sabato 28 febbraio 2009

The Great Awakenings

La Riforma protestante era sorta come reazione agli abusi della Chiesa cattolica (vedasi Il mercimonio delle indulgenze), che a loro volta erano resi possibili da un accumulo di errori dottrinali. Prima preoccupazione dei Riformatori fu quindi quella di indagare sull’evoluzione delle dottrine a partire dal cristianesimo primitivo, e di definire l’impianto dottrinale delle denominazioni da loro fondate rispetto alle degenerazioni del credo e dei dogmi della Chiesa cattolica. Questa necessaria attenzione alle dottrine aveva tuttavia, con il tempo, precipitato le chiese nell’intellettualismo e nel formalismo. Fu così che a meno d’un secolo dal suo sorgere il protestantesimo sentì il bisogno di spostare il centro di gravità della religione dalle formule ai contenuti di un cristianesimo vivente, capace di incidere sulla condotta morale di coloro che lo professavano. Nell’Europa continentale tale spostamento di attenzione venne operato da un movimento di rinnovamento religioso, fondato dal teologo tedesco Philipp Jacob Spener, che prese il nome di pietismo. Spener nel suo “Pia Desideria”, pubblicato nel 1675, evidenziò alcune esigenze fondamentali, una delle quali era certamente la migliore conoscenza e diffusione della Scrittura. Egli però, al contempo, auspicava che si desse alle virtù non meno importanza delle dottrine. Era pertanto fondamentale che i ministri di culto ricevessero una preparazione pratica non meno curata di quella teologica, che questi rinunciassero alle controversie religiose e privilegiassero la predicazione edificante rispetto a quella intellettuale; era altresì importante che si desse più spazio ai laici e che se ne curasse la formazione. A tal proposito egli fondò i Collegia pietatis, gruppi di studio volti a vivificare la pietà e le conoscenze dei fedeli. Il messaggio di Spener fu accolto con entusiasmo dalla gente, soprattutto di ceto medio e alto, e grazie a questi gruppi di studio biblico, sorti all’interno della Chiesa luterana, i laici s’impegnarono nell’attività ecclesiastica, fiorì una calda pietà cristiana e la moralità si risollevò. Il movimento si radicò talmente, nonostante la malcelata ostilità della Chiesa ufficiale, che la sua influenza si protrasse per tutto il Settecento e ancora oggi è presente in certi ambienti protestanti.

Con il tempo, il pietismo si espanse al di là della Chiesa luterana e dello stesso territorio tedesco. Penetrò nei Paesi Bassi, in Scandinavia e ad est si spinse fino in Russia. In Inghilterra, invece, la tensione verso una religiosità interiore e di sostanza era sorta già durante il XVI secolo nell’ambito del protestantesimo calvinista. Prese il nome di puritanesimo perché si proponeva di purificare la Chiesa anglicana da tutti gli aspetti non previsti dalle Sacre Scritture, a cominciare dal rapporto con il potere. La Chiesa doveva essere svincolata dal potere politico e doveva abbandonare il modello organizzativo episcopale, ereditato dal cattolicesimo, a favore di un modello di governo più vicino ai fedeli come quello presbiteriano o, ancor meglio, congregazionalista. I puritani nel momento del culto comune ponevano l’enfasi sul sermone e sullo studio della Parola ridotti all’essenziale, mentre ritenevano contaminazioni idolatriche tutti gli orpelli ereditati dalla liturgia cattolica quali la musica, i paramenti sacri, il segno della croce, le immagini, le candele ed ogni altro oggetto liturgico. Essi ponevano l’enfasi sul sacerdozio universale, sullo studio privato della Bibbia e sulla preparazione accurata dei pastori che dovevano essere in grado di leggere il testo sacro nelle sue lingue originali e conoscere bene gli scritti patristici e dei riformatori. L’educazione delle masse doveva essere finalizzata a conoscere la Parola di Dio e a metterla in pratica, con la conduzione di una vita morigerata e lo sviluppo di una fede interiore.

