in casa loro da parte di nemici stranieri. Ma certamente chi più si sentì toccato furono i newyorkesi. L’arroganza e il cinismo degli operatori di borsa dovette fare i conti con i check-point della polizia e con l’aria che dopo una settimana ancora seccava la gola e bruciava gli occhi. Chi pensava che si potesse tornare al business as usual senza troppe concessioni al sentimentalismo, dovette ricredersi. Per giorni si fece silenzio nelle strade: l’atmosfera era solenne. Per un momento le tendenze e le mode snob non interessavano a nessuno e persino il sofisticato New York Times, dovette accantonare le sue rubriche per dare spazio alle angosce di milioni di persone incalzate da una domanda di significato e attanagliate da un’inquietudine che questa città non conobbe così profondamente neppure nei giorni della Grande Depressione.

Ellen White vide cadere le Torri Gemelle? Non lo sappiamo. Molti elementi descritti lo lasciano pensare, così come il risultato auspicato. Quando Giona chiamò al pentimento l’orgogliosa città di Ninive, questa si scosse e inaspettatamente rispose all’appello; consentendo a Dio quantomeno di rinviarne la distruzione. Ed è indubbio che New York sia stata scossa da questa tragedia che l’ha colpita. Comunque sia, un’altra informazione che appare chiara in questa serie di predizioni è che il crollo di queste strutture imponenti, a ridosso della fine della storia umana, non sarà un fatto isolato e non sarà limitato alla sola città di New York. “Anche prima che l’ultima grande distruzione si abbatta sulla terra, i monumenti che gratificano la potenza dell'uomo rovineranno nella polvere”. “Il Signore permette che sofferenze e calamità vengano sugli uomini per chiamarci fuori dalla nostra sufficienza”. Anche il tono di questo messaggio è in perfetta sintonia con quello biblico. Vogliamo vedere? “Riempile di spavento, Signore, sappiano le genti che sono mortali” (Salmo 9:20). “E quei diciotto che morirono schiacciati sotto la torre di Siloe, pensate voi che fossero più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme? Vi assicuro che non è vero: anzi, se non cambierete vita, finirete tutti allo stesso modo” (Luca 13:4-5). Se le predizioni di Ellen sono degne di fiducia, presto verificheremo che molti tra i grandi edifici della terra, purtroppo, si tramuteranno in altrettante torri di Siloe.


Lo stato del mondo nel futuro da lei descritto

“Quando la mano di Dio si ritirerà, il distruttore inizierà il suo lavoro. Allora le più grandi calamità verranno sulle nostre città” (1897).
“Presto sorgeranno tra le nazioni grandi difficoltà che non cesseranno finché Gesù non sarà tornato” (1904).
“Il Signore si alzerà per scuotere la Terra. Vedremo sciagure da ogni parte. Migliaia di navi saranno scaraventate nelle profondità dei mari. Intere armate sprofonderanno e milioni di persone perderanno la vita. Inaspettatamente scoppieranno degli incendi e nessuno sforzo varrà ad estinguerli. I palazzi saranno distrutti dalle fiamme. Sempre più frequenti saranno i disastri ferroviari; le maggiori vie di comunicazione saranno sempre più caotiche e si verificheranno incidenti mortali senza alcun preavviso. La fine è vicina e il tempo di grazia sta per concludersi. Cerchiamo Dio finché siamo in tempo! Rivolgiamoci a lui mentre è vicino!” (1890).
“L’anarchia cerca di spazzar via ogni legge, non solo divina, ma anche umana. L’accentramento della ricchezza e del potere, le grandi alleanze pensate per arricchire i pochi a scapito dei molti, l’unione delle classi più povere per la tutela dei loro interessi e delle loro rivendicazioni; lo spirito di inquietudine e di rivolta, la sete di sangue, la diffusione mondiale degli insegnamenti che determinarono la rivoluzione francese: ecco un insieme di cose che agiscono per coinvolgere il mondo intero in una lotta simile a quella che sconvolse la Francia” (1903).
“I segni dei tempi indicano che i giudizi del cielo stanno per essere riversati sulla terra; che il giorno del Signore è ormai vicino. I giornali riportano con abbondanza i segnali di un futuro conflitto d’immani proporzioni. Rapine sempre più audaci sono all’ordine del giorno. Gli scioperi frequenti. Ovunque si commettono furti e omicidi. Individui controllati dai demoni s’impadroniscono della vita di uomini, di donne e bambini. Tutte queste cose indicano che la venuta del Signore è vicina.
Lo Spirito di Dio, finora trattenuto, già adesso comincia ad essere ritirato dal mondo. Uragani, tempeste, tifoni, catastrofi nei mari e sulla terra, si susseguono in rapida successione. Questi segni che aumentano intorno a noi, e che indicano l'imminente manifestazione del Figlio di Dio, vengono attribuiti ad ogni altra causa fuorché a quella vera” (1900).

