lunedì 10 marzo 2008

Adamo, dove sei?

Man mano che gli studi di archeologia sul Medio Oriente proseguono, emerge un quadro che tende a confermare l’autenticità del contesto in cui viene situata la storia dell’umanità nei primi capitoli della Genesi. Appaiono pertanto sempre meno giustificabili quelle posizioni che tendono a relegare rigidamente tra le nebbie del mito o dell’allegoria la storia biblica della prima umanità. Non bisogna tuttavia nascondere i problemi di concordanza tra l’antropologia scientifica e l’antropologia biblica dal momento che si assume come storico il racconto della Genesi, al punto da dover definire la misura e i termini di tale storicità.

In altre parole, volendo dare una lettura il più possibile storica al racconto biblico delle prime vicende umane, è inevitabile chiedersi: dove collochiamo Adamo ed Eva nel quadro evolutivo definito dalla paleoantropologia sulla base delle testimonianze fossili, dei dati forniti dalla biologia molecolare e delle tracce lasciate dall’attività umana? E ancora: fin dove ci si può spingere nel considerare letterale tale racconto? Si è molto ragionato su quest’argomento che appare come un rompicapo di non facile soluzione. Prima di accennare a tali riflessioni, è utile riassumere il suddetto quadro evolutivo a beneficio di coloro che ne hanno poca dimestichezza.

Il processo, che prende il nome di ominazione, registra il passaggio da una fase preumana al tipo umano attuale attraverso la successione di forme intermedie sempre meno primitive di ominidi. La fase preumana sulla linea filetica dell’ominazione si è voluta vedere negli Australopiteci. Primati, questi, che si distinguevano dalle attuali scimmie antropomorfe per il possesso della stazione eretta. In base alla documentazione fossile si è potuto risalire a una diecina di specie di australopitecine raggruppabili nei due tipi gracile (onnivoro) e robusto (vegetariano); per semplificare, uno scimpanzé e un gorilla dotati di gambe e piedi sostanzialmente umani. Vissero in Africa tra i cinque milioni e un milione di anni fa.

Attorno ai due milioni d’anni fa troviamo, accanto agli Australopiteci, dei primati dotati di un volume encefalico di 650-800 cc, a fronte dei 400-450 cc (di poco superiore a quello degli attuali scimpanzé) delle australopitecine. Insieme ai loro resti furono rinvenuti ciottoli scheggiati intenzionalmente lungo il margine di una o entrambe le facce. Per tale ragione a questi primati fu attribuito il nome di Homo habilis. Altra capacità tipicamente umana che si attribuisce loro è quella di esprimersi mediante un linguaggio articolato; lo si deduce da un certo sviluppo delle aree cerebrali deputate alla fonazione (area del Broca) e alla comprensione del linguaggio (area del Wernicke) le cui impronte si riscontrano sul calco endocranico.

Sempre in Africa orientale troviamo i resti del primo Homo erectus risalenti ad 1,6 milioni d’anni fa. Il cranio di questo ominide ha tratti più massicci e robusti rispetto a Homo habilis, ma possiede un volume encefalico di 900-1000 cc. L’erectus per molti aspetti può essere considerato umano. Sa costruire con competenza e su progetto ben definito i suoi utensili. Ha una vita sociale ben strutturata. È raccoglitore ma anche cacciatore, capace di attuare strategie complesse e raffinate. Conosce l’uso del fuoco. Ha piena padronanza del territorio; sa come ripararsi, come procurarsi le materie prime e il cibo. Fu il primo emigrante che si spinse fuori dall’Africa ed invase l’intero continente euroasiatico. Si estinse attorno ai 100 mila anni fa.

Tra i 200 mila e i 100 mila anni fa vi fu un passaggio graduale tra l’erectus e l’Homo sapiens, tanto che per alcuni reperti si è in dubbio se classificarli come erectus evoluti o sapiens arcaici. L’ultima specie a divergere prima dell’emersione dell’uomo moderno è l’Homo sapiens neanderthalensis, vissuto nell’Europa dell’ultima glaciazione ed estintosi circa 28 mila anni fa. Corporatura tozza, arti robusti, adatti al clima freddo, e massa cerebrale persino maggiore di quella degli uomini moderni. I neandertaliani padroneggiavano una cultura materiale avanzata ma trovavano anche il tempo per qualche forma di pensiero religioso; seppellivano, infatti, con molta cura i loro morti insieme a fiori, cibo ed armi, dimostrando di credere in una vita ultraterrena.