Com’era d’attendersi, il movimento fu malvisto sia dalla Chiesa anglicana che dalla monarchia britannica. Vi fu persino una guerra civile che vide prevalere i puritani guidati da Oliver Cromwell. Ma questa riforma durò meno d’un ventennio, dopodiché essi tornarono ad essere perseguitati, fino al 1689, quando Guglielmo III d’Orange accordò loro libertà di culto. Nel frattempo molti puritani avevano cercato rifugio, prima in Olanda e poi nel New England ove formarono il nucleo più significativo dei futuri Stati Uniti d’America. Il primo contingente, quello ben noto dei “Padri pellegrini” prese il largo per il continente americano nel 1620 e nei quindici anni che seguirono giunsero in quella terra circa 20 mila puritani. Erano convinti di potervi fondare un “Nuovo Mondo” di libertà e giustizia, ove poter vivere liberamente la propria fede sul fondamento dell’insegnamento biblico. Una sorta d’Israele spirituale da cui la corrotta e intollerante Europa potesse trarre insegnamento. D’altronde anche il movimento del pietismo tedesco, che con i puritani aveva molti elementi in comune, mise piede nelle colonie americane in modo significativo. I Fratelli moravi, che vi si trasferirono in massa, erano pietisti. Persino gran parte dei missionari luterani inviati in America provenivano dall’Università di Halle, il centro intellettuale del pietismo.

Spiccano in questa fase d’insediamento alcune figure che si stagliarono a baluardo contro l’intolleranza religiosa e lottarono per affermare il diritto di poter professare liberamente la propria fede. Tra tutti va citato il puritano Roger Williams, emigrato nel 1630 nella Nuova Inghilterra, e noto per tante ragioni. Fu il fondatore dello stato di Rhode Island e della città di Providence, e fu anche il fondatore delle prime due chiese battiste sul suolo americano. Sostenne inoltre il principio d’instaurare rapporti più giusti con i Nativi Americani. Ma egli è soprattutto noto come primo fautore dell’assoluta libertà di pensiero e di pratica religiosa, e pertanto sostenitore del principio di separazione fra Chiesa e Stato. Idea rivoluzionaria a quel tempo, in quanto chi chiedeva la libertà di professare il proprio culto non era in genere interessato alla libertà degli altri culti. Infatti Williams dovette battersi spesso, anche recandosi in Inghilterra, per evitare derive che portassero ad un restringimento della libertà di coscienza. A questo campione di libertà va anche dato il merito della prima legge in America che rese illegale la schiavitù; legge approvata il 18 maggio 1652 dallo stato di Rhode Island. Altro nome da citare, tra coloro che si batterono per assicurare la libertà di culto sul suolo americano, è quello del puritano e quacchero William Penn, fondatore della Pennsylvania. Ottenne la concessione del territorio in cambio d’un grosso credito che il padre vantava nei confronti della Corona. Nel 1682 vi si trasferì per qualche tempo fondandovi la città di Philadelphia, etimologicamente la città dell’amore fraterno, chiara rappresentazione di quella tolleranza religiosa che Penn desiderava applicare nei confronti di qualsiasi religione.

Tuttavia, per una serie di ragioni che adesso elencheremo, la tensione spirituale dei primi coloni, radicati nel pietismo e nel puritanesimo, andò affievolendosi nelle generazioni che seguirono. L’afflusso di immigrati d’ogni provenienza, le difficoltà politiche ed economiche, e i conflitti di una nazione in crescita, la diffusione di idee illuministe e razionaliste ispirate dalla Rivoluzione francese, contribuirono a intiepidire il fervore religioso che aveva caratterizzato la prima immigrazione. Lo spirito puritano e pietista covava comunque sotto la cenere e spiega quella sorta di reazione fisiologica al rilassamento religioso che esplose a più riprese con i cosiddetti Great Awakenings (lett. Grandi Risvegli). Il primo di questi risvegli, che caratterizzeranno il XVIII e il XIX secolo, ebbe luogo attorno al 1740.

Trova il suo antefatto in Inghilterra, nella predicazione dei fratelli Wesley e di George Whitefield, i fondatori del metodismo. La Chiesa anglicana appariva incapace di occuparsi delle crescenti necessità materiali, morali e spirituali in cui si dibattevano gli strati più poveri della società finiti nell’ingranaggio della nascente rivoluzione industriale. Se ne fece carico il metodismo, un movimento di risveglio che coniugò la predicazione all’azione sociale. I fondatori del movimento predicavano all’aperto, alle grandi folle, dapprima nei villaggi e in seguito nei sobborghi della città. Formavano poi società locali che accoglievano i nuovi convertiti e li organizzavano in classes, cioè in gruppi che si riunivano regolarmente per lo studio della Bibbia e la reciproca edificazione. In queste palestre dello spirito la gente umile imparava a esprimersi in pubblico, ed anche a dibattere i problemi e a coordinarsi in vista della loro soluzione. Fu pertanto consequenziale affiancare alle classi bibliche attività d’assistenza e promozione sociale quali scuole e consultori medici.