Leggere questa sequenza di eventi dà la sensazione dell’ovvio, del poco originale, di cose che appartengono al nostro bagaglio storico o ai fatti della cronaca quotidiana, non è vero? Eppure se osserviamo le date di pubblicazione dobbiamo prendere atto che di previsioni si tratta. Di previsioni già realizzate o in via di realizzazione. Pensiamoci bene. Quello era un tempo di pace. Le monarchie europee erano quasi tutte imparentate tra loro. I paesi occidentali dominavano il mondo e le uniche guerre erano quelle coloniali che si giustificavano con il compito di diffondere la civiltà europea. Era ancora diffusa l’idea che un millennio di pace avrebbe trasformato “le loro spade in aratri e le lance in falci” (Is 2:4). Lo spirito del tempo era ottimista e speranzoso, e in tale contesto le parole della White erano quelle di un profeta di sventure; le sue erano affermazioni azzardate. Ma era lei ad aver visto bene: il secolo entrante si sarebbe rivelato tra i più sanguinosi della storia. “Milioni di persone perderanno la vita”, affermò asciutta. Fu così davvero. Sedici milioni ne morirono nella Prima Guerra Mondiale, che sarebbe esplosa pochi lustri più in là, e 55 milioni nella Seconda che l’avrebbe seguita da lì a poco. Morirono soldati e morirono civili; nelle trincee, sotto i bombardamenti, di fame e nei campi di sterminio. Per non parlare dei conflitti bilaterali e regionali, e delle varie “pulizie” etniche. “Migliaia di navi saranno scaraventate nelle profondità dei mari”. I soli sommergibili tedeschi, giapponesi e italiani, nella sola seconda guerra mondiale, ne affondarono 2828.

“…ecco un insieme di cose che agiscono per coinvolgere il mondo intero in una lotta simile a quella che sconvolse la Francia”. Qui è chiaro il riferimento alla rivoluzione russa del ’17 e alle altre rivoluzioni comuniste che nel mondo la seguirono. Ed è chiaro per almeno due ragioni. La prima è nelle analogie tra la rivoluzione francese e quella d’ottobre: sfruttamento della popolazione a vantaggio di pochi, abbrutimento delle masse, desiderio di rivalsa, libero sfogo degli istinti che producono intemperanze e terrore. Ellen White, nel suo libro Il Gran Conflitto, sintetizza le premesse della rivoluzione francese in due date ben precise: il 21 gennaio 1535 e la notte tra il 23 ed il 24 agosto 1572. Nella prima si svolse la processione condotta dal vescovo di Parigi, seguito dal re Francesco I, dai dignitari di corte, dagli alti prelati, dai quattro ordini monastici e dalla cittadinanza in direzione della cattedrale ove fu pronunciato il solenne giuramento di estirpare l’eresia protestante. Poi la processione proseguì in una sorta di via crucis ove ogni stazione era rappresentata da un patibolo su cui veniva arso un cristiano protestante in sincronia con il passaggio del re. La seconda data è quella del Massacro di San Bartolomeo. “Il mondo ricorda ancora, con brividi di orrore, le scene di quella infida e crudele carneficina. Il re di Francia, istigato dal clero romano, approvò quell’eccidio spaventoso. Una campana, suonando a morto in piena notte, diede il segnale della strage. Migliaia di protestanti che dormivano tranquilli, fiduciosi dell’impegno preso dal re, furono catturati e, senza potersi difendere, trucidati a sangue freddo”. Nella Francia dei primi del Cinquecento la Riforma trovò inizialmente un terreno molto favorevole. La nuova dottrina fu accolta dapprima tra le classi colte e persino in ambienti ristretti della Corte. In seguito si diffuse tra la borghesia cittadina e nelle università, fino a raggiungere in breve tempo, secondo alcuni, un terzo della popolazione. La reazione non si fece attendere e durò alcuni secoli. Chi scampò alle ricorrenti persecuzioni, abiurò o scelse la via dell’esilio. I fuggiaschi portarono con sé le arti e i mestieri, l’intelligenza e le conoscenze in cui eccellevano, andando ad arricchire i paesi che offrivano loro ospitalità. Al contrario la Francia, con il depauperamento delle migliori forze intellettuali e produttive, scivolò in un generale declino economico, culturale, sociale e morale. Il clero e gli aristocratici pesavano senza scrupolo su una massa abbrutita, sempre più incapace di produrre, finché il sistema prima implose e subito dopo esplose con terribile violenza. Cominciando proprio dai simboli religiosi. Il Dio insegnato dalla Chiesa di Roma venne negato con atto legislativo, le Bibbie bruciate, le chiese furono chiuse e persino la settimana biblica di sette giorni sostituita con la decade. Qualcuno ha affermato che la rivoluzione francese sia stata una riforma protestante senza religione. Ma sarebbe meglio definirla contro la religione. Il pensiero religioso era stato soffocato dalla superstizione e per reazione si fece largo l’ateismo. Persino quello scacciato dalle altre nazioni. I rivoluzionari Saint-Just, Camile Desmoulins, Danton, Herbert e Marat furono membri degli Illuminati, l’ordine paramassonico creato dall’utopista bavarese Adam “Spartacus” Weishaupt che teorizzava l’eliminazione dello stato nazionale, delle religioni, della proprietà privata e del matrimonio. Egli affermava inoltre che “per raggiungere la società ideale si deve passare, per parecchie generazioni, attraverso l'esperienza della società autoritaria”. Nel 1785 l’Elettore di Baviera pose fuorilegge l’Ordine degli Illuminati, e i suoi adepti vennero arrestati o mandati in esilio. Fu così che esso si diffuse in Europa e negli Stati Uniti. In Francia venne introdotto dal conte di Mirabeau ed ebbe modo d’influenzare significativamente la rivoluzione francese. Ma esso influenzò anche ben altro.

