domenica 7 settembre 2008

La vera Chiesa unica e sola

All’inizio di luglio dello scorso anno la Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato un documento dal titolo “Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa”. In essa il Vaticano ribadisce che l’unica Chiesa di Cristo, “comunità visibile e spirituale” continua e permane nella Chiesa cattolica. Le altre realtà ecclesiali non cattoliche, pur contenendo elementi “di santificazione e di verità”, sono portatrici in varia misura di “carenze” al punto da non potersi considerare, a parte gli ortodossi, “chiese in senso proprio”. Il documento afferma di voler sgombrare gli equivoci sorti da interpretazioni “infondate” del documento conciliare “Lumen Gentium”, del 1964, in cui i padri conciliari affermavano che “la Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica”. Proprio in quel “sussiste” era stato visto l’implicito riconoscimento che la Chiesa di Cristo possa sussistere, con pari pienezza, anche in altre chiese cristiane. Tali interpretazioni, puntualizza il documento della Congregazione per la Fede, hanno frainteso l’insegnamento dottrinale del Concilio Vaticano II, in quanto la parola sussiste “può essere attribuita alla sola Chiesa cattolica”, che presenta “perenne continuità storica” e “la permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo”. Tuttavia lo stesso Pontefice ha voluto chiarire che questa precisazione “lungi dall’impedire l’impegno ecumenico autentico, sarà di stimolo perché il confronto sulle questioni dottrinali avvenga sempre con realismo e piena consapevolezza degli aspetti che ancora separano le Confessioni cristiane”.

Ma l’affermazione di non potersi riconoscere nella Chiesa di Cristo, e persino di non potersi considerare chiesa, non è stata avvertita dalle altre confessioni cristiane propriamente come un’apertura all’ecumenismo. Ancor più in considerazione del riferimento che viene fatto nel documento alla Dichiarazione “Dominus Iesus”, emessa nel 2000 a firma dell’allora cardinale Ratzinger, ove si affermava che la salvezza era possibile solo all’interno della Chiesa cattolica; e in considerazione della precisazione, contenuta nel medesimo documento, secondo cui “perché il dialogo possa veramente essere costruttivo, oltre all’apertura agli interlocutori, è necessaria la fedeltà alla identità della fede cattolica”. I più sconcertati sono i cristiani della riforma, i più impegnati nel dialogo ecumenico con i cattolici, e i più bistrattati nel documento summenzionato.

Il segretario generale dell’Alleanza riformata mondiale, pastore Setri Nyomi, in una lettera indirizzata al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, scrive: “Siamo sconcertati dalla presentazione di tale documento in questo momento storico per la chiesa cristiana… In un’epoca di frammentazione sociale in tutto il mondo, l’unica chiesa di Gesù Cristo a cui tutti partecipiamo dovrebbe rafforzare la propria testimonianza comune e affermare la propria unità a Cristo. Il documento offre una interpretazione di Lumen Gentium che ci riporta al pensiero e all’atmosfera che c’erano prima del Concilio Vaticano II”.

“Un documento del genere manda segnali sbagliati”, ha dichiarato il pastore Thomas Wipf, presidente della Comunità delle Chiese protestanti in Europa. “Le sfide di questo mondo chiedono a gran voce che le chiese lavorino insieme. La comunione non è un obiettivo ideale, ma il nostro compito. Le vedute dottrinali sono molto importanti, ma non devono spaccare la Chiesa… Secondo la Riforma protestante gli elementi originali delle chiese sono la pura predicazione del vangelo e la corretta amministrazione dei sacramenti. Questo e nient’altro dev’essere visto come espressione autentica dell’unica Chiesa di Cristo. Tutto ciò che è esteriore è fallibile, incluse la Chiesa protestante e quella cattolica”.

Il pastore Domenico Maselli, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, ha definito “un vistoso passo indietro nei rapporti ecumenici il testo vaticano. Tuttavia il dialogo deve continuare. È vero che non fa altro che ripetere quanto già affermato nella Dominus Iesus del 2000, ma il concetto è ora ribadito con una chiarezza insolita. Una frase soprattutto colpisce il lettore ecumenico: è la frase in cui si definisce la chiesa cattolica come quella "nella quale concretamente si trova la Chiesa di Cristo su questa terra". Pare evidente che l'unico modo per cercare l'unità sarebbe quello di entrare nella Chiesa cattolica romana. Ciononostante il dialogo ecumenico deve continuare, e può continuare, mettendosi ognuno in discussione, per cercare di ascoltare la voce di Cristo che per tutti noi è la via, la verità, la vita. In questo spirito si deve continuare il cammino sia in Italia che nel resto del mondo, fidando nel rispetto reciproco ed anche nella laicità dello Stato che permette che la libertà di discussione, di ricerca e di religione sia mantenuta fino in fondo”.

