mercoledì 5 maggio 2010

Studentessa aggredita al Colosseo

Di questo lunedì la notizia d'una ragazza in gita scolastica aggredita da uno sconosciuto. È accaduto in piazza del Colosseo dove la studentessa stava giocando con alcuni compagni. Ha spintonato un amico, che accidentalmente ha urtato un passante, facendolo cadere per terra. La ragazza si è prontamente scusata ma ciò non è bastato all’uomo, 38 anni, che dopo essersi rialzato l’ha insultata, l’ha sbattuta a terra con uno schiaffo e ha cominciato a darle pugni sulla testa. Solo l’intervento di alcuni poliziotti ha posto fine all’aggressione. Portata al pronto soccorso la malcapitata è stata medicata e le è stato diagnosticato un trauma contusivo cranico. L’aggressore è stato denunciato a piede libero per lesioni personali.

Ormai la violenza non fa più notizia, è questo è già indicativo di un malessere diffuso. È il sintomo del fallimento di quel supposto processo di evoluzione etico-culturale che, si diceva, stesse conducendo l’uomo fuori dal suo retaggio animale. Sono però ancora in grado di suscitare inquietudine quelle notizie che raccontano di una violenza che supera persino quella presente nelle specie animali più aggressive, ove in genere è presente l’istinto di protezione degli elementi più fragili a cominciare dai cuccioli.

È un po’ come se l’umanità stesse degradando in una sorta di analfabetismo relazionale di ritorno. Qualcosa di analogo a ciò che avviene a quei branchi di cani inselvatichiti che hanno perso i condizionamenti della domesticazione e al contempo, in parte, gl’istinti ancestrali del loro cugino, il lupo. Così, ecco, che privati anche della regolazione dei comportamenti geneticamente determinati risulta molto più rischioso imbattersi in un branco di cani che in un branco di lupi.

Come sempre, trovo interessanti i commenti all’articolo lasciati dai lettori, sia per gli spunti di riflessione che offrono sia perché essi rappresentano il polso e la sensibilità dell’opinione pubblica. Consentono di osservare l’impatto della notizia sulle coscienze, come essa viene spiegata e interpretata dall’uomo della strada che legge i giornali. In questo caso i lettori si sono divisi quasi a metà tra chi condanna il comportamento dell’uomo iperreattivo e tra chi condanna la ragazza che ne ha provocato la caduta. Diverse le spiegazioni e gli scenari prefigurati da questi ultimi, anche a causa della stringatezza con cui i giornali hanno riportato la notizia. Alcuni si son chiesti se davvero quella caduta sia stata accidentale o se piuttosto non sia stata provocata di proposito. Essi fanno notare il modo selvaggio in cui si comportano molti dei ragazzini in gita, ma anche in aula e ovunque fanno gruppo. Fanno notare che il problema parte dalle famiglie, dai genitori che non sanno educare i figli alla convivenza civile e al rispetto del prossimo; mai un rimprovero o una punizione dati al momento opportuno; genitori che spesso sono completamente assenti, salvo quando si tratta di prenderne la difesa acritica contro gl’insegnanti e chiunque altro osi eccepire sull’educazione e la bontà delle loro creature. Tutti d’accordo pertanto in questo gruppo sull’indignazione provata dall’aggressore mentre dei distinguo vengono fatti sulla sua reazione. Alcuni giustificano anche questa. “Magari quest’uomo aveva le cose sue per la testa, era già nervoso di suo”, affermano. Altri convengono che la reazione sia stata eccessiva e che questi si sarebbe dovuto fermare al sonoro ceffone. Altri ancora ritengono che l’uomo avrebbe dovuto limitarsi al rimprovero ed, eventualmente, a segnalare il comportamento agli insegnanti. Senza voler escludere la punizione. Qualcuno propone la pulizia dei bagni della scuola per 6 mesi: “Lo fanno già le donne delle pulizie… e ancora campano. Anzi, i figli dei borghesi, che teoricamente sono più ben educati e colti, dovranno pulire i cessi insieme al papà, che ne so, primario in cardiologia”.