Nel 1848 venne chiesto a Karl Max, anch’egli un Illuminato, di codificare in un “Manifesto” il programma di Weishaupt. Infatti il suo famoso lavoro, elaborato con la collaborazione di Friedrich Engels, altro non fu che la postdatazione e la codificazione dei principi e dei progetti fissati 70 anni prima da Adam Weishaupt. Tale manifesto, in sintesi, prevede la rivoluzione proletaria che stabilirebbe la dittatura del proletariato tramite l’abolizione: della proprietà privata, del matrimonio (sostituito da una “comunanza delle donne ufficiale e franca”), della religione (che egli altrove definirà “oppio dei popoli”) e infine, cessata la lotta di classe, dello Stato. In altre parole, ciò che teorizzava Weishaupt. Eccoci alla seconda ragione, ovvero al filo ideologico che collega le due rivoluzioni, ben notato da Wiston Churchill ed espresso in un articolo dell’Illustrated Sunday Herald dell’8 febbraio 1920: “Dai giorni di Spartaco Weishaupt a quelli di Karl Marx, e fino a Trotsky (Russia), Bela Kuhn (Ungheria), Rosa Luxemburg (Germania) ed Emma Goldman (Stati Uniti), questa cospirazione mondiale …è cresciuta costantemente. Ha avuto una parte riconoscibile nella tragedia della Rivoluzione Francese. È stata la guida di ogni movimento sovversivo del XIX secolo; ed ora questo gruppo di personalità straordinarie ha afferrato il popolo Russo dai capelli ed è diventato praticamente il padrone indiscusso di questo enorme impero”.

Dopo avere esposto questi elementi, possiamo chiederci: come meglio di così Ellen White avrebbe potuto predire la rivoluzione comunista 14 anni prima che accadesse, descrivendo con poche essenziali parole i nessi, sia per analogia che diretti, con le stesse cause che determinarono la rivoluzione francese? Anche il popolo russo fu sfruttato fino all’abbrutimento a vantaggio di pochi aristocratici e di una chiesa connivente con gli oppressori. Una chiesa che pasceva il proprio gregge mediate un clero spesso assai ignorante, venale, avido e immorale. Una chiesa che con l’aiuto del braccio secolare perseguitava il dissenso religioso sino a chiudere in gabbie gli eretici e bruciarli sulla pubblica piazza. Ma i contadini russi, anche così abbrutiti, erano abituati a chinare la testa, ad accettare soprusi oltre ogni misura. Probabilmente si sarebbero ancora piegati a lungo se qualcuno non avesse cavalcato la loro rabbia repressa, instillando in loro un desiderio di rivalsa ed eccitando la loro sete di vendetta. Ed eccoci al nesso diretto con la rivoluzione francese. È interessante notare che nel descrivere il collegamento ideologico tra la rivoluzione francese e quella che sarebbe avvenuta, la White non parla di una rivoluzione che insegna all’altra, ma della diffusione a livello mondiale degli stessi insegnamenti che determinarono la rivoluzione in Francia e che adesso avrebbero fomentato ovunque il desiderio di ribellione. Insegnamenti apparentemente legittimi perché finalizzati a combattere l’ingiustizia, ma tramite strumenti sospetti quali la violenza, l’omicidio, il ripudio delle leggi umane e divine, l’esaltazione dell’ateismo. Storicamente e a posteriori è interessante scoprire una comune matrice ideologica, nella fattispecie l’utopia di Weishaupt. Ma Ellen White probabilmente ha visto all’opera l’ispiratore non umano d’un progetto che da un lato esaspera gli uomini con l’imposizione di ingiustizie sociali e d’una religione superstiziosa e opprimente, e dall’altro li incita a scrollarsi questo giogo di dosso con l’affermazione dell’ateismo, apparentemente liberatorio e razionale, ma che si rivela dittatura e oppressione anch’esso. “Milioni di persone perderanno la vita”, anche con le rivoluzioni e le guerre civili che si profilavano all’orizzonte.

