mercoledì 21 gennaio 2015

La netturbina multata

Celia Prada, la soccorritrice
Lunedì 12 gennaio a Milano, in zona Isola, un pedone di 55 anni viene investito da uno scooter; dopo un balzo in aria l’uomo ricade immobile sull’asfalto. Celia Prada, una netturbina che stava svuotando dei cestini, avendo assistito alla scena lascia giù i sacchi della spazzatura e corre ad aiutare il malcapitato. Celia, che come tutti gli operatori pubblici ha frequentato un corso di primo soccorso, si dà da fare per rianimare il pedone che a causa dell’incidente è andato in doppio arresto cardiaco e gli salva la vita. L’ambulanza che giunge poco dopo preleva l’uomo ormai fuori pericolo e lo porta in ospedale, in codice giallo. Ci si aspetta che Celia riscuota l’elogio dei presenti, giusto? E invece no. Gli automobilisti bloccati, nonostante vedessero l’uomo a terra privo di sensi, suonavano il clacson e incitavano a sbrigarsi. Come se non bastasse, quando Celia torna al proprio camioncino trova i vigili che le stanno prendendo la multa perché aveva lasciato il mezzo in sosta vietata. Alle sue proteste, questi rispondono: “Ringrazia il cielo che hai salvato una persona. Accontentati e paga la multa”. Il fatto finisce sui giornali. I cronisti indagano e interrogano tutte le figure pubbliche che possano far luce sulla vicenda che appare paradossale. Il comando della polizia urbana afferma che il mezzo dell’Amsa (l’azienda milanese per la raccolta dei rifiuti) parcheggiato a ridosso delle strisce pedonali limitava la visibilità e poteva persino essere stato la causa dell’incidente. Il medico dell’ospedale Niguarda, intervenuto pochi minuti dopo l’incidente, fornisce un’interpretazione diversa dei fatti: “L’automezzo dell’operatrice Amsa – afferma – era di lato e non impediva la visuale, come ho scritto nella mia testimonianza. All’uomo non batteva più il polso e l’intervento della donna è stato determinante. La multa è assurda – conclude – così come incivile è stato il comportamento di molti automobilisti in via Alserio dopo l’impatto”. Anche i funzionari dell’Amsa affermano che la loro dipendente stava seguendo la procedura corretta nel muoversi da un cestino all’altro e nel fermare il mezzo accanto al singolo cestino da svuotare. L’Amsa s’è inoltre detta disposta a farsi carico della multa comminata alla dipendente. Stessa promessa è venuta dall’assessore alla Sicurezza Marco Granelli: “Il suo è un gesto di grande senso civico che merita riconoscenza – ha detto Granelli –. Sono pronto a farmi carico della sanzione”. Parole dette ai giornalisti. Intanto, per non ritrovarsi con una sanzione ancora più alta, alla povera netturbina non è rimasto che pagare la multa: quasi 60 euro.

Come commentare questo episodio di “ordinaria” vita di relazione?  Dico ordinaria perché sono anni che osserviamo il vivere civile nelle nazioni cosiddette sviluppate e di cultura cristiana. Nel 2008, ad esempio, abbiamo detto degli infartuati lasciati morire davanti alla soglia del pronto soccorso di alcuni ospedali perché il regolamento non prevedeva l’uscita in strada del personale ospedaliero, o dei medici di famiglia che rapinano i vecchietti con pensione minima chiedendo loro 50 euro per un certificato. In questa vicenda il medico dell’ambulanza ne esce bene ma ne escono male tutti gli altri: gli automobilisti che si trovano la seccatura del moribondo sul selciato che impedisce loro il passaggio, i vigili che multano l’eroina che ha abbandonato il mezzo in sosta vietata, l’assessore che approfitta dell’episodio per farsi propaganda politica, lo stesso pedone investito che, una volta dimesso, non s’è curato di cercare la sua salvatrice per ringraziarla. Il prof. De Rita ha definito la nostra una “società mucillagine” che sta insieme non per integrazione ma per accostamento, una società diventata più egoista e individualista, che intende la libertà come la mera disponibilità di se stessi; ove l’unico valore che conta è il proprio immediato tornaconto, ove l’unica legge che conta è quella del mercato e gli affari sono del tutto sganciati dalla morale. Persino gl’incaricati di pubblico servizio, cioè coloro che svolgono un lavoro al servizio della collettività, spesso si limitano a seguire il regolamento pedissequamente, nel rispetto della forma ma infischiandosene dello spirito. Giusto per non avere grane ed eventualmente per strappare una gratifica o un avanzamento di carriera. Insomma, tutto in funzione di se stessi e con buona pace del concetto di “prossimo” che a malapena si ferma ai familiari o a chi può esserci utile.