Nel 1735 i Wesley furono invitati a predicare in America, già toccata dal risveglio dei riformati olandesi del New Jersey. Tre anni più tardi vennero raggiunti da Whitefield, il quale con la sua azione evangelistica itinerante sul territorio del New England sollevò un’ondata di entusiasmo senza precedenti. L’opera di Whitefield fu proseguita dal predicatore congregazionalista Jonathan Edwards e dal presbiteriano Gilbert Tennet. La loro azione itinerante si estese ad altre colonie e denominazioni, ed ispirò quel movimento di risveglio interconfessionale che, per la sua intensità ed estensione geografica, prese il nome di Great Awakening.

Tale risveglio esercitò una forte influenza sia sulla morale della gente che sul loro senso di fraternità. Modificò i costumi: gioco d’azzardo, ballo, bevande alcoliche furono banditi. Al contempo una spinta all’educazione e all’apprendimento suscitò un fiorire di scuole e università, alcune ancor oggi rinomatissime. Agli incontri dei predicatori itineranti affluiva ogni genere di persone, e non si faceva differenza tra ricchi e poveri, uomini e donne, bianchi e neri e tra le diverse nazionalità. Si sentivano tutti “Figli di Dio”. I movimenti a favore della temperanza e dei diritti civili possono farsi risalire alle coscienze risvegliate di quegli anni. Il risveglio contribuì a far sorgere l’idea dell’emancipazione femminile, una coscienza antischiavista e favorì l’integrazione degli immigrati. Persino un sano spirito ecumenico di base. Congregazionalisti inglesi, presbiteriani scozzesi, luterani tedeschi, riformati olandesi, frequentavano le stesse riunioni, coltivavano la medesima speranza, si sentivano fratelli e membri di un medesimo popolo.

Poi arrivò la guerra d’indipendenza dagli Inglesi, conosciuta pure come Rivoluzione americana (1776), figlia anch’essa in buona misura dello spirito puritano; fu pure infatti mossa dalla convinzione che la resistenza al tiranno inglese, che tanti aveva indotto a fuggire per motivi di fede, fosse un glorioso imperativo cristiano. Fattore scatenante fu l’esorbitante pressione fiscale esercitata dal governo di Londra. Ma all’origine dello scontento c’era il desiderio di emanciparsi anche culturalmente e ideologicamente dalla madre patria. Significativa a proposito la posizione assunta dalle varie denominazioni religiose. Quasi tutte, a cominciare dalla presbiteriana e dalla metodista, erano favorevoli e parteggiavano per la rivoluzione. Non così la maggior parte del clero anglicano che conservava un saldo legame con la patria d’origine, ed era pertanto contrario all’indipendenza. I quaccheri facevano caso a sé in quanto contrari alla guerra per principio. A conflitto concluso, gli stessi anglicani seguirono gli altri sulla strada dell’autonomia e fondarono la Chiesa Protestante Episcopale.