“Il papa Benedetto XVI interpreta in senso restrittivo un concetto espresso dal Concilio Vaticano II. L'indicazione che ribadisce è questa: la frase del Concilio la Chiesa di Cristo sussiste nella chiesa cattolica va intesa così, che la vera chiesa coincide con quella cattolica romana. Fuori di lei non c'è Chiesa di Cristo. E aggiunge, ci sono tuttavia livelli diversi di non esserlo. C'è un livello di serie B per le chiese ortodosse e c'è un livello di serie C per le chiese protestanti, ancora più deficitarie della verità. Non è facile rispondere a un tale ragionamento dal sapore un po' offensivo. In primo luogo perché come valdesi e metodisti non vogliamo essere chiesa contro le altre. La strada del rafforzamento della propria identità non passa da quella del discredito e della caricatura dell'altro. I cristiani, indipendentemente dalla loro serie, devono trovare un approccio diverso dai diktat nel loro relazionarsi ad una società sempre più multiculturale, sebbene consapevoli dei forti limiti del relativismo imperante… È triste che i cristiani, anziché chiedersi ciò che Cristo si aspetta da loro, stiano a preoccuparsi delle delimitazioni. Dentro e fuori. Il problema non sono i confini. Tanto più che la Chiesa, lo sappiamo, è e sussiste in Cristo”, è la considerazione dei pastori Pons e Mercurio delle Chiese valdesi e metodiste di Genova .

Infine riportiamo il commento del teologo valdese Paolo Ricca: “Questa idea monopolistica del cristianesimo disturba ed è difficile da digerire. È un duro attacco all'identità altrui, anzi una vera e propria negazione… La mia reazione è piuttosto negativa perché il documento, affermando che la chiesa di Cristo esiste esclusivamente nella chiesa cattolica, chiude definitivamente quelle porte che il Concilio Vaticano II sembrava aver aperto quando diceva che la Chiesa di Cristo “sussiste in quella cattolica” e non più “è quella cattolica”. Una distinzione introdotta, quella tra subsistit ed est, che molti interpretarono come un segnale di apertura verso le altre chiese, non escludendo che Cristo potesse sussistere anche in altre comunità cristiane. Ora, con questo documento, si azzerano anni di storia ecumenica e si torna alla situazione pre-conciliare". Persino gli “elementi di salvezza” che si riconoscono alle realtà ecclesiali non cattoliche sarebbero efficaci “perché appartengono alla chiesa cattolica che li diffonde alle altre facendosene tramite. E dunque anche qui si riafferma il monopolio dei cattolici… La conseguenza - conclude Ricca - è che se così stanno le cose l'unità dei cristiani non può che avvenire nella chiesa cattolica romana. Significa riaffermare la dottrina del ritorno all'ovile romano, secondo cui tutte le chiese devono reintegrarsi nella chiesa cattolica così com'é, con questa struttura e con questo Papa. Ma questo - aggiunge - è negare ciò che uno è e negare che noi siamo una chiesa".

Reazioni legittime e del tutto prevedibili. Ci si chiede allora cos’abbia spinto il Vaticano a venir fuori, di punto in bianco, con affermazioni che sembrano produrre l’unico risultato di vanificare gli sforzi di quegli spiriti ecumenici che nell’unità dei cristiani ci credono; “contro ogni speranza”, talvolta essi affermano amaramente. Emblematico lo sfogo espresso da Anna Maffei, presidente dell’Unione battista italiana, alla vigilia della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani di cui quest’anno ricorre il centenario: “Mi chiedo se sia preghiera vera quella che ci vede uniti nella Settimana di gennaio o se non siamo diventati attori di un rituale stanco e privo di sbocchi. Anche Gesù denunciava l’atteggiamento di persone che pregavano solo per esibire la propria pietà. Proprio alla luce di testi evangelici come questi, mi pongo questo interrogativo cruciale, presa dallo scoramento di certi passi indietro nel cammino ecumenico, certe rigidità, certe dichiarazioni di autosufficienza che feriscono”.

