sabato 20 dicembre 2008

Winter Light Festival

Nei primi giorni di novembre è circolata notizia che il consiglio comunale di Oxford ha deliberato la cancellazione del Natale tra le ricorrenze cittadine sostituendola con il Winter Light Festival, la Festività della Luce Invernale. Ed Turner, vicesindaco dell’illustre cittadina universitaria, ha però tenuto a precisare che le celebrazioni con i cori natalizi ed anche il grande albero nella piazza principale non saranno negati alla cittadinanza. Tei Williams, portavoce dell’associazione Oxford Inspires che ha ispirato il provvedimento, ha cercato di tranquillizzare i perplessi assicurando che il Winter Light Festival è ben più del Natale poiché per due mesi è prevista una ricca programmazione di spettacoli ed eventi vari che daranno il giusto contributo alle attese economiche e d’intrattenimento legate alle festività di fine d’anno. Ciò che insomma verrebbe a mancare è “solo” l’esplicito riferimento alla specifica festività religiosa del Natale al fine di “ridimensionare l’eccessiva risonanza della festività cristiana a discapito delle altre religioni”. L’obiettivo, all’insegna del “politically correct”, sarebbe pertanto quello di rendere l’evento festivo “più inclusivo” in omaggio allo spirito multietnico del Paese e al rispetto delle minoranze religiose. Evidentemente queste rassicurazioni non sono bastate, poiché la comunità cristiana locale, a cominciare dalla Chiesa anglicana, ha criticato con fermezza il provvedimento. È significativo il fatto che anche le minoranze religiose hanno disapprovato la decisione, smentendo così di fatto la motivazione ufficiale che la voleva determinata dal desiderio di non ferire la sensibilità religiosa delle altre culture e di essere “più inclusivi verso le comunità non cristiane”. “Semplicemente ridicola”, la giudica Sabir Hussain Mirza, presidente del Muslim Council di Oxford; e prosegue: “Sono molto dispiaciuto da questa situazione. Il Natale è speciale. Cristiani, musulmani e fedeli di altre religioni, guardiamo tutti a questa festa e siamo felici di aspettarla”. Tra l’altro, anche i musulmani conoscono il Natale che chiamano “Aid al Ualid”. Sebbene non lo festeggino come le altre feste islamiche, non va dimenticato che essi considerano Issa-Gesù uno dei profeti. Anche per il rabbino Eli Bracknell, insegnante presso il locale Jewish Educational Centre, “è importante conservare la tradizione natalizia, diluirla fa solo male all’identità di questo Paese”.

Ma allora, se le minoranze religiose non c’entrano con questa decisione, qual è la vera ragione che l’ha determinata? Invero il comune di Oxford non è la prima amministrazione civile che si sbarazza del Natale. Qualche anno fa Manchester l’aveva ribattezzato Winterval, e una municipalità di Londra l’aveva eliminato persino dalle decorazioni. Due anni fa il ministero britannico degli Interni decise di scrivere sui suoi biglietti d’auguri: “Season’s Greetings”, cioè auguri di stagione. Vi era raffigurato l’albero di Natale collocato a Trafalgar Square, ma la parola Christmas era sparita per non turbare chi cristiano non era. Tuttavia nell’immaginario collettivo il provvedimento preso da Oxford, la capitale britannica della cultura, assume un significato particolare: è come se l’identità culturale del Paese si dissociasse dal simbolo più caratteristico della cristianità. Davide Rondoni scrive su Avvenire che uccidendo la parola Christmas la città dei sapienti vuole sbarazzarsi di Christ. Cancellano Christmas per provare a cancellare Christ, perché quel nome è al di sopra di ogni altro nome, e ciò dà fastidio ai saggi: gli ricorda che la signoria del mondo non è nelle loro mani, gli rammenta che è lui il vero Lord. I saggi di un tempo sobillarono il popolo, si appellarono a Cesare, lo vollero morto. I saggi di oggi, quelli che imprimono i loro nomi sui libri e sulle targhe dei loro studi, trovano nuovamente opprimente il nome di Christ, e accampano ogni scusa per cancellarlo, persino la preoccupazione di non escludere coloro che invece non si sentono affatto esclusi e, sebbene non cristiani, attendono volentieri quel giorno.