L’Homo sapiens sapiens emigra dall’Africa circa 100 mila anni fa. È l’uomo anatomicamente moderno, dai tratti somatici ingentiliti rispetto alle specie che lo hanno preceduto e dalla massa cerebrale che può toccare i 1800 cc. Dapprima la sua cultura non differisce da quella neandertaliana, se non per oggetti d’ornamento personale. Ma ben presto il suo potenziale intellettivo cominciò ad esprimersi in ogni campo ed egli divenne la specie dominante, ovunque diffusa nel pianeta. Arte e religione si fondono in quella testimonianza impressionante che sono i graffiti e le pitture rupestri del Paleolitico superiore, risalenti soprattutto all’ultimo periodo: il Maddaleniano, non per nulla considerato l’epoca d’oro della preistoria. Pensiamo agli affreschi di Altamira o di Lescaux ad opera dei Cro-Magnon, i più antichi sapiens sapiens d’Europa! Subito dopo, circa 10 mila anni fa, quando l’ultima glaciazione lascia il posto a condizioni climatiche favorevoli, egli è artefice della rivoluzione neolitica.

Dopo questa importante premessa, torniamo al quesito d’apertura sulla concordanza tra il libro della Genesi e quello della natura. Australopiteci, Homo habilis, Homo erectus, Homo sapiens neanderthalensis, Homo sapiens sapiens: dove vogliamo collocare Adamo e di quale umanità egli sarebbe capostipite? In molti hanno tentato di dare una risposta a questa intrigante domanda.

I creazionisti letteralisti, pur di salvare l’interpretazione letterale della Genesi, respingono tutte le datazioni della scienza ufficiale e ricostruiscono la storia naturale in modo che possa concordare con quanto la Bibbia sembra sostenere. Premesso che la creazione dell’uomo non possa essere più antica di 10 mila anni, essi considerano posteriori tutti i fossili umani. Come gli Australopiteci anche Homo habilis sarebbe solo una scimmia. Degli altri tipi umani le differenze vengono minimizzate o attribuite ad alterazioni provocate da malattie del sistema osseo. Le glaciazioni pleistoceniche, durate oltre 1,5 milioni d’anni, vengono ridotte ad una, brevissima, collocata subito dopo il diluvio. Adamo viene di fatto collocato a monte di Homo erectus.

Una seconda soluzione del problema è quella di porre gli avvenimenti narrati nella Genesi in un passato remotissimo e quindi inverificabile. In questo modo si salvaguarderebbe sia l’interpretazione letterale di quegli eventi sia lo schema tracciato dalla paleontologia, salvo piccoli aggiustamenti. In realtà gli aggiustamenti richiesti da questa soluzione sono tutt’altro che piccoli. Bisogna supporre infatti lo sviluppo di una civiltà tecnologica ai primordi del Paleolitico – di cui non sarebbe rimasta traccia alcuna – seguita da un periodo di degenerazione a un livello pressoché scimmiesco di alcuni gruppi umani, per poter giustificare la presenza delle specie precedenti all’uomo anatomicamente moderno. A ben vedere, uno scenario che scontenta sia la scienza sia l’esegesi biblica in difficoltà a collegare un Adamo del Paleolitico inferiore con la storia dei Patriarchi.

Una terza soluzione è stata suggerita da studiosi di scuola concordista. Al contrario della prima, per il rispetto dello schema paleontologico è più disponibile a stiracchiare il testo biblico. Anche in questo caso Adamo viene collocato nel Paleolitico, ma la mutazione fatidica viene posta tra l’Homo erectus e le specie seguenti. In questa cornice, c’è chi ha visto nell’Homo sapiens sapiens la discendenza di Seth, il terzogenito della coppia edenica, e nell’Homo sapiens neanderthalensis la stirpe di Caino. Della serie brutti e cattivi. Al di là d’ogni ironia, rimane il fatto che vicende contestualizzate in uno scenario decisamente neolitico vengono trasferite di peso nel Paleolitico medio con scarso rispetto del racconto biblico.

