mercoledì 5 marzo 2008

I dieci Re del nocciolo duro

Ho sentito parlare, per la prima volta, di Europa a doppia velocità quando ancora era ministro degli Affari esteri Gianni De Michelis. Da allora molte cose sono successe: se l’introduzione della moneta unica ha reso più forte e stabile la valuta, la corsa all’aumento dei prezzi ha contribuito a diffondere sentimenti euroscettici; l’accordo sulla costituzione europea, che avrebbe dato all’Unione più efficaci strumenti di governo, è fallito miseramente in una ingloriosa bagarre sciovinistica; nel frattempo i Paesi che dovrebbero decidere all’unanimità sono diventati ventisette; le recenti crisi internazionali hanno offerto il solito desolante spettacolo di politiche estere meschine e frammentate, perfino contrapposte. L’Europa è percepita dal resto del mondo al contempo come gigante economico e come nano politico-militare. Il cosiddetto superministro degli esteri UE, in un recente suo viaggio presso le cancellerie mediorientali, si è sentito dire: voi europei limitatevi a scucire i soldi e impicciatevi degli affari vostri. Questa identificazione con il giullare ricco ovviamente va stretta agli statisti europei sebbene essi stessi l’abbiano determinata. Ed è comprensibile che soprattutto gli stati pionieri dell’unificazione pensino a soluzioni alternative per uscire dal guado in cui si trovano impantanati ormai da quasi un lustro. Ed ecco così che l’idea mai sopita di Europa a doppia velocità riprende vigore, sia pure con una terminologia rinnovata ed immagini d’effetto. Si parla di iniziativa degli “Stati pionieri”, di forme di “cooperazione rafforzata”, di sistema delle “geometrie variabili”, con la mente ad accordi paralleli a quelli comunitari, qual è stata ad esempio la creazione dello Spazio Schengen. Si pensa ad un trattato che aggreghi quei Paesi determinati ad accelerare la reciproca integrazione, a cominciare da una comune politica estera anche in tema di difesa. Il progetto ormai è così sentito che persino i suoi detrattori si limitano a raccomandare che esso non si sviluppi a danno di quei Paesi non intenzionati o non ancora pronti ad aderirvi. Quando io ne sentii parlare, invece, era ancora un’idea isolata riferita quasi incidentalmente dai mezzi d’informazione. Eppure già allora colpì subito la mia attenzione. C’era una spiegazione, e vi chiedo un po’ di pazienza per seguirmi nel mio ragionamento. In quel periodo stavo approfondendo le mie conoscenze delle profezie apocalittiche, che si trovano in parecchi libri della Bibbia ma in particolare nell’Apocalisse di Giovanni e nell’ingiustamente bistrattato libro di Daniele. Caratteristica delle visioni profetiche di quest’ultimo è quella di riproporre, pur con immagini diverse e con l’aggiunta di sempre nuovi particolari, il medesimo scenario: i quattro imperi universali che, partendo da Babilonia, si sarebbero succeduti sino alla fine dei tempi quando Cristo avrebbe posto fine al dominio degli uomini per instaurare il proprio regno eterno. Tutto qui. I commentatori cristiani fino a Girolamo hanno pressoché sempre associato queste entità politico-militari con gl’imperi babilonese, medo-persiano, greco-macedone e romano. Quest’ultimo viene raffigurato come il più forte e terrificante ma anche come il più fragile nelle sue fasi successive. Nel sogno della statua l’impero Romano è rappresentato dalle gambe di ferro, ma poi giunti ai piedi e alle dita il ferro si trova mescolato a terracotta in un amalgama inconsistente e instabile, in altri termini disunito. Nella visione delle quattro bestie feroci (il leone per Babilonia, l’orso per la Medo-Persia, la pantera per la Macedonia e la belva inapparentabile per Roma) quest’ultimo impero è descritto come una fiera “spaventosa, terribile, dotata di una forza straordinaria; aveva grandi denti di ferro per divorare