D’altra parte i sovvertimenti rivoluzionari sono solo un aspetto di questo progetto antagonista. Le rivoluzioni comuniste, peraltro fallite miseramente nel loro dichiarato obiettivo di liberare gli oppressi, appartengono ormai alla storia. E ancor più alla storia appartengono quei regimi di segno opposto ma di ugual natura che furono i nazifascismi. Il progetto contro Dio però rimane e tende a rivelarsi sotto nuove forme, a reclutare nelle sue fila quanto più sia possibile dell’umanità. E gli uomini rispondono bene a questo richiamo, assimilano e fanno proprio questo spirito; che è “spirito di inquietudine e di rivolta, sete di sangue”, è spirito d’anarchia, insofferenza alle leggi di Dio e degli uomini. Proprio come descritto dalla White. Satana è acceso di “gran furore, sapendo d’avere poco tempo” (Ap 12:12), ed anche l’umanità che lui domina è incollerita. Ed è destinata ad esserlo sempre più, in un circolo vizioso. Perché più gli uomini si adirano, e più Dio si ritira dal mondo; il distruttore ha più possibilità di agire, ed aumenta il numero e la violenza delle sue vessazioni. “Presto sorgeranno tra le nazioni grandi difficoltà che non cesseranno finché Gesù non sarà tornato”. Altro che millennio di pace. “Dissipazione, lussuria, passioni sfrenate stanno riempiendo il mondo di violenza”. “Ovunque si commettono furti e omicidi. Individui controllati dai demoni s’impadroniscono della vita di uomini, di donne e bambini. Tutte queste cose indicano che la venuta del Signore è vicina”. Le parole della White fanno da eco a quelle della Bibbia: “Il male sarà tanto diffuso che l’amore di molti si raffredderà” (Mt 24:12). “Devi sapere che negli ultimi tempi si avranno giorni difficili. Gli uomini saranno egoisti, avari, fanfaroni, orgogliosi e bestemmiatori; si ribelleranno ai genitori, non avranno riconoscenza per nessuno e non rispetteranno le cose sante. Saranno senza amore, duri, maldicenti e intrattabili. Saranno violenti, nemici del bene, traditori e accecati dalla superbia, attaccati ai piaceri più che a Dio” (2Tm 3:1-4). Oltre ai problemi di relazione dovuti all’egoismo, all’avidità, alla corruzione morale e all’aumento della criminalità, viene previsto l’aumento vertiginoso di disastri in qualche modo provocati dall’uomo e dalla sua civiltà: “Sempre più frequenti saranno i disastri ferroviari; le maggiori vie di comunicazione saranno sempre più caotiche e si verificheranno incidenti mortali senza alcun preavviso”. Questa oggi sarebbe una non-notizia. Ci si stupisce semmai quando i telegiornali non riportano almeno un incidente mortale. Ma quando furono pronunziate queste parole, nel 1890, di confusione e di rischio sulle strade poteva parlare solo un profeta. Presto i disastri ferroviari sarebbero aumentati e le vittime triplicate (pertanto la previsione si rivelò esatta), ma ciò che umanamente non era possibile prevedere era l’evoluzione del rischio sulle strade. Mancavano ancora due anni alla produzione della prima automobile americana. La prima persona ad essere uccisa da una macchina a motore fu la quarantaquattrenne Bridget Driscoll. L’incidente avvenne a Londra il 17 agosto 1896: sei anni dopo la predizione della White. La signora Driscoll si trovava in visita in città con la figlia adolescente per assistere a un saggio di danza. L’automobile che la travolse stava viaggiando a quattro miglia orarie; e il medico legale, dopo aver constatato l’accidentalità di quel decesso, commentò turbato: “Una cosa del genere non deve succedere mai più!”. Invece successe sempre più. Nel solo 2008 vi sono stati 1.300.000 morti nel mondo per incidente stradale. Quanto tutti i soldati americani, inglesi, francesi, olandesi, italiani e polacchi uccisi durante la seconda guerra mondiale. “Uragani, tempeste, tifoni, catastrofi nei mari e sulla terra, si susseguono in rapida successione. Questi segni che aumentano intorno a noi, e che indicano l'imminente manifestazione del Figlio di Dio, vengono attribuiti ad ogni altra causa fuorché a quella vera”. E infine siamo alla previsione di eventi catastrofici naturali, in parte attribuibili direttamente agli uomini, in parte non direttamente. La loro manifestazione si sta accentuando nei nostri anni, quindi almeno un secolo dopo che sono stati predetti. Quelli legati alle dinamiche meteorologiche, come uragani, tempeste e inondazioni, accresciuti nel numero e nella violenza, sono il tributo che paghiamo al dissennato inquinamento dell’atmosfera terrestre. Ricordo quando non molti anni fa si parlava dell’effetto serra come di