domenica 24 febbraio 2008

Conflitto di civiltà

Spesso negli articoli dei giornali o nei dibattiti televisivi si sussurra la raccomandazione di non fare il gioco dei fondamentalisti islamici, i quali, con le loro inaudite provocazioni, perseguirebbero proprio l’obiettivo di portare l’Occidente “crociato” a reazioni inconsulte e quindi di trascinarlo nel tanto temuto conflitto o scontro di civiltà. Ben venga ovviamente la prudenza che non raccoglie la provocazione. Tuttavia ogni volta che sento paventare questo timore non posso evitarmi di considerare il disorientamento in cui versa la nostra civiltà. Il torpore che c’impedisce di prendere atto che nel conflitto ci siamo già dentro. O, forse, sarebbe meglio dire ci siamo sempre stati. Erich Fromm osservava argutamente che, sebbene nominalmente ci richiamiamo al Figlio di Dio come nostro modello ed eroe cristiano per eccellenza, in realtà il riferimento a cui s’ispira il nostro agire rimane l’eroe pagano: quello che nella tradizione mitologica agiva per proprio merito e in vista della propria gloria. Cristo nelle chiese e l’eroe pagano nelle strade e nei palazzi che contano. Noi definiamo la nostra civiltà: ebraico-cristiana, ma tacciamo sul fatto che in essa il Dio della Bibbia è costretto a convivere con gli dèi dell’Olimpo: noi non ci siamo mai emancipati dal retaggio pagano delle nostre origini. E queste due anime hanno sempre convissuto: talora tentando mostruose integrazioni, quasi sempre beccandosi, così come i due polli di Renzo Tramaglino. E in preda a queste contraddizioni ci siamo lanciati alla conquista del mondo: per civilizzarlo, abbiamo detto. I missionari per portare la fede, talvolta per imporla. I vari conquistadores per asservire e depredare. E questo colonialismo predatorio in realtà non è mai finito. Ci vantiamo d’avere esportato il progresso e la democrazia, ma in realtà noi siamo ancora quelli che impongono l’oppio con le cannoniere. Vendiamo allegramente le nostre armi ai regimi che massacrano le loro genti o che fanno le guerre dei poveri. I nostri governi impongono dazi ai prodotti agricoli del terzo mondo e le nostre compagnie li acquistano per due soldi. Sempre per pochi spiccioli costringiamo i bambini a respirare toluene per produrre le scarpe che rivendiamo nei nostri negozi a prezzi da estorsione. E i nostri petrolieri, finché hanno potuto, non si sono arricchiti alle spalle di chiunque? Cosa c’è di cristiano in tutto questo? Noi abbiamo soprattutto esportato il modello dell’eroe pagano. Abbiamo esportato l’etica della circostanza e persino l’ateismo che abbiamo inventato noi. Lo abbiamo chiamato, con un eufemismo, laicismo. Lo Stato è laico, e fin qui niente di male finché s’intende separazione e non, come spesso è avvenuto, sopraffazione dei poteri. Anche la scienza è laica; ma qua in modo più sottile si nasconde quel conflitto di civiltà, interno alla cultura occidentale, di cui stiamo dicendo. Lo scienziato laico può essere quello che nel suo campo s’impone d’adoperare solo il metodo della scienza, ma molto più spesso è quello che in un simposio si lascia sfuggire: “Che alternativa abbiamo al darwinismo? Dovremmo forse ammettere che esiste un Creatore?”. E la filosofia laica? Ecco le parole di un filosofo italiano contemporaneo: “È volgare già l’idea stessa di un Dio che intervenga personalmente nelle vicende quotidiane dell’umanità”. Così insegniamo ai nostri figli, ma anche ai figli degli scintoisti, dei taoisti e degli induisti. Siamo orgogliosi d’esportare il nostro laicismo. Andiamo per tutto il mondo ma per predicare un evangelo ben diverso da quello del mandato cristiano, e tuttavia non esitiamo a riconoscerci culturalmente cristiani e c’indigniamo quando qualcuno chiede di togliere il crocifisso dalle aule delle scuole e dei tribunali. Poi arriva il dream-team di Bin Laden e butta giù le torri degli studi legali da dieci milioni di dollari a parcella. Il novello vendicatore ringrazia il suo dio “benigno e misericordioso” e noi ci chiediamo stupiti il perché di tanta ostilità nei nostri confronti. Scopriamo così che esiste il popolo di un altro libro che non accetta di lasciarsi omologare. Che si scandalizza e stigmatizza i nostri vizi allo stesso modo del Libro in cui affermiamo d’ispirarci; ci accusa di rapacità, d’immoralità e di disprezzo per la religione. Certo, è un popolo ancora fermo ai secoli del medioevo (non a caso esso, contando gli anni dall’Egira, si colloca nel 1427). Come l’Europa medievale esso discrimina le donne, rifiuta il concetto di democrazia, condanna l’apostasia, contempla il reato d’opinione, crede nella guerra santa, esprime il suo dissenso con modalità rozze e sbrigative… ma ciò non rende meno fondate le sue accuse. Noi c’illudiamo, facendo leva sulla parte “moderata” del mondo musulmano di laicizzarlo. In realtà avviene il contrario: la sua intolleranza sta scuotendo le nostre contraddizioni. Le due torri sono in fondo la metafora delle due anime, costrette a convivere ma inconciliabili, che caratterizzano la nostra civiltà.

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(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 15 ottobre 2006)