e stritolare le sue vittime, e calpestava tutto quel che non mangiava. Era assolutamente diversa dalle tre bestie precedenti e aveva dieci corna” Dn 7,2. “Le dieci corna rappresentano dieci re…” (v. 24). Interessante l’accostamento delle 10 corna-re con le 10 dita fragili della statua. “Le dita fatte di ferro e terracotta indicano che questo regno sarà in parte forte e in parte fragile; esse mostrano anche che alcuni re faranno alleanza attraverso matrimoni ma, come il ferro non si mescola con la terracotta, queste alleanze non saranno stabili” (7,42-43). L’Impero Romano d’Occidente, al di qua del Reno e del Danubio, tra l’Illiria e la Lusitania, si sfaldò in una decina di stati, che ancora oggi conservano una certa omogeneità culturale. Vari ma vani sono stati i tentativi di riunificarli per ricostituire l’impero, da Carlo Magno a Hitler. Neppure i matrimoni tra le case regnanti d’Europa hanno raggiunto lo scopo. Tuttavia dal secondo dopoguerra questa “missione impossibile” non appare più tale. L’Apocalisse di Giovanni ritorna sulle immagini di Daniele arricchendole di ulteriori informazioni. Al capitolo 13 troviamo una bestia dall’aspetto spaventoso ma familiare perché ricapitola in sé le caratteristiche delle quattro fiere di Daniele: “Era simile a una pantera. Aveva zampe come quelle di un orso, e una bocca come la bocca di un leone” (Ap 13,2). È come se Giovanni volesse rimarcare il progetto e la natura comuni di questi poteri ispirati da una medesima mente: quella del drago (v. 2), cioè di Satana (cfr 12,9). In questa bestia ritroviamo anche le 10 corna (v. 1). In più, rispetto alla descrizione di Daniele, appaiono sette teste di cui una, verosimilmente la penultima, viene descritta come mortalmente ferita (v. 3). Se è vero che tali teste rappresentano le varie fasi del governo umano da Babilonia alla fine dei tempi, allora questa testa ferita dovrebbe descrivere lo stato attuale in cui versa l’Europa dei nostri giorni, quella delimitata dai vecchi confini dell’Impero, che politicamente e militarmente conta nel consesso mondiale quanto il due di briscola. Però, attenzione, Giovanni ci dice che questa ferita in apparenza mortale sarà guarita e “allora la terra intera presa d’ammirazione, andò dietro alla bestia” (v. 3). Per il futuro dobbiamo aspettarci che l’Europa riprenda autorevolezza, anche se per poco tempo. E qui torniamo alle dieci corna, cioè ai dieci re della missione ormai possibile. Questi stati egoisti e opportunisti, tutti tesi a fare i propri interessi, eppure per la prima volta catturati dall’idea dell’unificazione; riottosi a cedere potere a quest’entità sovranazionale eppure costretti a farlo. Costretti da chi? Giovanni ci rivela pure questo: “Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio” (17,17). Ecco perché sono interessato ai movimenti, potremmo dire sovrannaturali, di questa decina di stati dello “zoccolo duro” verso l’unione politica. Non perché ci tenga che l’Europa torni a contare; soprattutto se penso quanto male utilizzerà il suo potere (cfr v. 14). Ma perché questo è un sicuro segno della fine, uno dei pochi inequivocabili e veramente a ridosso della Parusia! Infatti è detto che tale unione politica, e il potere che le deriverà, dureranno “per un’ora soltanto” (v. 12), cioè per un tempo brevissimo. E così, finalmente, verrà posta fine all’esperienza disastrosa dei governi umani di cui nessuno avrà nostalgia. “Al tempo di questi re, il Dio del cielo susciterà un regno che non sarà mai distrutto e non cederà mai il dominio a un'altra nazione. Questo regno durerà per sempre, dopo aver distrutto tutti i regni precedenti e aver messo fine alla loro esistenza” (Dn 2,44).


Per approfondire: Due bestie che si supportano

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(Pubblicato su Toscanaoggi Forum il 18 febbraio 2007)