domenica 24 febbraio 2008

La rete dei mercanti

Mi ha colpito la notizia del numero elevato di studenti che si tolgono la vita nei campus americani. Appartengono alle classi sociali più privilegiate, non hanno problemi economici, sono coloro che occuperanno i posti di comando della nazione. Eppure un bel giorno lasciano aperto il libro su cui stavano studiando e si gettano dall’ultimo piano della biblioteca. Per le università è ormai emergenza e si cerca di correre ai ripari: si sottopongono gl’iscritti a test specifici e quelli che risultano a rischio devono frequentare appositi programmi di counseling, pena l’espulsione. Anche coloro che tentano il suicidio vengono rispediti a casa. Non è dato sapere quali provvedimenti siano presi nei confronti di chi riesce nel suo proposito, commenta ironicamente uno degli articoli che riporta la notizia. Ed è proprio questa battuta, a mio avviso, che ci fornisce la vera chiave di lettura del fenomeno. Infatti la risposta delle istituzioni appare motivata, più che dal sincero desiderio di aiutare questi ragazzi, dall’esigenza di autopreservarsi. La scuola, preparando i professionisti di domani, perpetua il sistema dei rapporti nelle nostre società che sono prevalentemente economici. La legge del mercato e la competizione cominciano dai banchi di scuola. E ancor prima, dalla famiglia. Questa impostazione è quella di tutti i paesi industrializzati. Durkheim, nel suo trattato sul suicidio del 1897, ne attribuisce la colpa alla crisi dei gruppi. C’è del vero in questo riferimento: sparita la famiglia patriarcale, l’unica rete in cui ci si trova impigliati è quella delle relazioni opportunistiche volte al profitto e all’autorealizzazione. Non c’è più il conforto né della religione né dell’amore nelle sue varie espressioni. Gl’ideali morali cedono il posto alla sirena luccicante dei consumi che promette tanto ma si risolve in un vuoto terribile dell’anima, nella disperazione per mancanza di prospettive profonde. “Molti adolescenti e giovani avvertono la propria esistenza come un camminare senza meta; non riescono più a dare continuità e unità a ciò che vivono e diventano vittime di un senso di impotenza. Oggi accanto a giovani capaci di una ricchezza straordinaria, ne esistono altri, troppi, che soffrono una sorta di stanchezza confusa che blocca ogni rapporto e ogni relazione”. È la riflessione di mons. Severino Pagani, responsabile del servizio di Pastorale giovanile della diocesi di Milano, sul fenomeno in aumento dei suicidi giovanili. La rete delle relazioni opportunistiche è balorda, inopportuna, micidiale. Sembra una risorsa ma si rivela una trappola. È inconsistente e flaccida dove dovrebbe sostenere: non sa condividere la gioia e s’eclissa nel momento del bisogno. Al contempo è più inesorabile e invadente d’una maglia d’acciaio nell’imporre la legge del mercato in ogni aspetto della vita. Questo paradosso è colto da mons. Pagani quando osserva che gli spazi di libertà individuale di chi si trova in quest’ingranaggio sono solo apparenti: "La debolezza delle relazioni introduce il pericolo di una disintegrazione della persona la quale non è più sovrana di fronte al tempo, agli eventi e all'organizzazione dei suoi giorni. Paradossalmente, alla continua affermazione di libertà, si accompagna l'impossibilità di progettare, di dare senso all'oggi e al domani, di legare il passato con il futuro". Questa sindrome del topo in trappola è, certamente, soprattutto avvertita quando il contesto non ha consentito lo sviluppo di una dimensione spirituale. Il cristianesimo insegna che Dio ha un piano per la nostra vita. Le difficoltà – quando non siamo noi a cercarle – sono parte voluta del progetto di crescita. Il suicidio usurpa un potere che appartiene solo a Dio perché pone termine a questo piano in modo arbitrario. Se non vi fosse in molti questa consapevolezza, dovremmo attenderci in Occidente un’ondata persino più consistente di suicidi. Possiamo corroborare questa supposizione confrontando la nostra realtà con quella d’un altro paese fortemente industrializzato: il Giappone. Lì, anziché esportare i nostri principi morali, abbiamo esportato il nostro modello di sviluppo. I giapponesi hanno assimilato benissimo il modello insieme ai suoi inconvenienti: Il tasso di suicidio è in quella landa ancora più elevato che da noi. Gli esperti spiegano questo fenomeno con la diversa etica religiosa di quel popolo. Le due principali religioni lì professate, lo scintoismo e il buddismo, non considerano la vita come dono divino e quindi mancherebbe la remora religiosa di cui abbiamo detto. Ciò spiegherebbe la ragione per cui la pratica del suicidio ha potuto radicarsi in quella società sino a divenire un modo onorevole per “togliere il disturbo”. La nostra influenza non ha fatto che peggiorare le cose. Non intendo con ciò dire che tutti i suicidi nel mondo avvengano sempre per causa nostra. Pensiamo a quante donne si tolgono la vita in quelle nazioni ove alta è la discriminazione sessuale e la violenza domestica. Così avviene nei paesi di cultura indiana, in Cina, in molti paesi islamici. Gli ospedali iraniani ricoverano giornalmente decine di donne che hanno cercato di farla finita. Però spesso noi c’entriamo, e pure pesantemente, sia esportando modelli sia esportando miseria. Pensiamo al suicidio dei piccoli agricoltori indiani (16.000 nel solo 2004) in cui è innegabile la mano dei paesi ricchi. La cosiddetta “Rivoluzione Verde” ha rovinato la vita a molti contadini del Sud del mondo, con la complicità delle istituzioni mondiali del credito e del commercio e per la politica senza scrupoli delle multinazionali delle sementi, dei pesticidi e dei fertilizzanti. Qui si può parlare di induzione o esportazione del suicidio. Ovunque stiamo o andiamo, la nostra cultura mercantilistica esercita oppressione e scoraggia i legami d’amore. Chiunque finisce nell’ingranaggio, a cominciare dai nostri ragazzi, ha buone probabilità di finire stritolato. “I tuoi mercanti – si legge in Apocalisse 18 – erano i padroni del mondo”. In questo scenario escatologico i rapporti umani sono soprattutto descritti come una mera relazione tra mercanti: che dominano, che si arricchiscono, che piangono quando, grazie al cielo, vien posta fine alla cuccagna.

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(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 12 novembre 2006)