
Ora, come dicevo, non è per prendere posizione a favore o contro le tesi di Ariel Toaff che mi soffermo su questa vicenda. Ciò che invece mi dà soprattutto da pensare è la pesante campagna di discredito a cui vengono sottoposte l’opera sua e persino la sua persona. “Beato l’uomo che non si siede sullo scanno degli schernitori”, si legge aprendo il libro dei Salmi. Eppure di schernitori il povero Toaff ne sta incontrando a milioni proprio tra la sua gente. Certo, il timore degli ebrei che ogni argomento sia buono per rinfocolare gli odi contro di loro è tutt’altro che infondato. Se il Capo dello Stato ha sentito l’esigenza di ribadire il suo pubblico no all’antisemitismo “anche quando si travesta da antisionismo” è perché egli ritiene concreto questo pericolo, non solo a destra degli schieramenti politici e religiosi, ma soprattutto presso certa sinistra che nutre tenera simpatia per figuri altrimenti famigerati, quali il dottor Alzawairi o il presidente Ahmadinejad, solo perché antiamericani e antiebraici. Ma è poi certo che sia utile nascondere le verità storiche o, peggio ancora, tappare la bocca a chi diffonde idee che riteniamo pericolose? Pensiamo al decreto Mastella sul negazionismo che ha di fatto reintrodotto il reato d’opinione. È più utile turare la bocca a quegli imbecilli che negano l’Olocausto o lasciare sempre a chiunque la libertà di dire come la pensa? Perché la storia c’insegna che la stessa legge che oggi costringe al silenzio il mio avversario domani sarà utilizzata per costringere me al silenzio. Il processo alle idee è l’inizio del totalitarismo. Non possono esserci limiti alla libertà d’opinione: essa è per tutti o per nessuno. Questa furia contro Toaff, a prescindere dalle sue ragioni, offende proprio la libertà di pensiero e di coscienza; e soprattutto gli ebrei, che la persecuzione l’hanno abbondantemente provata sulla loro pelle, dovrebbero dare esempio di tolleranza. Per le idee e ancor più per le persone che le esprimono.
Massimo Introvigne ci suggerisce una chiave di lettura su questa vicenda che si spiega con il “clima in certe università israeliane dilaniate fra una componente religiosa e una laicista”. Clima che, in realtà, è quello dell’intera società israeliana ove la popolazione degli haredim, gli ultra-ortodossi, è in piena espansione demografica e minaccia la laicità dello Stato nelle sue scelte politiche e nella ridefinizione delle libertà individuali. La componente laica e produttiva della nazione vive naturalmente con apprensione l’affermarsi di questa compagine scarsamente produttiva ma sempre pronta a chiedere esoneri, privilegi e finanziamenti, e a pretendere d’imporre la propria visione retriva, razzista e intollerante nel governo della cosa pubblica. Nulla di più naturale, pertanto, in questo clima, per un liberale d’Israele, andare col pensiero ai fanatici giudei del Medioevo, che usavano nei loro riti il sangue dei bambini cristiani gettando discredito sull’intera comunità ebraica, mentre si pensa ai fanatici di casa che, mutatis mutandis, ottengono un risultato analogo, tenendo in ostaggio l’intera nazione israeliana e proiettando all’esterno un’immagine che non è indicativa della mentalità dell’intera popolazione. Tuttavia se Introvigne getta luce sul contesto che spiega l’iniziativa di Toaff, dice poco sulla reazione violenta e generalizzata che nel mondo si è scatenata contro lo studioso. Non sono infatti solo gli ultra-ortodossi che si sono scagliati contro Toaff ma l’intera comunità ebraica con poche significative eccezioni. Dato che gli episodi non mancano d’altri linciaggi balzati alle cronache (si pensi all’accoglienza riservata al libro di Jimmy Carter, “Palestine: Peace, not Apartheid”) sorge il dubbio che per gli ebrei della diaspora l’unica libertà di pensiero ammissibile sia quella di pensare come loro. In tal caso è evidente che essi debbano risolvere un problema di tolleranza all’interno della loro comunità, a maggior ragione se temono l’intolleranza altrui sempre in agguato nei confronti dei diversi. Non è solo un fatto di coerenza, ma direi proprio di sopravvivenza. Ricordiamo che il peggior nemico della pace in Israele non è stato il terrorista Arafat bensì lo zelota Yigal Amir, l’assassino di Rabin. Un pio ebreo ortodosso studente presso quella stessa università Bar-Ilan ove insegna il nostro Toaff. “Ho agito – dirà – in obbedienza alla Halakhah, la legge ebraica, che prescrive sia soppresso chiunque ceda al nemico anche un solo lembo della terra dei padri”. Amir non è purtroppo un outsider, magari squilibrato. Moltissimi la pensano come lui e cresce il numero di coloro che approvano il suo gesto. Sarà la sindrome del popolo accerchiato. Ma sa tanto anche di sindrome del popolo eletto. Per chi ne è affetto – poco importa se Cattolico, Testimone di Geova o Israelita – i dissidenti interni sono dei rinnegati, e quelli esterni semplicemente filistei o cananei. Tutti comunque privi della grazia di Dio, custoditi per la geenna. Con buona pace della tolleranza e del rispetto dovuto al proprio interlocutore in quanto persona.
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(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 24 febbraio 2007)