un’ipotesi allarmistica che gli esperti, interpellati, si premuravano a smentire rassicuranti definendola una fantasia catastrofista. E lì a riportare statistiche di anni passati in cui aveva piovuto di più o di meno, aveva fatto più freddo o più caldo della situazione presente. Oggi nessuno studioso equilibrato metterebbe in dubbio la realtà dell’effetto serra. Tuttavia le nazioni litigano e non riescono a prendere impegni efficaci per contrastare seriamente il pericolo incalzante, e dobbiamo quindi aspettarci l’aumento, per numero e intensità, di calamità naturali connesse ai cambiamenti climatici, non ultime anche le carestie. Ci sono poi quegli eventi catastrofici, almeno per quel che ne sappiamo, indipendenti dalla meteorologia quali i terremoti e gli tsunami. I terremoti ci sono sempre stati e sono la conseguenza del movimento relativamente fluido delle zolle tettoniche. Ogni tanto qualcuno fa parlare di più di sé per il numero di vittime che causa; anche se, va osservato, tende a impressionare di più la prossimità del fenomeno che la sua intensità. Nell’ultimo decennio se ne sono verificati una quindicina nel mondo di una certa rilevanza. È stato così anche in passato, con episodi anche molto gravi; come il sisma del 1976 che distrusse la città cinese di Tangshan, che mieté almeno 255.000 vittime. Tuttavia dal 26 dicembre 2004 è come se assistessimo ad una recrudescenza quanto meno della vastità e della dannosità dei singoli episodi. In quella data si verificò un devastante terremoto nell’isola di Sumatra che provocò 121.000 morti, che salirono però a 280.000 per lo tsunami che seguì e coinvolse tutte le coste dell’oceano indiano. Nell’ottobre del 2005 un altro terremoto si verificò alla frontiera tra Kashmir, India e Pakistan causando 86.000 morti. Il 12 maggio 2008, il terremoto di Wenchuan, in Cina, stroncò 96.000 vite. Il 2009 è un continuo annuncio di terremoti, meno importanti, ma che comunque mietono vittime e fanno danni: il 6 aprile tocca all’Italia centrale. Muoiono 300 persone. L’Aquila è la città più colpita e tutt’ora il suo centro storico è inagibile. Il 30 settembre 3000 persone muoiono e 450.000 perdono la casa nell’isola di Sumatra. Il 7 novembre sono 452 i morti, a Vanuatu. Il 12 gennaio 2010 Haiti viene devastata dal peggiore terremoto della sua storia. Le vittime sono almeno 260.000, la situazione è drammatica e si mobilita la macchina dei soccorsi internazionali. Il 26 febbraio altra scossa in Giappone, a Okinawa; magnitudo 6.9 della scala Richter. L’indomani, il 27 febbraio, un terribile terremoto di magnitudo 8.8 scuote il Cile. 552 i morti. Perdite più consistenti sono evitate grazie alla più antica normativa antisismica, dopo quella della California, tuttavia i danni alle infrastrutture sono ingenti e comunque la popolazione delle aree colpite vive una situazione di grave disagio. La cosa che fa più pensare l’osservatore esterno è la sensazione d’impotenza che colse le protezioni civili della comunità internazionale, in quel momento impegnate a soccorrere i terremotati di Haiti. Il 2 marzo la terra torna a tremare nel nord delle Filippine con magnitudo 6.1. Il 4 marzo a Taiwan con magnitudo 6.4. L’8 marzo altro terremoto nella Turchia orientale di magnitudo 6.2; 41 le vittime. Come al solito vengono interpellati gli esperti per rispondere alle legittime domande che ci si pone in casi come questi: Assistiamo a un aumento dell’attività sismica, sia in termini di frequenza degli eventi sismici, sia in termini di energia liberata? Ci sono collegamenti tra un terremoto e l’altro, almeno tra i più vicini cronologicamente? Giungono le solite risposte rassicuranti, così come a suo tempo avvenne con gli esperti interrogati sull’effetto serra. Ma Gesù, nel suo discorso profetico, è meno rassicurante. Egli mette in relazione l’aumento dei terremoti (insieme all’aggressività dei popoli e alle carestie) con gli eventi finali della storia del mondo (v. Mt 24:7). Ellen White, come abbiamo visto, dice le stesse cose. Afferma pure che gli uomini spiegano l’accentuazione di questi eventi in tutti i modi possibili, tranne che con la scomoda verità, cioè quella che “il Signore permette che sofferenze e calamità vengano sugli uomini per chiamarci fuori dalla nostra sufficienza”. A conclusione di questo lungo paragrafo, possiamo affermare che anche le predizioni sulle cose ultime di Ellen White non solo risultano tutte in armonia con le affermazioni bibliche, ma, come sarebbe logico attendersi per il credente, si realizzano. Sono, cioè, veritiere.