E così questi saggi, falsi portavoce di musulmani ed ebrei, si sbarazzano del Natale sostituendolo – essi affermano – con qualcosa di più utile e corretto politicamente. Ed ecco allora coniare formule più “laiche” quali: stagione festiva o festa della luce d’inverno. Perché non allora – suggerisce un lettore – festa dell’insostenibile leggerezza dell’essere o festa del vuoto interiore nel pieno del nulla autunnale? da aggiungere alle tante altre eccitanti e disimpegnate quali Halloween, carnevale, festa del telecomando, di Harry Potter, del vuoto pieno, dello sballo, ecc.? Anche mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, sottolinea la discrepanza tra ragioni addotte e ragioni profonde che stanno alla base del provvedimento di Oxford. Le ragioni apparenti sono inconsistenti non solo perché smentite dalle minoranze chiamate in causa, ma soprattutto perché l’eventuale desiderio di stabilire un dialogo che non prevarichi non può non tenere conto, per compiacere gl’interlocutori, della cultura cristiana in cui si riconosce la parte prevalente. Il vero dialogo lo si costruisce proprio attraverso le identità e non stingendo fino al punto di estinguere la propria identità. Allora ecco che bisogna desumere una diversa ragione, ben più profonda di quella che appare sul momento come una semplice stravaganza, e più o meno consapevole di una grandezza che sta alle proprie spalle, che costruisce il proprio stesso volto. "Mentre in passato, quando si combatteva la presenza dei segni religiosi, lo si faceva con delle argomentazioni, persino con il desiderio di opporre un sistema del tutto alternativo, ora, invece, tante volte, questa avanzata della negazione è una specie di onda grigia, di nebbia; si vuole introdurre proprio una componente così fluida ed inconsistente che è la caratteristica della secolarizzazione attuale", afferma Ravasi. "Dio non viene negato, viene del tutto ignorato e l'impegno pastorale è ancora più complesso perché di fronte ad una negazione si possono apportare le argomentazioni. Di fronte invece a questa sorta di 'gioco di società' incolore, inodore, insapore, c'è, alla fine, l'impossibilità di una reazione". "Ora noi non abbiamo più l'ateismo nel senso forte, qualche volta drammatico del passato. Noi ora abbiamo l'indifferenza. Questa indifferenza stempera tutto, stinge, scolora, e alla fine, forse impedisce all'uomo anche di interrogarsi - come fanno tutte le grandi religioni - sui temi fondamentali, temi capitali che vengono invece dissolti nell'interno di un'atmosfera così inconsistente".