La guerra per l’indipendenza ebbe tuttavia un effetto contraddittorio sulla religione degli americani. Se da un lato le chiese acquisirono maggiore libertà, dall’altro la nuova generazione era distratta dalla depressione economica e dai problemi della ricostruzione. Inoltre la cultura era influenzata dal pensiero illuminista e, in particolare, da idee deiste che disconoscevano la rivelazione biblica e l'intervento di Dio nella Storia. Così la religione finì per riscuotere scarso interesse e la generale freddezza non risparmiò la vita di chiesa il cui livello spirituale calò moltissimo. A proposito della cultura influenzata dal pensiero illuminista, va osservato che anche il mondo politico era pienamente imbevuto di questa cultura. Thomas Jefferson, primo redattore della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, non trovava contraddittorio appartenere ad una chiesa cristiana (quella episcopale) e al contempo coltivare idee illuministe e deiste. Durante il suo mandato presidenziale egli ordinò due copie della Bibbia, e nei momenti liberi si dedicò a “riscrivere” il Nuovo Testamento con il rasoio e la colla, nel senso che ritagliò i soli versi che a suo avviso rispecchiavano le vere idee di Gesù e li incollò in un quaderno: poco più di un verso su dieci sopravvisse al rasoio presidenziale. La sua Bibbia terminava così: “Qui posero Gesù, e fecero rotolare una grande pietra davanti all’ingresso del sepolcro e se ne andarono”. Scrisse anche un saggio dal titolo La vita e i principi morali di Gesù di Nazaret. Da illuminista e deista egli si proponeva di liberare la figura di Cristo dalle incrostazioni di “volgare ignoranza, di cose impossibili, di superstizioni, fanatismi, e invenzioni” per restaurare il “vero” Gesù, cioè il massimo fra i saggi illuminati e i maestri di morale. Ma neppure un Gesù così “ritagliato” fu il suo principale ispiratore. Per sua stessa ammissione, la sua “trinità” era costituita da Francesco Bacone, John Locke e Isaac Newton, di cui esponeva i ritratti nel salone della sua villa di Monticello. La sua non era un’etica teologica bensì utilitaristica. Era sì fautore, come Roger Williams, di uno stato laico ma la sua era una morale extrabiblica. La lista dei diritti umani sulla Dichiarazione d’indipendenza di cui egli fu ispiratore ed estensore, ovvero il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità, non si rifaceva ad una visione cristiana bensì alla triade enunciata da John Locke di vita, libertà e proprietà. La ricerca della felicità era pertanto un eufemismo per il diritto alla proprietà privata. E la libertà a cui lui pensava era quella dei ricchi proprietari terrieri anglosassoni, non certo quella delle centinaia di schiavi neri che egli sfruttava, senza rimorso alcuno, per curare i vasti e incantevoli giardini e parchi di Monticello. Ad essi era negato quel diritto alla libertà che egli stesso aveva affermato essere il diritto fondamentale di ogni singolo individuo. Aveva anche scritto nella Dichiarazione che “tutti gli uomini erano stati creati uguali”, ma non si riferiva evidentemente alla popolazione di colore da lui stesso dichiarata inferiore a quella caucasica. Nel 1814 respinse con sdegno la richiesta di John Quincy Adams di esprimere il sostegno pubblico alla causa antischiavista. Nel corso della sua vita concesse la libertà solo a sette schiavi, ne vendette centoventi, e rifiutò la liberazione degli altri persino nell’atto testamentario con cui invece dispose la loro vendita a pagamento dei debiti lasciati in sospeso. Così alla sua morte più di cento schiavi, uomini, donne e bambini, finanche i suoi figli avuti dalla schiava Sally Hammings, furono messi in vendita sul mercato degli schiavi. Questo comportamento paradossale fu la conseguenza di quella commistione tra un cristianesimo di facciata e un utilitarismo di sostanza, cioè di quella visione del mondo che giudica la giustezza di un’azione dal contributo che essa apporta all’aumento della felicità umana o alla diminuzione della miseria umana, in base ad una media aritmetica e al di là d’ogni vincolo posto da una legge divina, da una legge naturale o da un “sentimento morale”. Per l’utilitarista ogni azione è buona o comunque indifferente in se stessa; quel che conta sono le conseguenze che essa produce. È la logica del fine che giustifica i mezzi, quella che tante ingiustizie causa a danno dei più deboli. Soprattutto quando chi decide cosa è più utile non è un “osservatore ideale” che si suppone spogliato di interessi meramente egoistici ed in grado di individuare ciò che è veramente utile a sé ed agli altri. Quando Lincoln affermò di essere disposto indifferentemente ad abolire o a mantenere la schiavitù pur di salvare l’Unione, era perfettamente in linea con la logica utilitaristica dei presidenti che lo avevano preceduto, escludendo solo John Quincy Adams che fu sempre un abolizionista convinto.