Il capitano Bates

Dopo questa lunga digressione, torniamo al nostro racconto. Avevamo lasciato Ellen alle prese con il suo primo compito che era quello di visitare le comunità millerite deluse e disorientate dal mancato ritorno di Gesù. Comunità piccole e disperse su un’area molto vasta e spesso traviate da insegnamenti introdotti da uomini mossi da fanatismo e persino immoralità. Un compito in tutti i sensi tutt’altro che facile che andò avanti per quasi quattro anni, dal 1844 al 1848.

Nel 1846 Ellen e James White incontrarono Joseph Bates, come loro un millerita della prima ora, con cui formarono il perno aggregativo del nuovo avventismo nascente. Per comprendere l’importanza di quest’incontro è bene fornire alcuni elementi biografici di questo signore. Bates aveva percorso tutti i gradi della marina mercantile fino a divenire capitano e proprietario della nave che comandava. Si era avvicinato alla fede, toccato dalla morte di un suo marinaio, leggendo il Nuovo Testamento che la moglie gli aveva messo tra i bagagli. Colpito inoltre dai danni che l’alcol provocava negli uomini di mare decise di smettere di bere e poi anche di fumare. Quindi selezionò un equipaggio disponibile a rinunciare al turpiloquio, agli alcolici e al tabacco, e disposto all’osservanza della domenica e del culto giornaliero. Subito dopo fondò la “Fairhaven Temperance Society”. Ritiratosi dal mare con una discreta fortuna divenne pure un attivo sostenitore della locale Società Antischiavista. Nel 1839 ascoltò Miller predicare e accettò il suo messaggio con entusiasmo ponendo le proprie risorse umane ed economiche al servizio della causa. Lo ritroviamo così tra gli organizzatori dei raduni, tra i moderatori delle conferenze, tra i predicatori itineranti. Nel 1843 vendette la propria casa per sostenere lo sforzo finale dell’opera millerita. Nel 1844 anche lui subì la grande delusione, ma la sua fede era così salda da non lasciarsi sopraffare. Al contrario, si rigettò a capofitto nello studio delle Scritture per ottenere maggior luce. Proprio in quei giorni gli capitò tra le mani un opuscolo del pastore battista Thomas Preble sul riposo sabatico che lo colpì profondamente. Decise allora di approfondire ulteriormente l’argomento e nel 1846 pubblicò il risultato di questa ricerca con il titolo The Seventh Day Sabbath, a Perpetual Sign. E fu in quel periodo che incontrò Ellen e James White. Bates, oltre che onesto, generoso e sincero, era anche un uomo simpatico e pittoresco. Fu stima reciproca a prima vista, non però per quel che riguardava i reciproci messaggi. Gli White, infatti, trovarono eccessiva l’enfasi che Bates poneva sull’importanza del Sabato come giorno di riposo; d’altra parte questi, che non credeva alle visioni ed escludendo la frode, pensò che i fenomeni espressi da Ellen fossero di origine patologica o mesmerica. La diffidenza comunque non durò molto: i coniugi White lessero l’approfondito studio biblico di Bates sul Sabato e lo trovarono molto convincente. Le ultime loro perplessità furono sciolte da una visione che Ellen ebbe nell’aprile dell’anno seguente. Ecco ciò che vide: «Il Signore mi mostrò il Santuario celeste... Gesù alzò il coperchio dell’arca e io contemplai le tavole di pietra su cui i dieci comandamenti erano scritti. Mi meravigliai di vedere il quarto comandamento al centro dei dieci precetti circondato da un’aureola di luce. Un angelo disse: “È il solo dei dieci che definisce il Dio vivente che creò i cieli, la terra, e tutto ciò che esiste”» (Life Sketches, p. 95-96). E così, definitivamente convinti, furono entrambi confermati nella decisione d’osservare il Sabato. D’altra parte, Bates, esaminava con la massima attenzione l’inconsueto fenomeno delle visioni espresso da Ellen. Era umanamente inspiegabile ma nei suoi messaggi non c’era nulla che contraddicesse la Parola. E anche il loro effetto era positivo in quanto infondevano luce e coraggio nel popolo dell’avvento “disperso, sradicato, ferito” dalla delusione dell’ottobre del 1844. Poi, nel novembre del 1846, Joseph Bates assisté ad una visione in cui per la prima volta venivano mostrati ad Ellen altri pianeti. Tornata in sé, ella descrisse particolari astronomici che il vecchio lupo di mare ben conosceva ma che la ragazza non poteva umanamente conoscere. Il fatto impressionò Bates al punto di dissolvere le sue ultime resistenze. Di per sé il fenomeno non provava che esso procedesse da Dio ma unito al contesto, che egli già da tempo osservava con attenzione, risultò convincente.

Caduta anche quest’ultima diffidenza residua, la simpatia tra Bates e i coniugi White crebbe e il loro sodalizio risultò particolarmente fruttuoso. Allora Ellen e James (rispettivamente 19 e 25 anni) avevano l’entusiasmo e l’inesperienza tipica dei giovani. Bates con i suoi 54 anni di vita, già lunga per i tempi, vita intensa e impegnata, apportava l’esperienza al gruppo che, unita al carisma profetico di Ellen e alla capacità oratoria e organizzatrice di James, risultarono provvidenzialmente utili per il compito che adesso li attendeva.


Le conferenze sabbatiche

Dopo quattro anni di lavoro sulla dispersa comunità millerita che non si era arresa alla delusione e al fanatismo, cominciò a delinearsi l’esigenza di aggregare un nucleo di credenti attorno ad un certo numero di dottrine che affondavano le radici nell’esperienza millerita. Perché questo mancava. C’erano poche centinaia di persone disperse su un territorio vasto diverse volte l’Italia, che avevano difficoltà a comunicare tra loro e che, a causa di questo limite, l’unica dottrina da loro veramente condivisa era la speranza in un imminente ritorno di Gesù. Ed anche qui con molti distinguo. Era perciò necessario, per non vanificare il lavoro fin lì svolto, passare ad una fase di aggregazione ove fosse possibile a tutti contribuire con la propria riflessione all’edificazione di una comunità dell’avvento. L’occasione fu individuata in una serie di incontri biblici che presero il nome di “conferenze sabbatiche”, così chiamate dall’altra dottrina condivisa da un centinaio di questi credenti.