In realtà già nel 2000 quando uscì “Dominus Iesus”, il cardinale Edward Cassidy, l’allora presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, aveva manifestato il suo dissenso quanto meno rispetto ai “tempi e ai modi” di simili esternazioni. Insomma, la diplomazia vaticana risaputamente esperta consumata nelle relazioni esterne d’ogni livello, come può scadere in quelli che tutto sommato sembrano dei grossolani errori di percorso? Probabilmente perché il target di tali esternazioni non è esterno ma molto interno alla Chiesa di Roma. Motivo del contendere è il Concilio Vaticano II, considerato come una pietra miliare da difendere e sviluppare dagli innovatori ma come una vera iattura da neutralizzare, reinterpretandolo in senso restrittivo, dai tradizionalisti. La battaglia è asperrima ma ufficialmente lo si ammette malvolentieri; in privato però gli sfoghi ci sono, come quello dell’arcivescovo Piero Marini quando ha affermato che “la riforma liturgica è stata affossata dalla Curia romana”. Mons. Marini è stato fino a novembre dello scorso anno Maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie ed è stato rimosso dall’incarico evidentemente perché contrario alla reintroduzione della messa in latino. “La riforma liturgica – ha spiegato l’ex cerimoniere – non era intesa o applicata solo come riforma di alcuni riti, ma come base e ispirazione per raggiungere gli scopi che il Concilio si era proposti”, tra i quali “l’unità di tutti i credenti in Cristo”. Infatti, uno dei segni evidenti di questa contrapposizione tra le due anime della Chiesa è la forte resistenza che ha incontrato l’attuazione concreta nelle diocesi del Motu proprio sulla reintroduzione della vecchia messa.

La rivista progressista Confronti sottolinea la contemporanea pubblicazione delle Risposte (in cui si afferma la coincidenza della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica) e del “Motu proprio Summorum pontificum con il quale Benedetto XVI, liberalizzando la liturgia post-tridentina, e la soggiacente teologia, cara ai lefebvriani, - osserva esplicitamente la rivista – manomette il Vaticano II, e insidia la visione ecclesiologica del Concilio”.

Tutto sembra indicare che ci troviamo in un momento cruciale del confronto. Le Risposte vanno inquadrate in questo contesto. Esse si rivolgono soprattutto ai laici cattolici e ai chierici d’ogni livello con spiccata vocazione ecumenica. Questi ovviamente contestano che le Risposte siano una precisazione dottrinale delle affermazioni emesse dal Concilio, considerandole semmai un loro stravolgimento. “Sarà la chiesa di Roma l'unica vera chiesa di Cristo? – si chiede il domenicano Frei Betto, teologo della liberazione – Allora perché Roma ha soppresso dal Credo il passaggio per cui noi cattolici crediamo nella «chiesa cattolica, apostolica, romana», come io pregavo nell'infanzia? Adesso si dice solo «credo nella santa chiesa cattolica», ciò che implica il suo carattere universale e apostolico ma non romano. E rende ancor più difficile l'ecumenismo quell'altra affermazione di Benedetto XVI secondo cui riconoscere il vescovo di Roma, il papa, come guida di tutte le chiese è la condizione per l'unione delle comunità ecclesiali cristiane. Il Concilio vaticano II insiste nel rinnovamento e nella conversione di tutte le chiese, compresa quella di Roma, come requisito essenziale per l'unità perduta, prima con lo scisma fra Oriente e Occidente nel 1054, poi con la riforma di Lutero nel secolo XVI. Il Concilio raccomanda alla chiesa di Roma di riconoscere gli elementi di verità presenti nelle altre chiese. Di prestare attenzione in ciò che unisce e non in ciò che separa… L'unità dei cristiani non sarà mai raggiunta attraverso la via scoscesa dell'autorità, ma solo attraverso quella della carità, della tolleranza, della nostra umiltà nel riconoscere i propri errori ed essere capaci di trovare quel che c'è di positivo, di evangelico nelle altre chiese e denominazioni religiose. Il primato dell'amore è l'unico capace di garantire l'unità della fede nella diversità delle culture. Ora e sempre, Cristo è la guida della chiesa e noi, i fedeli, siamo le differenti membra del suo corpo”.

Certo, se vi sono espressioni talvolta velate nei documenti conciliari è perché già in quella sede si dibattevano le due anime della Chiesa e fu necessario trovare formule di compromesso. Anche l’espressione “Questa Chiesa… sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro” è una di quelle soluzioni volutamente ambigue, formula compromissoria tra le posizioni dei due gruppi. Tant’è vero che nella prima stesura del ’63, in linea con la Mystici Corporis di Pio XII, il documento conciliare era espresso ancora con “è la Chiesa Cattolica” anziché con il “sussiste nella Chiesa Cattolica” della stesura finale dell’anno successivo. E chiaramente, se si apportò un cambiamento di quel tenore in un’enunciazione così importante è perché un messaggio si voleva comunicare. Affermare pertanto adesso che con “sussiste” si voleva semplicemente dire “è” e per giunta “soltanto” (“La Chiesa di Cristo... continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica”) vuol dire annullare un anno di dibattito conciliare e sa tanto di revisionismo storiografico. Si comprendono pertanto le reazioni di sorpresa e il dissenso che il documento vaticano suscita non solo nelle confessioni non cattoliche ma pure in molti vescovi e teologi cattolici, anche autorevolissimi, che muovendosi nella scia conciliare riflettono su un ecumenismo non più “romano-centrico”.