Un’ultima soluzione proposta consente di collocare gli eventi narrati nei primi capitoli della Genesi in uno scenario rispettoso del loro contesto che è sostanzialmente quello neolitico. E man mano che avanzano, gli studi sulla preistoria dimostrano la fondatezza di questa opzione. È quella, a mio avviso, più ragionevole nonostante anch’essa possa in parte spiegarsi solo per ipotesi. È quella a cui, fino a miglior suggerimento, aderisco sia pur con qualche aggiustamento. Dunque Adamo sarebbe il padre dell’umanità neolitica, e i suoi discendenti coloro che hanno introdotto l’economia agricola e la pastorizia. Va da sé, però, che questa collocazione non fa della coppia edenica la progenitrice dell’intera umanità: sia di quella che la precedette sia, verosimilmente, di buona parte di quella che la seguì. Come metterla allora con gli uomini vissuti anteriormente al Neolitico? C’è chi ha suggerito di considerarli tutti “ominidi”, compreso l’Homo pictor, i Cro-Magnon del Maddaleniano di cui abbiamo detto. Abili artisti ma, secondo questa tesi, incapaci di afflato spirituale. Coerenza vorrebbe che tutti i gruppi umani dei nostri giorni discendano dalla coppia edenica compresi i Boscimani del Kalahari e gli aborigeni australiani, poiché se invece costoro si fanno discendere – come la scienza ha buon gioco a dimostrare – direttamente da progenitori paleolitici allora bisognerebbe considerare anch’essi “ominidi” esclusi dalla redenzione.

Ma su quali basi considerare l’uomo paleolitico diverso da quello neolitico? Concediamolo pure per l’Homo erectus che gettava i propri morti in discarica, lasciando presumere che non si ponesse domande d’ordine esistenziale. Ma le sepolture del neandertaliano indicano chiaramente che questi credeva in una vita ultraterrena. A maggior ragione come si fa a non riconoscere un fratello nel sapiens sapiens del Maddaleniano? Non solo per le sue sepolture, ma ancor più per le testimonianze artistiche che ci ha lasciato e che sentiamo così vicine alla nostra sensibilità spirituale. D’altronde Lescaux non è soprannominata la “Cappella Sistina della preistoria”?

Ma allora in cosa Adamo ebbe più, fu diverso, persino necessario? Questa domanda, per rispetto pure del racconto biblico, è strettamente connessa al discorso sull’ingresso del male nel mondo e sulla promessa di redenzione. Il creazionista fissista, prendendo alla lettera il racconto della creazione, fa entrare il male e la sofferenza nel mondo in conseguenza alla ribellione in Eden. Il creazionista “evolutivo”, invece, pensa al fenomeno della predazione – connesso inevitabilmente all’idea di violenza, sofferenza e morte – che è ben precedente alla comparsa dell’uomo sulla terra. Ma pensa pure al cosiddetto “Giardino di Ediacara”. Cioè alla prima esplosione di vita marina – di cui appunto la fauna di Ediacara è la prima testimonianza riscontrata – che non porta ancora i segni della violenza. Il mondo precambriano, infatti, era un paradiso dove non si uccideva per mangiare. I predatori comparvero nel Cambriano e da allora i viventi furono molto impegnati ad offendersi e a difendersi; apparvero le chele, le zanne, gli artigli, ma anche il mimetismo, la fuga, le corazze, gli aculei veleniferi. Chi precipitò il mondo in quell’inferno predatorio? L’uomo era ancora ben lontano da venire! Tornano in mente le parole di Gesù: “È stato un nemico a far questo… il diavolo” (Mt 13,28-39). La stessa Bibbia ci ricorda che la prima ribellione avvenne in Cielo: fu una lotta tra intelligenze non umane che proseguì quaggiù con i medesimi attori. Sembra di vedere il “nemico” – conoscitore fine della genetica – mentre tira le chele dei gigantostraci o aguzza i denti del tirannosauro, mentre il Figlio di Dio – per proteggere la sua creazione – fornisce di corazze e collari ossei i sauri erbivori. L’uomo è parte di questo mondo, plasmato con il suo fango genetico. Quando venne chiamato all’esistenza egli ereditava istinti sedimentati in centinaia di milioni d’anni. La violenza, la predazione e la guerra gli appartenevano profondamente, insieme all’istinto materno, alla cura degli anziani, alla pietas per i defunti. È difficile credere che gli uomini del Paleolitico medio e superiore non fossero esseri morali, responsabili delle proprie azioni davanti a Dio. Nulla ci è detto dei loro capostipiti, ma li ebbero! La biologia molecolare sconfessa l’ipotesi poligenista e ormai si parla di “Eva africana” come pure di “Adamo africano” perché l’esame del DNA (mitocondriale e del cromosoma Y) riconduce tutti gli uomini viventi ad un’unica genesi, individuata in Africa, circa 150 mila anni fa. La scienza non è in grado di dirci se si trattasse di un gruppo o di una coppia. Ma noi che crediamo in un intervento diretto del Creatore in questo processo evolutivo, amiamo pensare ad una coppia uscita dalle mani di Dio e da lui benedetta, forse persino istruita. Una sorta di Adamo ed Eva ante litteram. Lo stesso, in precedenza potrebbe essere avvenuto con la prima coppia di neandertaliani. Non sappiamo nulla di come il Creatore si rapportasse con quelle sue creature, anche se viene difficile credere che rapporto non vi fosse o non vi fosse stato.