E pensare che fu proprio il pensiero illuminista a parlare per primo di diritti e di libertà e, nella fattispecie, a pronunciarsi contro la schiavitù. Quando le chiese erano imbavagliate dalle connivenze con i poteri forti, fu la Francia rivoluzionaria e illuminista, prima tra le nazioni europee, ad abolire l’istituto della schiavitù; provvedimento che dopo pochi anni Napoleone revocò per compiacere la borghesia creola. Infatti il limite del pensiero illuminista, solo apparentemente il suo punto di forza, è quello di rispondere unicamente ai lumi della ragione umana. Perché la ragione umana è capace di contorte circonvoluzioni, che ammanta di ragioni solenni, per giustificare comode ingiustizie. Jefferson e quanti come lui proclamavano che “la ragione di ognuno deve essere il suo oracolo”, erano bravi nelle dichiarazioni di principio, molto meno quando i principi rischiavano di scalfire i loro interessi e le loro ambizioni. Il diritto alla libertà così come l’immaginava la Dichiarazione d’indipendenza poggiava sull’individualismo e sull’autoaffermazione, e si rivelò assolutamente inefficace nel proteggere dalla disumanizzazione i membri più vulnerabili della società americana, a cominciare dai servi delle piantagioni, ma anche gli operai, formalmente liberi, di fatto anch’essi servi di padroni non meno spietati.

Fu così che per combattere l’ideologia illuminista dei padri fondatori e la religiosità appannata delle chiese costituite, sorse quel turbinoso movimento revivalista noto come Secondo Grande Risveglio. Diede fuoco alle polveri il pastore presbiteriano James McGready, nel 1797. Base di partenza fu il Kentucky, allora stato di frontiera con il selvaggio West. Il revival di McGready raggiunse la sua massima espressione nell’estate del 1800 con un grande raduno all’aperto. Ben presto questi convegni divennero una caratteristica distintiva della predicazione revivalistica del XIX secolo. Migliaia di persone si raccoglievano in grandi radure a meditare su temi e riflessioni spirituali. Questi “camp-meetings” avvenivano generalmente di notte, alla luce di torce e lanterne, in spazi delimitati da centinaia di tende e carri, e si protraevano talvolta per diversi giorni. La suggestione dell’ora e del luogo, nonché la solennità della predicazione, provocavano nei presenti una profonda emozione e il desiderio di ripensare il personale rapporto con la religione. Non di rado queste manifestazioni erano aperte a credenti di tutte le denominazioni: presbiteriani, metodisti, congregazionalisti, battisti e quaccheri si trovavano insieme per pregare e trovare ispirazione dalla predicazione biblica; e ben presto il vento del risveglio soffiò su tutto il Continente, sino alle città della costa atlantica.

Per sua natura un movimento di risveglio non nasce per allontanare i fedeli dalle loro chiese o per ripensare il credo e le dottrine, in altre parole per fondare nuove denominazioni, bensì per far rivivere l’ormai assopito fervore spirituale all’interno delle comunità esistenti. Questo secondo risveglio non fece eccezione alla regola. Esso rappresentò una salutare reazione al “sonno” in cui erano cadute le chiese istituzionalizzate, nelle quali il cristianesimo era ormai vissuto dai più in modo formale e abitudinario, senza intima convinzione e pieno coinvolgimento personale, e al cui interno la maggior parte dei ministri e dei docenti delle facoltà di teologia erano permeati dalle idee della cultura dominante. Il revival ottocentesco, mentre infiammava i cuori delle masse popolari che il gelido formalismo delle chiese aveva allontanato, riproponeva la Bibbia come fonte di ispirazione e supremo riferimento morale, in contrapposizione, ad esempio, all’inconsistenza d’una “libera” autonomia alla Jefferson. Non a caso proprio a questo risveglio va il merito d’aver preparato il rifiuto della schiavitù. O, forse, sarebbe meglio dire: delle schiavitù. Nel senso che esso si batté non solo per liberare gli uomini dall’asservimento ad altri uomini, ma pure ai vizi e alle cattive abitudini. Per sua diretta influenza nacquero infatti associazioni interdenominazionali finalizzate al recupero della salute fisica e spirituale degli individui. L’American Society for the Promotion of Temperance, sorta nel 1826, propagandava l’astinenza dagli alcolici. La famosa YMCA nacque nel 1844 come associazione cristiana per promuovere attività sportive e di tempo libero tra i giovani; dando all’inizio molto spazio allo studio della Bibbia. La stessa Società Biblica Britannica e Forestiera, che diffuse la Bibbia in un numero impressionante di lingue e dialetti, sorse nel 1804 proprio in conseguenza a questa spinta revivalistica. E va ricordato che anche l’emancipazione femminile trasse vantaggio dall’impegno che le donne profusero nelle attività direttamente o indirettamente suscitate dal risveglio. I ministri di culto trovarono in quegli anni nelle donne delle interlocutrici privilegiate per combattere i vizi di una società attraversata da rapidi mutamenti e toccata da una crescente diffusione del benessere. Molte associazioni femminili, soprattutto nella seconda metà del secolo, estesero il loro impegno nell'ambito delle riforme sociali, promuovendo i valori della morale, della salute e dell'igiene al di fuori delle mura domestiche. E queste attività filantropiche e assistenziali diedero loro un ruolo pubblico, dapprima nella sfera sociale e in seguito in ambito politico.