Il primo di questi incontri si tenne a Rocky Hill, Connecticut, dal 20 al 24 aprile del 1848. Vi presero parte circa 50 persone giunte dalle città circonvicine. La riunione principale fu tenuta da Joseph Bates ed ebbe come tema l’importanza dei 10 comandamenti, a cominciare del Sabato. L’incontro successivo si tenne a Volney, nello Stato di New York, e andò avanti così fino al dicembre del 1850 per un totale di 22 incontri, tenuti di volta in volta da James White, da Bates, da Hiram Edson, Stephen Pierce ed altri. Dapprima confratelli e amici venivano invitati con lettera personale, in seguito l’annuncio di tali incontri venne dato tramite la stampa. L’eredità di Miller ebbe un peso determinante in queste riunioni non solo per i temi trattati ma anche per il modo in cui esse si svolsero. Il millerismo era stato un movimento interconfessionale, abituato al confronto delle dottrine che ogni membro portava dalla propria Chiesa di riferimento. Non rientrava nel suo modo di porsi applicare a priori etichette di falsità alle credenze altrui; questa mentalità aperta e tollerante caratterizzò pure le conferenze sabbatiche e consentì la riscoperta di dottrine che la maggioranza della cristianità aveva da lungo tempo abbandonato per altre non scritturali. E qui veniamo al secondo elemento dell’eredità millerita: la Sola Scriptura. Il millerismo era un movimento del “Libro”, e Miller sosteneva che la Bibbia era autorità a se stessa e per la persona che se ne nutriva direttamente. Mentre quando la base dell’autorità si fondava sul dogma, su altri individui o sui loro scritti allora era quest’autorità esterna che si faceva centrale, sostituendosi agli insegnamenti della Bibbia stessa. E infatti la Parola di Dio costituì l’unico scrigno in cui i convenuti delle Conferences attinsero per definire le dottrine comuni. Essi le ricercarono con lo stesso zelo con cui si cerca un tesoro nascosto. Finché le singole verità non furono chiare ai loro occhi, questi umili fedeli continuarono a vedersi più volte anche sullo stesso tema, studiando ad oltranza fino a notte tarda, alternando la lettura e la riflessione alla preghiera perché Dio illuminasse le loro menti.

Alla fine di questo ciclo d’incontri, i fedeli che costituirono il nucleo dell’avventismo sabatista furono d’accordo nell’adottare i seguenti principali cinque punti di dottrina:

1. Il ritorno personale, visibile e premillenniale di Gesù.
2. La purificazione del Santuario celeste iniziata il 22 ottobre 1844. Il complesso cerimoniale del tempio israelitico rappresentava la duplice funzione sacerdotale di Gesù: di intercessione per l’umanità peccatrice subito dopo la sua ascensione, a cui si affianca quella del giudizio “investigativo” allo scadere della profezia dei 2300 giorni, nel 1844.
3. Il ritorno al Sabato come giorno di riposo, in quanto parte integrante del Decalogo mai abrogato.
4. Il Condizionalismo. Ovvero il riposo incosciente dei morti in attesa della risurrezione, dei giusti per la vita eterna e dei reprobi per ascoltare il verdetto di condanna seguito dalla loro definitiva distruzione.
5. L’attualità dei carismi elargiti alla Chiesa, compreso il dono di profezia che in quei giorni andava identificandosi nel ministero di Ellen White.

Ovviamente questi avventisti condividevano molte altre dottrine con il resto dei cristiani, specialmente con le teologie protestanti e in particolare con quella anabattista, ma i punti appena elencati, non in senso esclusivo ma nel loro reciproco intrecciarsi, erano il risultato della loro specifica riflessione. Altri cristiani osservavano il Sabato, altri ancora credevano nel Condizionalismo ma gli avventisti sabatisti avevano raggiunto una visione d’insieme che dava ad ognuno di questi punti un senso e un’urgenza in vista dell’approssimarsi della fine. Un’altra immagine in cui essi credevano d’identificare la propria teologia e la propria missione è quella dei tre angeli di Apocalisse 14 che li vedeva situarsi nel flusso della storia profetica e che con il passare degli anni li indusse a concentrare la propria attenzione sull’evangelizzazione globale per portare il messaggio dell’avvento “ad ogni nazione e tribù e lingua e popolo” (Ap 14:6).

Ed Ellen White che ruolo ebbe in questa riflessione dalle conseguenze così vaste e sul momento imprevedibili? Nell’individuazione e nell’elaborazione delle dottrine certamente un ruolo secondario, almeno cronologicamente. Anzitutto perché i milleriti erano gente del “Libro” e per loro era imprescindibile ricevere luce direttamente dallo studio della Bibbia. E quest’attitudine sembrava anche essere incoraggiata dallo Spirito di Dio poiché quasi mai i messaggi inviati ad Ellen precedevano su ogni soggetto lo studio accurato delle Scritture. Accadeva però che talvolta la riflessione s’inceppava di fronte a punti particolarmente complessi e controversi, e quando si faceva difficile la comprensione o l’accordo, ad Ellen veniva data una luce che consentiva la prosecuzione nel giusto verso e nell’armonia dei lavori. C’è anche d’aggiungere che allora Ellen era poco più d’una ragazza, che cominciava solo da poco ad essere considerata dal gruppo, ancora priva di quella cultura che andò maturando negli anni. Le mancavano gli strumenti per seguire i lavori alla pari con i teologi presenti alle Conferences. E Dio volle che questa sua condizione mentale si protraesse in tale stato sino alla fine dei lavori nel 1850. Così lei descriverà questa singolare situazione: “Durante tutto questo tempo non riuscivo a capire le argomentazioni dei fratelli. La mia mente era chiusa e non riuscivo a comprendere il significato dei brani della Scrittura che stavamo studiando. Questo costituiva il più grande dispiacere della mia vita in quel tempo. Rimasi in questo stato mentale fino a quando i punti principali della nostra fede furono resi chiari alla luce e in armonia della Parola di Dio. I fratelli sapevano che quando non ero in visione ero incapace di vedere chiaro su queste questioni ed accettarono le rivelazioni che mi venivano date come luce proveniente direttamente dal cielo”.