Invero si avvertivano fino allo scorso decennio alcuni importanti segnali che sembravano aprirsi verso quelli che Giovanni Paolo II aveva proposto di chiamare “cristiani di altre confessioni” o “fratelli ritrovati” e neppure più “fratelli separati” (separati da chi? dalla cattolica unica vera Chiesa e quindi da Cristo?). Dicevamo di alcuni importanti segnali, quali ammissioni di colpa, richieste di perdono, incontri ecumenici sia tra teologi che a livello di comunità locali, che lasciavano sperare in un abbandono della tradizionale pretesa della Chiesa di Roma di essere la detentrice piena ed esclusiva della verità e dell’ecclesialità. Ma ex abrupto è arrivato il 2000, l’anno del Giubileo, con le indulgenze, con l’accoglienza solenne in piazza S. Pietro della “Madonna di Fatima” e quindi con il risalto dato al culto mariano, con la beatificazione di Padre Pio e di papa Pio IX, autore dei dogmi della “immacolata concezione” e dell’infallibilità papale. Insomma con l’ostentazione di un cattolicesimo deciso a sottolineare le cose che lo dividono piuttosto che quelle che lo accomunano alle altre confessioni cristiane. Infine, nell’agosto dello stesso anno, la pubblicazione della ratzingeriana “Dominus Iesus”, di cui le odierne Risposte sono una ulteriore riaffermazione, ove si ribadisce in modo esplicito e inequivocabile la pretesa di Roma di rappresentare l’unica vera e autentica Chiesa di Cristo. Davvero un annus horribilis per il sogno ecumenico e per i cattolici che si riconoscono nella svolta conciliare.

L’anno 2000 è quindi quello in cui viene allo scoperto la fazione più “reazionaria” della Chiesa, quella dell’ecumenismo a senso unico, della riconduzione all’ovile delle pecore disperse delle altre entità cristiane (per grazia di Roma). Ed ecco quindi emergere il livore per i progressisti che, mentre il “Papa volante” girava il mondo e riempiva le piazze, hanno silenziosamente occupato i posti che contano e giorno dopo giorno, con i minimi implacabili aggiornamenti della loro cancrena modernista, hanno contaminato il dogma della fede. Sono i catto-modernisti-conciliaristi, teologicamente leninisti, che contano al loro interno eminenti porporati gerosolimitani (leggi card. Martini), vescovi prudentemente dissidenti, la maggioranza dei teologi e un gran numero d’intellettuali. Sono una consorteria velenosa che ha trafficato con ogni forma ereticale antica e moderna, che si sente investita dallo spirito e dalla storia del compito maieutico di liberare i credenti in Cristo dal dogma e di costruire una Chiesa autenticamente cattolica, affrancata dalle proprie “scorie oscurantiste” e depurata dalle superstizioni della propria tradizione storica. Sono i figli delle antiche eresie che hanno usato il Concilio Vaticano II come grimaldello per scardinare il “depositum fidei” e insozzarlo con i propri irrimediabili errori.

Ecco, questo è lo stato d’animo dei tradizionalisti che vivono l’azione di riforma dei conciliaristi come un attentato all’integrità della Chiesa che essi, appunto, considerano l’unica e perfetta Chiesa di Cristo. Da quando Ratzinger è salito al soglio, essi si sono ulteriormente rafforzati; ed è prevedibile che questo trend non subisca modifiche di rilievo. Anche perché è una linea che riscuote consensi e suscita attenzione nel mondo cattolico. I pellegrini affluiscono numerosi a San Pietro, i libri del papa si vendono bene e le offerte a lui destinate dai fedeli sono passate dai 59 milioni di dollari del 2005 ai 102 milioni dello scorso anno. Evidentemente è un segno della sicurezza che l’attuale pontefice sembra dare soprattutto agli ambienti più conservatori e spesso più agiati della Chiesa. Tempi duri quindi si prospettano per i riformisti interni alla Chiesa cattolica? Certamente, come d’altronde è sempre stato. E il movimento ecumenico, che fine farà? Logicamente il ritorno ad una posizione pre-conciliare non faciliterà il processo di convergenza ma può servire a chiarirsi. Come ha affermato recentemente il cardinale Walter Kasper, l’attuale presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, “è finito l’ecumenismo delle coccole”. D’altra parte se non ci si vuol più sentire “attori di un rituale stanco e privo di sbocchi” i salamelecchi dovevano pur finire e doveva altresì cessare l’ormai inconcludente insistenza su “ciò che unisce” nascondendosi il davvero tanto che continua a dividere. È ormai giunto il tempo di dirsi le cose senza inutili giri di frasi.