Ovviamente l’egoismo non è una caratteristica soltanto dei nostri giorni. La parabola del buon samaritano raccontata da Gesù ci offre un quadretto esemplare di società solidale. In quella storia erano quasi tutti giudei: il viandante sulla via per Gerico, i predoni che lo aggredirono, il sacerdote e il levita che lo scansarono e proseguirono per la loro strada. Dico quasi, perché l’unico che si degnò di soccorrere il malcapitato fu un samaritano: uno straniero e per giunta disprezzato. E la vicenda di Milano sembra quasi la riedizione della parabola dove son tutti connazionali tranne la soccorritrice. Infatti Celia Prada, la netturbina, è peruviana, e vive in Italia dai primi anni Novanta. L’aggravante rispetto alla parabola, è che la soccorritrice è stata sanzionata. È come se il levita avesse criticato l’azione del buon samaritano, chiedendogli di scostarsi dalla strada, e il sacerdote gli avesse chiesto un risarcimento per aver fatto quello che avrebbe dovuto far lui, recando pregiudizio alla sua immagine che sarebbe stata portata a esempio negativo per i seguenti duemila anni. Ciò significa che il XXI secolo è anche peggiore del I sec. d.C.? Una differenza sicuramente c’è e adesso la faremo notare.

Ci sono sempre state civiltà che si sono corrotte, perdendo la propria coscienza etica e religiosa. Anzi, ogni civiltà passa e ripassa per questa fase crepuscolare. Lo storico e filosofo Benedetto Croce, nel raccontare la Storia dell’Europa nel XIX secolo, indica questo percorso involutivo dovuto ad una progressiva perdita di valori. Quelli fondanti della civiltà europea derivanti dalla fede nella religione, nel razionalismo, nell’illuminismo e, in qualche modo, persino nel liberalismo. Sostituiti da un arrogante bismarckismo e industrialismo che avevano finito per foggiare “un torbido stato d’animo, tra avidità di godimenti, spirito di avventura e conquista, frenetica smania di potenza, irrequietezza e insieme disaffezione e indifferenza, com’è proprio di chi vive fuori centro, fuori di quel centro che è per l’uomo la coscienza etica e religiosa”. La conseguenza di questo squilibrio etico, di questa miscela di edonismo, irrequietezza e indifferenza, furono le due guerre mondiali del XX secolo. Poi ci fu la ricomposizione dei valori e la ricostruzione, con il boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta. Dopodiché una nuova perdita di valori a partire degli anni Settanta, con il ritorno ad un quadro simile a quello dell’Europa nella seconda metà del XIX secolo. Simile ma non identico. Manca infatti nell’attuale fase l’aggressività militare. Permane quella economica, aumenta quella sociale, ma quella militare latita. È come se le due terribili guerre mondiali, scatenate proprio dall’Europa, avessero prodotto degli anticorpi nel vecchio continente che hanno finora contrastato la rinascita del militarismo. E poi ovviamente c’è il deterrente dell’arma nucleare che scoraggia il ricorso alla guerra tra le grandi nazioni. Questo può sembrare un dato positivo, ed indubbiamente per molti aspetti lo è perché le guerre sono delle tragedie immani. Però è anche vero che le guerre da sempre hanno rappresentato un fattore riequilibrante nell’accumularsi delle ingiustizie che produce il vivere sociale. Hegel esaltava la guerra come strumento per preservare la “salute etica” di un popolo. La paragonava all’effetto rigenerante del vento: “Come il vento smuovendo le acque impedisce loro di ristagnare, la guerra impedisce allo stesso modo agli stati di fermarsi e corrompersi” (Lineamenti di filosofia del diritto, 1821). Agli israeliti che si corrompevano moralmente, Dio minacciava l’invasione da parte dei popoli stranieri. È come se la guerra resettando l’accumulo di posizioni giuste e ingiuste, facesse ripartire daccapo i popoli toccati dalla distruzione. E inoltre, dato che l’animo umano dà il meglio di sé nelle crisi umanitarie, i periodi di ricostruzione post-bellica sono caratterizzati da minore ingiustizia sociale. Oggi tutto questo manca e paradossalmente accelera la perdita dei valori. Le nostre società diventano delle “poltiglie di massa”, sfilacciate, inconcludenti e senza sguardo al futuro, per dirla con De Rita. Inibite a farsi la guerra tra di loro, concentrano l’aggressività nel vivere sociale; anzi, fanno dell’aggressività la modalità espressiva quotidiana in un crescendo sempre più esasperato di egoismo e individualismo. Questa tendenza non si fermerà. All’episodio di Milano, state certi, che ne seguiranno altri ancora peggiori; ce lo prospetta il discorso profetico di Gesù: “E perché l’iniquità sarà moltiplicata, la carità dei più si raffredderà” (Mt 24:12). Finché l’aggressività sociale raggiungerà un tale parossismo da togliere inibizione anche alla guerra, una bella guerra feroce e generalizzata, che stavolta, come intuì il generale Eisenhower, vedrà tutti perdenti.

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