martedì 26 febbraio 2008

Voi chi dite che io sia?

Alcuni giorni fa ho atteso fino a notte tarda per rivedere un vecchio film di Pasquale Festa Campanile: “Il Ladrone”. È la storia di Caleb, un furfantello galileo contemporaneo di Gesù che ammirava il Maestro non come Messia bensì per la sua capacità di compiere prodigi che egli considerava capolavori d’illusionismo. Finché… non assistette alla risurrezione di Lazzaro. Rispetto al romanzo dello stesso Festa Campanile, il film è stato accusato di perdere in sottigliezza per mirare al successo di cassetta. Condivido. Però bisogna ammettere che Enrico Montesano ce la mette tutta per rendere simpatico e familiare il personaggio di Caleb. Ma soprattutto mi affascina la figura di Cristo interpretato con grande misura dall’attore Claudio Cassinelli, scomparso purtroppo qualche anno più tardi. È solo un romanzo, Gesù non sprizza espressività, rimane sempre sullo sfondo. Eppure mi ha toccato ben più che in altri lavori volutamente più ambiziosi. Non so darmene piena ragione. Certo le musiche di Morricone aiutano, ma non bastano a spiegare. Forse nei film dove il Nazareno è stato personaggio principale, i realizzatori lo avrebbero regolarmente caricato di significati soggettivi, soffocando così l’immediatezza e la freschezza del racconto evangelico. È come se tali film fossero stati anzitutto concepiti per comporre in chiave “laica” le inquietudini di chi vi ha messo mano. Un dato di fatto è che la competenza da sola non basta. Si legge in 1 Corinzi 2,14: “Ma l'uomo che non ha ricevuto lo Spirito di Dio non è in grado di accogliere le verità che lo Spirito di Dio fa conoscere. Gli sembrano assurdità e non le può comprendere perché devono essere capite in modo spirituale”. Cosa c’è di più spirituale del mistero dell’incarnazione? Chi non può intenderlo sul piano spirituale può solo considerarlo una follia o un fraintendimento. “Ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri pazzia” (1, 23). Queste almeno sono le considerazioni che mi son salite alla mente alla fine di ogni proiezione. Ogni versione, a modo suo, avrebbe cercato di rispondere alla domanda posta da Gesù ai suoi discepoli: “Voi chi dite che io sia?”. E ognuno ha detto la sua: “Tu eri un giovane in lotta con la società e con te stesso. Non tanto Figlio di Dio quanto piuttosto un Messia essenzialmente umano, un possibile liberatore d’Israele dalla schiavitù di Roma” (“Il Re dei Re” di Nicholas Ray). “Eri una presenza grave e solenne, a tratti funerea, ma soprattutto un’ottima occasione per metter sù uno spettacolo suggestivo in cinemascope” (“La più grande storia mai raccontata” di George Stevens). “Sei stato un grande uomo che ha cominciato a fare la “superstar” definendosi Dio, che ha compiuto un grande sacrificio tuttavia inutile e incomprensibile dal momento che eri soltanto un uomo” (“Jesus Christ Superstar” di Norman Jewison). “Eri un uomo, convinto d’essere Dio, ma profondamente onesto. Il primo vero rivoluzionario, che voleva portare il bene ed è stato ucciso da quelli che vincono sempre” (“Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini). “Eri uno che scherza poco, perfetto, vero Dio, ma sostanzialmente astratto” (“Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli). “Ti ho raccontato da una prospettiva minimalista e laica. Un falegname, un uomo mite, praticamente un santone indiano” (“Il Messia” di Roberto Rossellini). “Nulla da ridire sulla tua natura divina, ma soprattutto ho voluto concentrarmi sul tuo essere uomo in carne e ossa. Ti ho raccontato da una prospettiva più che ecumenica; pur di non disturbare l’identità di altri come ebrei e musulmani ho preferito mettere in discussione la mia di cristiano e ho cercato un compromesso che vada bene per tutti” (“Jesus” di Roger Young). “Altri hanno parlato dell’amore. Io mi soffermo sulla giustizia. Ho visto in te l’agnello sacrificale che, prima d’impugnare la spada dell’Apocalisse, accetta la violenza inaudita che gli riserva questo mondo popolato da nemici e diviso nettamente tra fedeli e infedeli” (“La Passione di Cristo” di Mel Gibson). E così di seguito. Non voglio dire che in ognuno di questi film non vi abbia trovato scene suggestive o spunti di riflessione. No. Prendiamone uno per tutti: “Jesus” di Roger Young. La critica è stata poco tenera con questo prodotto d’alto budget, coprodotto dalla Rai. È stato definito, oltre che timoroso e autolesionista, didascalico, superficiale, noioso e persino senz’anima. Eppure quanta suggestione in quelle attualizzazioni che ricordano il Figlio come persona eterna e viva, oggi come ieri. La guerra moderna, Satana in doppiopetto (interpretato da un impagabile Jeroen Krabbé), il Risorto in jeans che gioca, ride e danza con i ragazzi d’oggi. Trovo infatti positiva anche la rappresentazione di un Gesù che sa ridere e scherzare. Che ama la vita e la convivialità. Forse qui si è calcata troppo la mano, probabilmente però per compensare il cliché ingiustificato di un Cristo “santino” oleografico, sempre austero o addolorato, “staccato dalla realtà, – come osservò quel giovane – uno che mette una certa soggezione, uno sempre molto serio, che scherza poco. Gesù lo immagino molto più umano, molto più umile, molto più simpatico ed accessibile, più spettinato anche…”. Non pochi spunti di riflessione per un film così criticato, vero? Eppure, tornando a Pasquale Festa Campanile, quanto maggiore fascino in quel Cristo di Cassinelli! In effetti poco espressivo, tutt’altro che invadente, ma vero uomo e vero Dio, che opera con discrezione e al contempo con autorevolezza. In un mondo secolarizzato e “distratto”, forse è proprio questa combinazione di potenza e di discrezione che lo rende così sobriamente ineluttabile. Presi dagli ozi e dai negozi che scandiscono la nostra giornata, Gesù sembra passarci a fianco di tanto in tanto, e abbiamo difficoltà a riconoscere per tali i suoi prodigi mai gridati, e come Caleb siamo pronti a interpretarli con le nostre categorie inadeguate e fuorvianti. Finché, ad un comando perentorio, Lazzaro non viene fuori…

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(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 16 dicembre 2006)