Certo, è legittimo chiedersi a questo punto se le Chiese non abbiano le loro colpe per la situazione di indifferenza in cui ci troviamo. Non raccogliamo oggi il frutto di una pratica religiosa formale e superficiale che ha trascurato di formare le menti dei fedeli e di conquistare i loro cuori? E nella fattispecie – si domanda un altro lettore – «quanti inglesi vanno a messa tra i cattolici o al culto domenicale tra gli anglicani e gli altri riformati nella cittadina di Oxford? Sarebbe interessante stabilire se esiste una correlazione tra lo svuotarsi dei templi e delle attività di culto e di catechesi e questa improvvida, per nulla "politically correct" (essendo scorretta nei confronti del cristiani) iniziativa, che di "laico" non ha nulla». È certo che l’indifferenza religiosa, quando di non vero ateismo militante, in Inghilterra ha raggiunto livelli sconosciuti persino da noi, che pure non scherziamo. Il giornalista Pigi Colognesi al fatto di Oxford ha voluto collegare un’altra notizia proveniente dall’Inghilterra in quegli stessi giorni. Riporto buona parte del suo articolo che ritengo molto significativo e appropriato: «Sui bus e nelle metropolitane di Londra è comparsa nelle scorse settimane la seguente scritta pubblicitaria: “Probabilmente Dio non esiste. Dunque smettete di preoccuparvi e godetevi la vita”. L’iniziativa è partita da un blog del giornale progressista Guardian e, dicono gli organizzatori, ha avuto un successo clamoroso: si dovevano raccogliere cinquemila sterline per una piccola campagna pubblicitaria e ne sono arrivate oltre centodiciassettemila. Scopo del messaggio è quello di "rassicurare" chi si sente minacciato dal ritorno del fervore religioso. È chiaro, infatti, cosa i sostenitori dell’iniziativa (tra loro figura Richard Dawkins, diventato celebre per un libro sulle "ragioni per non credere") intendano per Dio: un nemico della vita. Coi suoi precetti e divieti, con la minaccia della punizione eterna, con le sue regole soffocanti questo simulacro di Dio appare evidentemente un ostacolo per la realizzazione dell’uomo. E quindi la constatazione che "probabilmente" non esiste fa tirare il fiato. Ma siamo così sicuri che, senza Dio, noi possiamo “goderci la vita”? Come dovremmo fare? Occorrono un sacco di condizioni di non facile raggiungimento (e questo lo slogan ateistico tende a nasconderlo): bisogna avere la salute e un lavoro soddisfacente, disporre di un minimo di agiatezza economica, essere capaci di instaurare rapporti interpersonali ed affettivi appaganti. E poi è necessario che la situazione intorno a sé consenta di godersela, la vita. Se sei seduto sul bus (magari quello con la scritta ateistica sulla fiancata) e ti schiacciano un piede, tutto il tuo godimento se ne va. E non basta. Siamo sicuri che uno possa tranquillamente godersi la vita quando legge quello che legge sui giornali? Le migliaia che fuggono dai loro villaggi in Congo o quelli che perdono il posto di lavoro perché la banca fallisce; i cristiani ammazzati in India e la bambina lapidata in Somalia. Ci vorrebbe un po’ di giustizia perché questa vita sia davvero godibile. Ma anche guardando più da vicino: come farei a “non preoccuparmi” se una persona che mi è cara soffre, è scontenta, magari un pochino depressa? Insomma “godersi la vita” è un affare complicato. Ma, soprattutto, cos’è questa vita che dovrei godermi? È la somma di salute, affetti, lavoro, soldi, circostanze più o meno favorevoli? È il susseguirsi di raggiungimenti parziali e sempre effimeri? Non c’è, invece, in ognuno l’urgenza di trovare qualcosa che dia consistenza e durata a tutti quei fattori? Non vive ognuno lo struggente bisogno di un “godimento” che non lasci fuori nulla e che sia permanente? Della felicità, insomma. Questa esigenza non apre forse la prospettiva su un orizzonte infinito e misterioso, quello che gli uomini hanno sempre chiamato Dio? Limitare simile apertura non è un rimpicciolimento della persona, una sua riduzione a misure meschine, quelle facilmente gestibili da un potere prodigo di “godimenti"? L’uomo che è nato quel giorno di duemila anni fa ha detto che proprio per camminare verso la felicità ogni uomo è venuto al mondo e che la misura del suo desiderio è infinita. È per questo che gli amministratori di Oxford vogliono farci dimenticare il suo Natale?» (P. Colognesi, Da Oxford agli autobus, l'illusione di essere felici eliminando Dio, ilSussidiario.net, 7/11/08).