Il revival del XIX secolo si caratterizzò come fenomeno articolato e di lungo respiro. Dicevamo che esso sorse come fenomeno interno alle chiese costituite al fine di ridestarne l’assopito fervore spirituale. In genere le gerarchie ecclesiastiche, in qualche modo messe sotto accusa per il loro lassismo e l’adeguamento alla cultura illuminista e razionalista, non accolsero con entusiasmo l’evento e cercarono d’ostacolarlo, talvolta sul nascere e con determinazione. Agì così nel 1801 il Sinodo presbiteriano del Kentucky nei confronti del grandioso camp-meeting di Cane Ridge che vide la partecipazione di 20.000 persone. I suoi organizzatori furono accusati di essersi allontanati dalla Confessione di Westminster e di violare la disciplina della Chiesa. Tale rigida presa di posizione portò alla formazione nel 1803 del Presbiterio indipendente di Springfield. In genere, però, le chiese istituzionali adottarono un approccio prudente, di attesa. A cominciare dal metodismo, adesso accusato d’essersi istituzionalizzato, ma al tempo del primo risveglio sorto esso stesso all’interno d’una Chiesa (quella anglicana) e solo in un secondo momento organizzatosi come nuova Chiesa. Insomma, solo quando la reazione delle strutture ecclesiastiche esistenti si arroccò su posizioni di conservatorismo senza aperture, sorse la necessità di organizzarsi in gruppi autonomi. È anche vero che talvolta il clima di entusiasmo suscitato dal revivalismo favoriva l’emersione di atteggiamenti estremi. Ministri e semplici fedeli portati al fanatismo, possibilmente fragili sotto l’aspetto psichico o neurologico, davano sfogo a rappresentazioni di isteria collettiva, a convulsioni o anche solo a dimostrazioni esasperate di religiosità. In questi casi era comprensibile la reazione delle Chiese la cui maggioranza dei membri non si riconosceva in tali modi esasperati di esprimere la fede. Ma il vero risveglio non era questo; non consisteva nella ricerca di modalità “entusiastiche” e stravaganti di esprimere la propria fede, bensì nel porre com’era in origine la Bibbia, in quanto parola rivelata di Dio, al primo posto, sì da farla diventare la fonte d’ispirazione e la norma d’ogni aspetto della vita interiore ed esteriore. In altre parole, di costruire una vita di relazione ove il rapporto con Dio fosse concreto, diretto e prioritario. Purtroppo molte congregazioni furono dilaniate dal contrasto tra chi appoggiava quest'opportuno risveglio e chi no, finendo non di rado, alla fine, con il dividersi. E ciò avvenne soprattutto nella seconda metà del secolo, con la fuoriuscita dei risvegliati dalle loro chiese d’origine e la fondazione di nuove denominazioni. Due nomi per tutti: l’Esercito della Salvezza, fondato nel 1865 dal pastore metodista William Booth, e la Chiesa Avventista del 7° Giorno, fondata nel 1863 da fedeli di varia estrazione protestante passati per il millerismo di cui parleremo nella prossima riflessione.