A quel punto si tratterà di capire cosa intenderanno fare le chiese e i singoli fedeli. Potrebbero esservi gruppi cristiani che accettino di unirsi alla Chiesa di Roma alle sue attuali condizioni, cioè semplicemente confluendovi. La Chiesa presbiteriana americana sembra indirizzata in tal senso, come d’altronde hanno già fatto in passato diverse comunità ortodosse d’Oriente. Oltre a ciò, potrebbero verificarsi degli eventi congiunturali di tale entità nel mondo che suggeriscano una riunificazione non nel segno dell’amore ma della reciproca convenienza, un compattamento della cristianità occidentale in chiave identitaria e in risposta all’aggressione portata d’altri integralismi. Un’unione, pertanto, non per unire le persone ma contro altre persone. Che sinistro ecumenismo quello che chiama a raccolta “fedeli” risentiti, astiosi e assetati di rivalsa! “Quando l’uomo pretende di farsi difensore di Dio, diventa demonio. Spinto dalla frenesia del suo zelo religioso, perde ogni sentimento di amore, dimentica i precetti più sacri della sua fede, diventa feroce e implacabile”, leggevo citato in un libro di Adelio Pellegrini (Quando la Profezia diventa Storia, p. 614).

Tuttavia a nostro conforto, noi abbiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: “Padre santo, conserva uniti a te quelli che mi hai affidati, perché siano una cosa sola come noi… Come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi… Così potranno essere perfetti nell’unità” (cf. Gv 17,11-23). Man mano che gli uomini vengono attratti dall’amore del Padre e del Figlio, si attraggono tra di loro. L’indifferenza non attira. L’odio divide, e quando unisce lo fa sempre contro qualcuno. Solo l’amore unisce per unire. Il discrimine è pertanto l’amore. I cristiani disamorati “discutono per stabilire chi tra essi deve essere considerato il più importante” (Lc 22,24), ma il destino dei cristiani perfetti nell’amore è quello di ritrovarsi. È forse questo il limite delle discussioni ecumeniche, che non avvengono tra uomini innamorati ma tra fredde istituzioni, radicate in questo mondo, capaci al massimo di unirsi “contro”. Di fronte a tale prospettiva la frammentazione è forse il male minore. Così come il popolo ebraico fu diviso nei due regni di Giuda e d’Israele per volontà di Dio (cf. 1 Re 12,24), altrettanto è evidentemente avvenuto per il popolo del nuovo patto. Prendere atto “che storicamente la Chiesa esisterebbe di fatto in molteplici configurazioni ecclesiali, riconciliabili soltanto in prospettiva escatologica”, come ormai pensano in tanti all’interno della Chiesa cattolica, non è affatto un’eresia. Avversata dalle istituzioni non lo è da molti fedeli. Perché, anche se in molti vorrebbero rinnegarlo e stramaledirlo, il Concilio Vaticano II è avvenuto ed ha prodotto un effetto dirompente all’interno della Chiesa come mai era accaduto neppure lontanamente in passato. Sono avvenute cose impensabili: la Bibbia è stata messa in mano alla gente, quando un tempo chi era trovato a leggerla veniva “combusto”. I teologi cattolici sono stati incoraggiati a dialogare con i loro colleghi protestanti, ad apprezzarne il pensiero. Papa Paolo VI giunse ad affermare che una delle prime persone che avrebbe desiderato incontrare in paradiso era Karl Barth, ritenuto il massimo teologo protestante. Queste son cose che fanno inorridire i custodi del dogma, ma in esse i cristiani senza etichette scorgono invece la mano di Dio. Egli sta preparando il suo popolo all’interno della Chiesa cattolica, come all’interno di ogni altra chiesa, per riunirlo nell’imminenza del ritorno di Cristo; perché “Padre, voglio che dove sono io siano anche quelli che tu mi hai dato” (Gv 17,24).


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