La visione sull’editoria

Il dono profetico di Ellen White fu particolarmente evidente nell’avvio dell’attività editoriale. Si trovava ospite dei coniugi Mary e Otis Nichols, dei quali abbiamo già detto a proposito dell’episodio di Randolph, quando ebbe la visione sull’opera delle pubblicazioni. Era l’8 novembre del 1848 ed erano trascorsi sette mesi dall’inizio delle conferenze sabbatiche. Uscita dalla visione, Ellen si fece tramite d’un messaggio per il marito James: “Devi cominciare a pubblicare un periodico – gli disse – e spedirlo alle persone. Sarà piccolo all’inizio; ma esse lo leggeranno e t’invieranno il denaro necessario per continuare a stamparlo, e sarà un successo fin dal primo numero. Da questo piccolo inizio, mi è stato mostrato, un fascio di luce circonderà il mondo”. C’è da dire che fino a quel momento i sabatisti avevano pubblicato sporadici opuscoli su singoli argomenti ma mai era venuto loro in mente di stampare una rivista che, oltre ad essere indirizzata ad un bacino d’utenza limitato, richiedeva risorse economiche ben superiori alle loro possibilità. Eppure proprio in quel contesto una simile iniziativa si prospettava come particolarmente efficace. Infatti l’esiguità dei lettori sparsi su un territorio molto vasto era la giusta condizione perché uno stampato periodico costituisse un ideale momento di adunanza che le grandi distanze impedivano di realizzare fisicamente. Esso avrebbe di fatto costituito la prima “chiesa” degli avventisti sabatisti intesa come luogo d’incontro, di dialogo, di aggregazione spirituale.

I coniugi White dediti completamente alla loro missione spirituale vivevano poveramente in quel periodo, ma James credeva nel dono profetico della moglie. Così si mise d’impegno per realizzare quel progetto. Dopo aver preparato gli articoli, andò alla ricerca di un tipografo che accettasse di stampare un giornale di otto pagine per una persona sconosciuta che gli avrebbe pagato il lavoro con i soldi che sarebbero dovuti arrivare, si sperava, dai lettori! Il tipografo per un lavoro così rischioso fu prodigiosamente reperito nella persona di Charles Pelton di Middletown, nel Connecticut. Questo modesto giornale fu dato alle stampe in 1000 copie nel luglio del 1849 con il nome di The Present Truth (La verità presente). “Quando portò il primo numero a casa dalla tipografia, ricorda Ellen White, ci inginocchiammo tutti intorno, chiedendo al Signore, con cuori umili e molte lacrime, che le sue benedizioni si posassero sui deboli sforzi dei suoi servitori. Poi lui [James] scrisse sulle varie copie del giornale l’indirizzo di tutti coloro che pensava l’avrebbero letto, e le portò all’ufficio postale [che si trovava a circa 13 chilometri] in una borsa... Molto presto arrivarono delle lettere con il denaro necessario per pubblicare il giornale e le buone notizie di molte persone che avevano accettato la verità”.

Quella rivelazione si dimostrò esatta in tutte le sue affermazioni, dimostrando che dietro quell’inizio stentato c’era al lavoro il mondo sopranaturale. La rivista, insieme alle conferenze sabatiche, si rivelò un prezioso strumento al servizio della nascente comunità avventista che a quel punto si poté considerare nella sua essenza costituita, sia pure in embrione e non ufficialmente. Dovrà passare ancora un decennio prima che essa si organizzi ufficialmente in denominazione. E non poteva essere diversamente dato che i milleriti, da poco estromessi dalle loro chiese, identificavano ogni forma di organizzazione ecclesiastica con l’apostasia. Ma la visione sull’editoria si rivelò esatta anche per l’affermazione, ancora più incredibile per l’umile condizione del gruppo in quel tempo, che da quel piccolo inizio un fascio di luce avrebbe circondato il mondo. Così sarà davvero: l’opera editoriale avventista si diffonderà in tutto il mondo con la costituzione attualmente di 56 case editrici, che stampano 335 periodici oltre ad un’immensa quantità di altra letteratura. Così sul finire degli anni Quaranta di quel secolo il movimento avventista si trovò già forte di un corpus dottrinale ancora in evoluzione ma già definito, di uno strumento editoriale di aggregazione e di diffusione, di due figure forti e carismatiche quali White e Bates, aperte ai nuovi talenti emergenti, e, infine ma non meno importante, del discreto ma potente riferimento di una guida profetica nella persona di Ellen White.


(continua)