Allora questa cultura che produce indifferenza per Dio, o persino ostilità; che ne fa un simulacro soffocante e minaccioso, un nemico della vita, un ostacolo per la realizzazione dell’uomo; alla fine è logico che ne provochi pure la rimozione nel nome delle pari opportunità a favore delle minoranze etniche ma, in realtà, della maggioranza indifferente e persino dichiaratamente atea. Un’altra recente notizia è quella che la commissione britannica per le pari opportunità ha denunciato l’associazione Scout per discriminazione nei confronti degli atei. Il loro motto recita infatti: “Sul mio onore prometto che farò del mio meglio, il mio dovere al cospetto di Dio e della Regina, per aiutare altre persone e rispettare la legge degli Scout”. Come la mettiamo con i due terzi degli adolescenti che si dichiara non religioso? Per entrare negli Scout non resta loro che mentire. La Humanist Association e la National Secular Society sono indignate ed auspicano che quanto prima l’associazione rimuova dal suo motto la frase “fare il mio dovere nel cospetto di Dio”. Come sorprendersi allora di questo diffuso imbarbarimento delle giovani generazioni private degli ideali cristiani e, con il fallimento delle ideologie, di ogni ideale? Tranne che vogliamo considerare ideale quello legato al consumismo: il sesso, l’abbigliamento più o meno stravagante, lo scooterino; o i rituali del gruppo: ubriacature, prove di coraggio e di destrezza, accoltellamenti. Sono i dati che parlano: in Inghilterra negli ultimi sei anni la criminalità minorile è aumentata del 27%; un numero sempre crescente di teenager si ritrova ad avere a che fare con la giustizia ben prima della maggiore età. In alcune aree del paese i baby delinquenti sono pressoché raddoppiati e i loro crimini, spesso omicidi per futili motivi, ormai non fanno quasi più notizia. E non è che altrove in Europa le cose vadano molto meglio.

Quel Winter Light Festival suggerisce, inoltre, altri richiami. L’uomo ha bisogno di credere in qualcosa e se al Natale si toglie Gesù Cristo esso torna ad essere ciò che era una volta, prima che i cristiani ne facessero la loro festa più bella. Torna ad essere la festa del solstizio d’inverno, il natale del sole. Nell’Inghilterra scristianizzata, oltre agli indifferenti e agli atei, sono in aumento i culti neopagani. La festa della luce invernale è un modo per richiamare l’uomo preistorico che dorme dentro di noi. Eliminando Dio divinizziamo i suoi strumenti di vita. I celti, gli antichi abitanti delle isole britanniche, adoravano il sole. Tacito descrive le danze dei druidi inglesi all’interno del cerchio di pietre quando il sole nascente del solstizio d’estate colpiva con i sui raggi l’altare centrale di Stonehenge. Ed oggi attorno al complesso megalitico, ogni anno nel giorno più lungo si danno appuntamento oltre 20 mila neopagani. Ma i celti, come tutti i popoli del nord, celebravano i loro riti anche nel solstizio d’inverno. Presso germani e scandinavi in questo periodo ricorreva la festa di Yule, durante la quale venivano evocati demoni e spiriti dei morti. Vischio e agrifoglio che decorano il Natale nordico provengono da quella ricorrenza pagana che in Islanda si protrasse per tutto il medioevo. Ma è l’Inghilterra che ha rappresentato uno dei più forti epicentri della rinascita pagana, frammischiata all’occultismo, a partire dal XIX secolo con la continuazione dell’antica religione celtica, divisa in numerose organizzazioni e chiamata nel suo complesso Druidismo o Celtismo. Sempre in Inghilterra, fondata dall’esoterista Gerald Gardner, è sorta la Wicca, la più seguita religione neopagana che si riallaccia all’antico culto della Dea Madre. Oggi che la fede cristiana si sta ritirando, il vecchio paganesimo sta riprendendo inatteso vigore e cresce con un tasso stimato al 143% annuo su scala mondiale: il più alto in termini relativi rispetto alle altre fedi. Un vero schiaffo per le Chiese cristiane che appaiono aver fallito miseramente il loro compito di educare gli uomini alla fede viva. D’altronde non fu Gesù che, guardando avanti nei secoli, si chiese sconsolato se al suo ritorno avrebbe ancora trovato fede sulla terra (Lc 18:8)? E allora anche questa Festività della Luce Invernale, se vogliamo, è un segnale che andiamo in quella direzione. Questi adoratori del sole anglosassoni, che detestano visceralmente la nascita di Cristo, che desiderano ridimensionarne l’eccessiva risonanza, come ha detto qualcuno, “speriamo almeno che per i sacrifici umani aspettino ancora un po’”.

Per approfondire: Natale, vale o non vale?

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