domenica 24 febbraio 2008

Il prezzo di tutto e il valore di niente

Di questi giorni la notizia che sono in aumento i reati informatici e i delitti compiuti tra le mura domestiche. I primi costituiscono il naturale adattamento dell’azione criminosa all’evoluzione tecnologica. Sono certamente un segno del nostro tempo, come lo sono d’altra parte anche i secondi. Questi anzi colpiscono maggiormente e giustamente la nostra attenzione, poiché la casa è il simbolo della sicurezza, della protezione, essa richiama l’idea del rifugio. Invece apprendiamo che parenti e vicini uccidono più della criminalità comune e di quella organizzata messe assieme. La maggioranza degli omicidi rilevati avviene all’interno della coppia: si uccide il partner perché si scopre un tradimento o perché non si accetta la separazione. Ma anche per un accumulo di conflittualità e per ragioni economiche. I coniugi separati si uccidono perché non accettano che l’altro abbia una nuova relazione, in sede di spartizione del patrimonio e di definizione dell’assegno o nella contesa per l’affidamento dei figli. La seconda tipologia d’omicidio tra le mura domestiche è il figlicidio e in particolare l’infanticidio. Tra il 1993 e il 2003 questo crimine è cresciuto del 41%. Sempre più spesso il genitore che uccide il proprio bambino compie questo gesto efferato senza la mediazione della malattia mentale; non è cioè affetto da una patologia psichiatrica, neppure transitoria quale può essere la depressione postpartum. Il terzo omicida “dal volto amico” è il figlio. Il parenticidio, l’uccisione di entrambi i genitori, in vent’anni è cresciuto del 1.600%. Ed anche qui, la maggior parte delle volte, la malattia mentale non c’entra. Quasi sempre il genitore viene eliminato per accumulo d’ostilità e “per soldi”. Il fratello, come ci ricorda la Genesi, è il killer più antico da cui guardarsi. Egli uccide per gelosia e, più in là, in sede di spartizione dell’eredità. Esperti in bioetica, criminologi, psichiatri e sociologi vengono interpellati per interpretare questo inquietante fenomeno. Essi ci spiegano che la famiglia sta attraversando una crisi profonda e con essa anche la società. Questa è tutta protesa nell’acquisizione di un sempre maggiore benessere materiale a cui si accompagna la desertificazione morale e affettiva. I genitori, presi a perseguire i loro obiettivi di carriera e di consumo edonistico, hanno poco tempo da offrirsi reciprocamente e da dedicare ai figli, oltre che valori discutibili da trasmettere. Persino la rete degli affetti viene distorta dalla modalità consumistica e percepita come possedimento di persone-oggetti da acquisire o da dismettere secondo l’utilità. Una modalità sbrigativa di dismissione è la soppressione, cioè l’omicidio. Così, quando l’altro diviene motivo di stress od ostacolo nel perseguimento di un obiettivo, che riteniamo irrinunciabile, semplicemente lo eliminiamo. I figli, cresciuti in questo clima perché dovrebbero comportarsi diversamente? Abituati ad essere trattati come oggetti e rabboniti con oggetti finiscono per considerare oggetti anche i genitori. Se invece di ricevere affetto e considerazione ottengono la macchina, bei vestiti e soldi, mamma e papà diventano per loro dei semplici dispensatori di soddisfazioni materiali. Dei salvadanai da rompere all’occorrenza, per usare un’immagine suggerita dallo psichiatra Vittorino Andreoli. Quello appena trascorso è stato il secolo delle utopie più promettenti e vicine alla realizzazione: si sono sperimentate nuove forme di governo, e la rivoluzione scientifica e tecnologica lasciava presagire benessere per tutti e la soluzione di tutti i problemi dell’umanità. Ci si è liberati della religione come dell’ultima delle superstizioni. Ma è pure stato il secolo delle promesse mancate perché chi aveva riposto fiducia in quelle rivoluzioni è rimasto deluso. Molti si sentiranno sollevati dal fatto che il Cristianesimo sia emigrato altrove nel mondo, tuttavia cosa ci resta da stringere in cambio? Secondo il sociologo Sabino Acquaviva, ecco cosa ci resta: un continente scettico, edonista, senza ideali, impegnato nel vivere la sua piccola realtà giorno dopo giorno. I centri commerciali hanno preso il posto delle cattedrali e noi siamo trasformati in pigri consumatori di beni, servizi e messaggi funzionali al sistema. Ormai – usando un’espressione di Oscar Wilde – noi conosciamo il prezzo di tutto e il valore di niente. Il collasso della famiglia e l’eclissi della civiltà europea sono aspetti di un medesimo fenomeno che si ripete. Era già successo con il degrado dei valori morali che precedette la caduta dell’impero romano: l’arrivo nell’urbe di una folla di schiavi ellenici, spesso più colti e istruiti dei loro padroni ma portatori di costumi e abitudini decadenti, com’era d’attendersi, stimolò nei romani la crescita del livello culturale ma anche la perdita dei valori ancestrali – il mos maiorum – e la struttura della famiglia non sfuggì a questo sconvolgimento. Nel Vangelo il cedimento dei rapporti familiari viene posto come indicatore di crisi epocali: “Il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li metteranno a morte” (Mc 13,12). E Gesù raccomandava di cogliere questi segnali: “…non sapete capire il significato di ciò che accade in questi tempi?” (Mt 16,3).

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(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 22 ottobre 2006)