La nostra rivelazione parte con un Adamo e un’Eva connotati come neolitici. La loro peculiarità, rispetto agli altri uomini, si può dedurre dallo stesso racconto che li ha come protagonisti. Essi sono stati sottoposti ad una prova di fedeltà, e la posta in gioco era tale che può essere spiegata solo attribuendo loro caratteristiche di un’umanità ideale. Solamente un uomo fu sottoposto ad una prova simile alla loro e questi è l’Uomo-Dio Gesù. Paolo definisce Adamo figura di Cristo (Rm 5,14) e Cristo “l’ultimo Adamo” (1 Cor 15,45). Ciò che accomuna i due non è la natura divina ma la capacità di dominare la tentazione. Cristo vinse dove Adamo perse. Ecco una sicura differenza tra Adamo e gli altri uomini: egli, sebbene creato con lo stesso fango genetico, non era dominato dagli istinti distruttivi che pesavano sui viventi da tempo immemorabile. La sua sconfitta lo rese uguale agli altri uomini e in qualche modo la maledizione che ne seguì passò sugli altri uomini; non solo sulla sua discendenza di sangue ma su tutta l’umanità. È per noi una relazione incomprensibile anche perché ci sono ignoti i rapporti intercorsi tra Dio e l’umanità paleolitica.
Rimane ancora una domanda: perché Adamo fu necessario? Ovvero, in relazione a questo test di fedeltà, perché richiederlo ad un uomo che adesso non ci risulta essere né l’unico né il primo? Credo che la risposta stia proprio nella storia evolutiva della vita terrestre; una storia profondamente condizionata dal conflitto tra il bene e il male originatosi altrove in un tempo indefinito e di cui questo mondo era diventato al contempo il campo di battaglia e la dimostrazione della giustezza d’una tesi sull’altra. Il percorso di creazione per evoluzione verso forme di vita sempre più complesse fino a giungere all’uomo, conoscendo il carattere di Dio, difficilmente doveva prevedere la lotta per la sopravvivenza, per quanto assolutamente indispensabile nello schema darwiniano. Al contrario esso dovrebbe ritenersi un elemento spurio introdotto da Satana nel tentativo di contrastare l’opera di Dio. Questo tentativo non è riuscito a fermare tale opera ma solo a rallentarla e a renderla penosa. La documentazione fossile è testimone di seri sforzi volti a corrompere l’opera creativa, seguiti da immani catastrofi che portarono quasi all’estinzione di una vita ormai degenerata e al suo nuovo rifiorire. L’ipotesi di Cuvier sui molteplici diluvi non era poi così lontana dalla realtà. Lo scopo divino era quello di portare a compimento il suo progetto che prevedeva a coronamento un’umanità a sua piena immagine e, in parallelo, la sconfessione e la distruzione dell’opera del Maligno. Il progetto edenico andava in quella direzione. Il suo fallimento, come era avvenuto tante volte in passato, non fermò il percorso creativo di Dio ma solo lo rallentò sia pure di parecchie migliaia di anni quando il nuovo Adamo, cioè Cristo, portò a termine il lavoro a suo tempo interrotto. In cosa consistette questo lavoro? La tesi di Satana voleva dimostrare che la legge di Dio era ingiusta e inosservabile: il fallimento di Adamo stava lì a confermarlo. Assumendo l’umanità di Adamo – che era al contempo filogeneticamente fragile ma moralmente libero – Cristo confutò la tesi di Satana e lo sconfisse. Altro importante impegno a cui Egli lavorò fu la fondazione della Chiesa, ovvero di un popolo che fosse di riferimento a tutte le genti della terra e le aiutasse a convertirsi a lui. Per analogia, ha senso ritenere che il compito assegnato ad Adamo fosse molto simile a questo. Rispettando la legge di Dio, egli avrebbe confutato la tesi di Satana di cui abbiamo detto e al contempo sarebbe stato di guida e benedizione per tutta quell’umanità che avrebbe trovato desiderabile il suo modo di vivere. Parafrasando la seconda lettera di Pietro: Adamo, avrebbe insegnato come si vive da uomini giusti (2 Pt 2,5 Tilc).


(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 7 maggio 2007)