Non prima però d’aver fatto notare come il Secondo Grande Risveglio americano non sia stato un fatto isolato, ma al contrario il particolare aspetto di un fenomeno diffuso sia in Europa che in qualunque altro luogo vi fosse una presenza protestante; come se dietro tale avvenimento vi fosse la regia di una mano invisibile. In Scozia il risveglio fu un processo che maturò all’esterno alla Chiesa scozzese ufficiale a causa della sua dipendenza dallo Stato e delle idee illuministiche ormai in essa radicate. Animatore di tale risveglio fu il teologo Thomas Chalmers (1780-1847), comunemente considerato la figura più eminente del protestantesimo scozzese dopo John Knox, che fondò la Chiesa Libera di Scozia, anch’essa d’ispirazione presbiteriana come la Chiesa ufficiale. In Inghilterra, invece, il fenomeno ebbe connotazioni simili a quello americano. Già il primo risveglio evangelico, nel XVIII secolo, aveva infuso nell’anglicanesimo un rinnovato spirito di devozione e una marcata sensibilità ai temi sociali ed etici, sebbene non senza la manifestazione di diversi fenomeni di contestazione e di dissenso. Nel XIX secolo divenne più evidente in quella chiesa la divergenza tra le sue due anime: quella della cosiddetta “Chiesa Alta”, più conservatrice e incline alla tradizione cattolica, e quella della “Chiesa Bassa” di tendenza protestante e progressista. È su quest’ultima che agì il Secondo Grande Risveglio che, pur senza mettere in discussione le dottrine e la struttura della Chiesa, operò dall’interno per il suo rinnovamento. La figura più importante del movimento è quella di Charles Simeon (1759-1836), dapprima fortemente contestato, poi alla guida dell’ala “evangelical” della Chiesa; molto stimato dagli studenti e dai ministri progressisti. Contribuì alla fondazione di diverse organizzazioni interconfessionali tra cui la Società Biblica Britannica e Forestiera. Più in là il clima di risveglio portò i delusi che ritenevano insufficienti le riforme all’interno dell’anglicanesimo, a fondare nuove chiese come la Cattolica Apostolica e l’Assemblea dei Fratelli. In Germania il risveglio del XIX secolo fu in buona parte uno sviluppo del movimento pietistico dei secoli precedenti. Per cui non fu avvertito come un evento di rottura con la tradizione religiosa del paese, e piuttosto deboli furono le spinte separatistiche; anche perché il pietismo aveva educato i tedeschi a coltivare il dissenso senza contrapporlo alla struttura ecclesiastica, incanalandolo in quelle congreghe interne alla chiesa che mantenevano viva la fede tradizionale insidiata dalle teologie illuministiche anch’esse molto agguerrite presso alcune facoltà teologiche luterane. Grazie a quest’azione di contrasto il razionalismo teologico non riuscì a pervadere l’intera chiesa che, anzi, finì per assorbire concezioni tipiche del pietismo come la conversione personale, la nuova nascita, la santificazione e l’evangelizzazione sino a far parte del patrimonio comune del protestantesimo ortodosso tedesco. Il principale centro di diffusione del risveglio germanico fu senz’altro Württemberg. Qui il biblicismo stretto si innestò sull’opera di Johann Albrecht Bengel (1687-1752) che aveva introdotto nel pietismo l’interesse per l’apocalittica e l’attesa escatologica. Su quest’aspetto vennero a crearsi delle incomprensioni con la Chiesa e con l’autorità civile, al punto che molti pietisti risvegliati preferirono emigrare verso la Russia meridionale e l’America settentrionale ove poter attendere in un contesto più sereno il prossimo ritorno di Cristo. Anche in Scandinavia, peraltro anch’essa luterana, l’azione di risveglio e la proclamazione del secondo avvento furono ostacolate dalle autorità al punto che la testimonianza fu affidata ai bambini che non erano penalmente perseguibili. Fautore di un’azione di risveglio nei paesi francofoni, anche in questo caso fortemente connessa alla predicazione escatologica, fu il teologo ginevrino Louis Gaussen (1790-1863). Questi, mentre era ancora studente di teologia, era stato influenzato dal razionalismo così come tanti tra il finire del XVIII e l'inizio del XIX secolo; e ciò aveva fatto sì che egli iniziasse il suo ministero animato da una fede tanto flebile da rasentare lo scetticismo. Tuttavia la lettura dell'opera di Charles Rollin sulla Storia antica lo fece riflettere sulla puntualità con cui si erano realizzate le visioni profetiche della Storia tratteggiate nel libro di Daniele. Questo gli fece recuperare fiducia nell'ispirazione della Bibbia e lo spinse ad approfondire lo studio dei libri profetici. La sua indagine seria e puntuale lo portò alla conclusione che il ritorno di Gesù fosse vicino e la scoperta di questa verità lo indusse a farne partecipi anche gli altri, a cominciare dai bambini della sua chiesa che comprendevano con chiarezza i suoi insegnamenti. Per raggiungere il maggior numero di persone egli consegnò alle stampe le sue lezioni sui testi profetici, e i suoi libri suscitarono un interesse così vivo che invogliarono molti a studiare le profezie relative agli ultimi tempi. Approfondiremo questo legame che emerge tra l'azione di risveglio e l'attesa dell'avvento nella prossima riflessione.

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