Il secondo gruppo di lettori, polemizzando con il primo, parte da un presupposto del tutto diverso che prescinde dal grado di colpevolezza della ragazzina. Anche quando si ha ragione, l’uso della violenza pone subito dalla parte del torto. Questa è la prima regola di una società civile (“Se per accidente io la urtassi, anziché accettare le mie scuse lei mi prenderebbe a schiaffi e calci per insegnarmi che cos’è l’educazione? È questa la sua idea di civiltà?”). La seconda regola è che le donne non si toccano. Men che mai una ragazzina. “Un trentottenne che gonfia di botte una ragazzina… e c’è pure chi lo difende!”. “Avrebbe potuto agire in mille modi civili anche per insegnare la civiltà. Così ha insegnato solo la violenza”. “Non ho letto un commento sull’azione assurda dell’individuo, urtato senza intenzione e che aveva per giunta ricevuto le scuse dalla ragazzina”. “Tu mi hai urtato, presumo che tu lo abbia fatto apposta, quand’anche tu non lo abbia fatto apposta sono arrabbiato lo stesso, quindi ti gonfio di botte… tanto più che sei una ragazzina e non puoi difenderti più di tanto: questo il paradigma di collegamenti neuronali di elevatissimo livello. Quale esempio di civiltà, uno splendore”. “Quanta violenza! Se per un semplice urto si arriva a malmenare una ragazza, invece di sgridarla semplicemente, vuol dire che siamo proprio non alla frutta, ma al digestivo in questo tempo disgraziato”.

C’è anche chi la butta in politica. “Strano che accada a Roma, dove sindaco e giunta rappresentano il partito dell’AMOOORE, città pregna di cortesia, civiltà, educazione e rispetto per il prossimo, strano davvero!”. A questa provocazione, un lettore d’opposta appartenenza politica risponde: “Mi faccia capire il suo ragionamento illuminato, per cortesia. Se al governo del paese e della capitale ci fossero stati i suoi padroni in rosso, il tizio anziché schiaffeggiare la ragazzina le avrebbe porto una dozzina di rose rosse?”. Ma una lettrice trova un nesso: “Un paese di cafoni, maneschi, nevrastenici e stupidi. Davvero un bel paese! Forse la base vuole sempre più somigliare ai suoi rappresentanti ‘legittimamente eletti’”. È un nesso circolare tra eletti ed elettori, una gara per far prevalere sempre più l’egoismo, il tornaconto, la rapacità e le ragioni del più forte. Un altro lettore coglie ancor meglio quest’elemento disgregativo: “Quel che è peggio è l'inabissarsi di certe notizie nel mare della normalità, tra mamme che gettano i figli dal balcone, autisti che uccidono in stato d'ebbrezza e fanciulli che si alcolizzano per esser grandi. Oramai siamo tornati alla legge del più forte, soli od in branco non ci si rispetta più, si cerca di vincere a qualsiasi costo”.

Attenuandosi sempre più le consuetudini di cooperazione e buona convivenza, prende il sopravvento l’aggressività che è molto forte nella specie umana. Così forte da tradursi in comportamento predatorio nelle relazioni intra-specifiche: evento insolito nelle altre specie animali. Si traduce anche in comportamento competitivo, che invece è comune nel mondo animale tra individui della stessa specie per stabilire uno status, la precedenza o l’accesso a una risorsa. Però anche la competitività è tenuta sotto controllo nel mondo animale da vari comportamenti e meccanismi, perché porta vantaggi solo indiretti alla collettività, che tendono ad annullarsi con l’esasperazione dei comportamenti individualistici. Anche in questo gli animali danno dei punti agli uomini. Solo l’educazione alla cooperazione e alla solidarietà può far superare all’uomo il proprio retaggio animale. Mancando questa, l’uomo si ritrova subito al di sotto della naturale animalità, così come avviene nei cani inselvatichiti incapaci di regolare la propria aggressività. È stato dimostrato che maggiori sono le capacità cognitive di una specie, maggiore importanza assume l’ambiente di sviluppo nel determinare il livello di aggressività degli individui di quella specie. Pertanto, a maggior ragione nell’uomo, se già egli su base genetica ha un ottimo potenziale d’aggressività, possiamo immaginare quanto questa possa essere ulteriormente esaltata dagli stimoli ambientali e dall’addestramento. L’aggressività, al contrario della cooperazione, porta inevitabilmente alla disgregazione sociale. Sono ormai tanti i segnali che ci vedono puntare verso quest’esito di esasperato individualismo. La legge a cui tendiamo è quella del branco, d’un branco disgregato che non sa proteggere neppure i propri cuccioli.